Il cavallo di Brunilde si chiama Grane (cfr. Richard Wagner, Il crepuscolo degli dèi). Nomen Omen? Noi speriamo di no...
Dal blog deladelmur
Ho incontrato la musica di François Couperin registrando per caso, dalla radio, un brano sorprendente e meraviglioso, con un titolo complicatissimo del quale lì per lì avevo memorizzato solo il nome dell’esecutore: “clavicembalista: Kenneth Gilbert”. Voglio dire: sembrava Jimi Hendrix, eppure era un clavicembalo.
In seguito avrei imparato che ci sono parecchi tipi di clavicembali, costruiti in tempi diversi da diversi costruttori, e che il clavicembalo somiglia solo apparentemente al pianoforte, ma non ne è l’antenato diretto. Nel pianoforte ci sono delle corde che vengono percosse da un martelletto, nel clavicembalo le corde vengono pizzicate da un plettro, o da qualcosa che somiglia a un plettro: ecco dunque la somiglianza con il suono della chitarra, che mi avrebbe colpito anche in seguito e che continua a colpirmi ancora oggi.
- Si fa una gran fatica a sbocciare, -
mi disse ridendo il fiore;
e fa fatica il seme a germogliare,
è una fatica che costa dolore.
Il rischio poi è di farti calpestare,
o di finire sottoterra a marcire,
invece di fiorire sulle aiuole.
E' un rischio che si corre ed è da fare,
ma io voglio ritornarmene a dormire.
Nel fiero sonno io voglio sognare,
voglio sognare che posso anch'io fiorire,
voglio fiorire e poi rinascere e morire,
e che i miei frutti sian dolci da mangiare.
da "Stagioni" di Giuliano Bovo
( illustrazione di Grandville )
Una cosa che mi hanno insegnato, per sempre, i fratelli, entrambi medici, dei miei genitori, è che le malattie vanno assecondate e, salvo i casi più gravi, lasciate libere di fare il loro corso, senza scorciatoie e e dosi massicce di farmaci. Così, quando da ragazzi la febbre si impossessava di noi, ci dovevamo disporre con pazienza a un lungo periodo di letto e riposo. Non disponendo della televisione, ma avendo tutte le pareti di casa foderate di libri, la lettura fu l’antidoto migliore contro la noia e l’esasperantemente lento trascorrere del tempo. E lo è, per me, ancora oggi.
Come, da bambini, dopo una malattia, ci si scopre fisicamente cresciuti ( non sono stato un ragazzo sano: infatti sono alto un metro e novantuno ), così, dopo la lettura di un grosso libro, la nostra personalità si allarga e approfondisce. A 9 anni divenni improvvisamente tutto blu, mi ammalai gravemente e dovetti sopportare una lunga convalescenza. Passata l’emergenza sopravvenne la noia. Non potevo alzarmi dal letto ed ero debolissimo. Così, alle quattro del pomeriggio, mio padre prese a rincasare anticipatamente e a
leggermi a puntate il Don Chisciotte. Quello fu probabilmente il mio battesimo con la letteratura e la vita. Era anzitutto piacevole che quel severo papà, sempre con il naso immerso in libri e giornali, dedicasse un po’ di tempo a leggermi un libro. Era un lettore caldo e appassionato. Gli piaceva raccontare e vedere sul mio volto le reazioni. Si sentiva che i suoi antenati siciliani avevano avuto familiarità, tra pupi e carretti, con le storie dei cavalieri antichi. Parteggiava apertamente per il cavaliere della Mancia e riservava a Sancho Panza una voce tignosetta, decisamente antipatica. Amava e si identificava con il "malato" Don Chisciotte. Il ritorno del reale era anche per lui sempre fonte di tristezza.Così, da piccolo, ho scoperto che ci sono dei libri che possono essere veramente letti e gustati soltanto se si ha un lungo tempo a disposizione, senza eccessive interruzioni.
Francesco Maria Cataluccio, In occasione dell'epidemia, Ed. Casagrande
fonte immagine
Dal blog giulianocinema
sabato, 19 febbraio 2011
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fotogramma di "Andrej Rublëv " di Andrej Tarkovskij |
Nel film di Tarkovskij, il monaco quattrocentesco Andrej Rubliov (un personaggio veramente esistito, pittore di icone fra i più grandi) a un certo punto smette di dipingere: gli sono toccati tempi terribili in cui vivere, ha visto troppe violenze, troppi torti sono stati commessi, dipingere non gli è più possibile. In questa decisione, bisogna anche tener conto del principale soggetto dei suoi dipinti: l’aldilà, i Santi, la Madonna con il Bambino, il volto di Cristo. Come è possibile che Dio permetta tutto questo? E’ una domanda che mette in discussione molto più della pittura, anche la Fede stessa.
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Ho conosciuto Giuliano nel 2011. Un giorno ho lasciato un
commento in uno dei suoi raffinatissimi blog ed è nata un’amicizia che è continuata
fino ad oggi e che la scomparsa improvvisa di Giuliano non interromperà.
