mercoledì 29 aprile 2020

Mentre piove

( fonte )

 Ho sempre amato starmene al riparo mentre fuori piove forte. È una sensazione meravigliosa. Viene associata un po’ scioccamente alla serenità. In realtà ha a che fare con il piacere. Il rumore della pioggia esige un tetto come cassa di risonanza: trovarmi sotto questo tetto è il posto migliore per apprezzarne il concerto. Deliziosa partitura, sottilmente cangiante, rapsodica ma senza esagerare, ogni pioggia è una benedizione.


Amelie Nothomb, Sete                                           
 Ed. Voland

lunedì 27 aprile 2020

Argo


La storia del cane Argo è tra le più famose, ma è sempre bella da rileggere. Ulisse (Odisseo) non si è ancora fatto riconoscere, ma il cane si ricorda sempre di lui dopo tutto il tempo che è passato: vent'anni.

(Niels Pederson Mols, 1887)

Così essi tali parole fra loro dicevano:
e un cane, sdraiato là, rizzò muso e orecchie,
Argo, il cane del costante Odisseo, che un giorno
lo nutrì di sua mano (ma non doveva goderne), prima che per Ilio sacra
partisse; e in passato lo conducevano i giovani
a caccia di capre selvatiche, di cervi, di lepri;
ma ora giaceva là, trascurato, partito il padrone,
sul molto letame di muli e buoi, che davanti alle porte
ammucchiavano, perché poi lo portassero
i servi a concimare il grande terreno d’Odisseo;
là giaceva il cane Argo, pieno di zecche.
E allora, come sentì vicino Odisseo,
mosse la coda, abbassò le due orecchie,
ma non poté correre incontro al padrone.
E il padrone, voltandosi, si terse una lagrima,
facilmente sfuggendo a Eumeo; e subito con parole chiedeva:
« Eumeo, che meraviglia quel cane lì sul letame!
Bello di corpo, ma non posso capire
se fu anche rapido a correre con questa bellezza,
oppure se fu soltanto come i cani da mensa dei principi,
per splendidezza i padroni li allevano ».
E tu rispondendogli, Eumeo porcaio, dicevi:
« Purtroppo è il cane d'un uomo morto lontano.
Se per bellezza e vigore fosse rimasto
come partendo per Troia lo lasciava Odisseo,
t'incanteresti a vederne la snellezza e la forza.
Non sfuggiva, anche nel cupo di folta boscaglia,
qualunque animale vedesse, era bravissimo all’usta.
Ora è malconcio, sfinito: il suo padrone è morto lontano
dalla patria e le ancelle, infingarde, non se ne curano.
Perché i servi, quando i padroni non li governano,
non hanno voglia di far le cose a dovere;
metà del valore d’un uomo distrugge il tonante
Zeus, allorché schiavo giorno lo afferra ».
Così detto, entrò nella comoda casa,
diritto andò per la sala fra i nobili pretendenti.
E Argo la Moira di nera morte afferrò
appena rivisto Odisseo, dopo vent’anni.

Odissea, libro XVII, versi 290-328, versione di Rosa Calzecchi Onesti, ed.Einaudi

venerdì 24 aprile 2020

Una canzone che piace a tutti

Una canzone per tutti, in un momento difficile

qui e qui





ma anche qui e qui
e in tante altre parti del mondo civile

Buon 25 aprile!

martedì 21 aprile 2020

Pensieri disordinati





Ho sottratto la foto della giardinetta rossa al primo post di  "Pensieri disordinati", un blog appena nato che sento a me vicino e non solo perchè chi lo amministra è una mia carissima amica. Il motivo del furto è presto detto: ho trovato nell'immagine forse l'anima del blog, un'anima zingara, libera, passionale e ....innamorata della douce France.

 Pensieri disordinati è qui





domenica 19 aprile 2020

Il vento e le piante


Il vento oggi aveva voglia di parlare. Raccontava dei suoi viaggi, delle cose che aveva visto, delle illusioni che aveva regalato, delle urla che si era portato via. A un tratto si era tanto infervorato nei suoi discorsi che, distratto, aveva anche lasciato cadere un vaso dalla finestra di Alfredo verso il pavimento.
Era un bel vaso, fatto bene insomma. Conteneva tre piccole piante grasse che, scaraventate a terra, erano riuscite comunque quasi a conservare la loro forma, la loro delicata bellezza.
Il vento si era subito reso conto del danno provocato. Dapprima silenzioso si era poi trasformato in tiepida brezza. Era così che aveva continuato a sussurrare le proprie scuse ad Alfredo mentre questi raccoglieva il terriccio e cercava, tra dimenticati oggetti, un nuovo luogo dove interrare quei piccoli tesori.
“Chissà se si abitueranno a tornare sole, hanno vissuto un bel po’ di tempo insieme” pensò alla fine, quando ebbe trovato la soluzione, alzando gli occhi verso il suo amico. Il vento, però, era già sparito, così Alfredo si premurò solo di lasciarle vicine, ognuna nel suo piccolo vasetto.
“Se avete qualcosa da raccontarvi di certo ci riuscirete così” disse loro, prima di richiudere la finestra.