Giuliano è stato e rimarrà il mio amico migliore, la mia guida in ambito
letterario, musicale, cinematografico. E’ grazie a lui che ho potuto accostarmi
alla bellezza, alla complessità delle espressioni culturali nel modo più corretto
e più onesto, quello che non prescinde dalla cura, dallo studio attento e rispettoso delle espressioni del genio umano. Anche Giuliano era un
autore: i suoi blog costituiscono il frutto dell'intimo colloquio con ciò che
leggeva, ascoltava, vedeva e sono felice che ciò che ha scritto sia ancora
condivisibile e fruibile da me e da tutti. Ho avuto anche il piacere di leggere sue rime bellissime che, se riesco a superare questo incerto momento, e
a capire cosa davvero a Giuliano sarebbe piaciuto diffondere, cercherò di
condividere qui, in questo blog.
Ho scritto queste
righe perché so che Giuliano ha molti amici in rete, tanti legami che si sono
stabiliti attraverso questo e gli altri suoi blog ed è forse opportuno che conoscano
il motivo del suo silenzio. Un silenzio che non sarà assoluto grazie ai
suoi scritti che la rete continua a trattenere.
I blog di Giuliano
giulianocinema Deladelmur L'OPERA AL CINEMA( l'immagine, tratta dal blog giulianocinema, è un fotogramma di "Cuore di vetro" di Herzog )
da Vincent van Gogh, Lettere a un amico pittore, ed. Rizzoli
" Ecco la descrizione di una tela che ho davanti a me in questo momento. Una veduta del parco della casa di salute in cui mi trovo:a destra una terrazza grigia, l'ala di una casa. Qualche cespuglio di rose sfiorite, a sinistra il terreno del parco - ocra rossa - terreno arso dal sole, coperto di aghi di pino caduti.Questo margine del parco è piantato di grandi pini dai tronchi e dai rami ocra rossa, con il fogliame verde rattristato dalla mescolanza di nero. Questi alti alberi si stagliano su un cielo serotino striato di viola su fondo giallo, il giallo verso l'alto vira al rosa, vira al verde. Una muraglia - ancora ocra rossa - sbarra la vista e ne sporge solo una collina violetta e ocra giallo. Ora, il primo albero è un tronco enorme ma colpito dal fulmine e segato. Un ramo laterale tuttavia si slancia altissimo e ricada su una valanga di aghi verde scuro. Questo gigante scuro - come un superbo sconfitto - contrasta, se lo consideriamo come carattere di essere vivente col sorriso pallido di un'ultima rosa che appassisce sul cespuglio di fronte a lui. Sotto gli alberi, panchine di pietra vuote, del bosso scuro, il cielo si specchia - giallo - dopo la pioggia, in una pozzanghera. Un raggio di sole, l'ultimo riflesso, esalta l'ocra scuro fino all'arancione. Delle figurine nere si aggirano qua e là tra i tronchi. Capirai che questa combinazione di ocra rossa, di verde intristito di grigio, di tratti neri che segnano i contorni, suscita un po' quella sensazione di angoscia di cui soffrono sovente alcuni miei compagni di sventura, che si chiama "veder -rosso". E del resto il motivo del grande albero colpito dal fulmine, il sorriso malaticcio verde-rosa dell'ultimo fiore d'autunno contribuiscono a confermare questa idea.
Linee di fuga, solchi che montano in alto nella tela, verso una muraglia e una fila di colline lilla. Il campo è violetto e giallo verde. Il sole è bianco ed è circondato da una grande aureola gialla. In questa tela, per contrasto con l'altra, ho cercato di esprimere calma, una grande pace. Ti parlo di queste due tele, soprattutto della prima, per ricordarti che per dare un'impressione di angoscia, si può cercare di farlo senza puntare direttamente sull'orto di Getsemani storico; che per dare un motivo consolante e dolce non è necessario rappresentare i personaggi del sermone della montagna.
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(dipinto di Thomas Blinks) |
Nietzsche esce dal suo albergo a Torino. Vede davanti a sé un cavallo e un cocchiere che lo colpisce con la frusta. Nietzsche si avvicina al cavallo e, sotto gli occhi del cocchiere, gli abbraccia il collo e scoppia in pianto. Ciò avveniva nel 1889 e a quel tempo anche Nietzsche era già lontano dagli uomini. In altri termini, proprio allora era esplosa la sua malattia mentale. Ma appunto per questo mi sembra che il suo gesto abbia un significato profondo. Nietzsche era andato a chiedere perdono al cavallo per Descartes. La sua pazzia (e quindi la sua separazione dall'umanità) inizia nell'istante in cui piange sul cavallo. È questo il Nietzsche che amo, così come amo Tereza sulle cui ginocchia riposa la testa di un cane mortalmente malato. Li vedo l'uno accanto all'altra: entrambi si allontanano dalla strada sulla quale l'umanità, ''signora e padrona della natura'', prosegue la sua marcia in avanti.
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(fotogramma da "Stalker" di Andrej Tarkovskij) |
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Illustrazione di Quint Buchholz |