Dario D'Angelo dal suo blog, febbraio 2020

 
(Georg Scholz, 1925)
 

giovedì 16 aprile 2020

La luna che mangia le nuvole


Ricordo: da giorni, in città, si anelava ad un poco di pioggia da cui si sperava qualche sollievo al caldo anticipato. Io non m'ero neppure accorto di quel caldo. Quella sera il cielo aveva cominciato a coprirsi di leggere nubi bianche, di quelle da cui il popolo spera la pioggia abbondante, ma una grande luna s'avanzava nel cielo intensamente azzurro dov'era ancora limpido, una di quelle lune dalle guance gonfie che lo stesso popolo crede capaci di mangiare le nubi. Era infatti evidente che là dov'essa toccava, scioglieva e nettava.

(Italo Svevo, La coscienza di Zeno, cap.5, pag.170 ed. Dall'Oglio 1976)

 
(St. Nicholas magazine, 1891)
 

domenica 12 aprile 2020

giovedì 9 aprile 2020

Alcyone, tempesta atto IV


Alcione era figlia di Nettuno, o di Eolo secondo altre fonti; moglie del re Ceix (Ceice) in un matrimonio tra i più felici. La nave su cui viaggiava Ceice naufraga al ritorno da un consulto dell'oracolo di Apollo; Alcione, innamoratissima, si reca sul luogo del naufragio per trovare almeno il corpo del marito. Gli dei si muovono a pietà, e trasformano la coppia in alcioni, uccelli marini che rimangono fedeli al coniuge per tutta la vita; gli alcioni hanno il potere di calmare le tempeste nel periodo in cui fanno il nido e allevano i loro figli. La storia completa la si può trovare in Ovidio, Metamorfosi, libro 11 n.10.
L'opera di Marin Marais, Alcyone, è del 1706; non la riassumo perchè è molto complessa, ma la scena della tempesta è spettacolare e non posso lasciarla passare inosservata.

qui per la versione integrale, qui in versione da concerto.
 
 
(Joseph Vernet, 1772)
 

lunedì 6 aprile 2020

Pettini e capesante


Io le avevo sempre chiamate "pettini": è il loro nome scientifico, Pecten jacobaeus. L'ho chiamata così fino quasi ai vent'anni, poi mi è capitato di farne il nome davanti a una tavola imbandita e mi sono quasi saltati addosso: «Pettine? Ma che pettine, sono capesante!». Io non sapevo neanche che fossero commestibili, in casa mia i molluschi non erano di casa; so che mia nonna cucinava un ottimo baccalà alla veneta ma io purtroppo non ho l'età per ricordarmene. E poi c'erano i pesci del lago, le alborelle, gli agoni (pesce pregiatissimo), poco altro: trote, cavedani, qualche amico che andava a pescare (negli anni '60 era ancora possibile). Insomma, per me quella conchiglia lì era e rimane il pettine, e ancora oggi faccio fatica a dire l'altro nome, quello commerciale.
 
(martin-lister 1678)
 
Il nome scientifico, Pecten jacobaeus, da una parte sottolinea la somiglianza con i pettini per i capelli in uso nell'antichità, e dall'altra (jacobaeus) l'essere il simbolo dei pellegrini che vanno a Santiago di Compostela, cioè da san Giacomo. Il pettine è visibile anche in Botticelli, la Nascita di Venere. Esiste anche un'altra varietà simile, è sempre un pettine ma viene classificato come Chlamys varia. E, comunque, voi fate come vi pare, ma io continuerò a chiamare "pettine" quella conchiglia, e a pensare alla Venere di Botticelli.

(Terry Gilliam, fotogramma da Il barone di Munchhausen)


mercoledì 1 aprile 2020

Netsuke




















Su internet capita spesso di trovare belle immagini, e alcune tra le più simpatiche degli ultimi mesi le metto qui intorno: sono piccole sculture giapponesi e si chiamano "netsuke". Dopo averne viste un discreto numero mi sono finalmente posto la domanda: che cosa è di preciso un netsuke? La risposta per intero la trovate qui, in estrema sintesi posso anticipare che si tratta di una vera sorpresa, perché i netsuke sono elementi di abbigliamento. Il kimono giapponese, infatti, non ha tasche; per portare il necessario si usano borse o scatole legate alla cintura, e il netsuke serviva per chiudere la borsa o per trovarla più facilmente. Un parente stretto del portachiavi, insomma.
Porto qui dei netsuke che raffigurano animali, ma possono avere qualsiasi soggetto e non c'è limite alla fantasia. Se volete cercarne altri in rete, buon divertimento.