lunedì 30 settembre 2019

Sole ingannatore


( fonte )

Sole ingannatore è il titolo italiano di un film del 1994 diretto da Nikita Mikhalkov, il regista di  Oci ciornie. Una costante, nel film, è proprio la luce solare che illumina esterni solitamente ripresi dall’alto e che inquadra dettagli di interni di una dimora di campagna dell’URSS nei primi anni del governo di Stalin. I colori sono chiari; i personaggi vestono di bianco e tutto, dai volti sorridenti, alle attività amene in cui si intrattengono i membri della famiglia protagonista della vicenda, richiama una sorta di età dell’oro, un tempo senza tempo in cui anche dei carri armati possono essere bloccati da contadini a difesa di un biondissimo campo di grano e rimandati indietro da un eroe di guerra chiamato a vigilare su un piccolo mondo di pace. L’incanto è rotto dall’arrivo di uomo che ritorna nell’ambiente originario dal quale, non per sua volontà,  era stato escluso anni prima e verso cui sembra mantenere un atteggiamento ambivalente, non solo o non sempre nostalgico.
Il film si conclude con l’elevarsi verso il cielo di un enorme telo con l’effigie di Stalin, come il sole in posizione dominante ma su un contesto e su scene molto diverse da quelle iniziali e centrali del film.


Qui il trailer
Qui un post di Gabrilu


( fonte )

sabato 28 settembre 2019

Piccola musica notturna


Reduce da una telefonata per prendere un appuntamento per una visita medica, ho controllato: nell'edizione diretta da Herbert von Karajan, "Eine kleine Nachtmusik" dura sedici minuti. Sedici minuti, ed è un Mozart della piena maturità, K525, contemporanea del Don Giovanni (K527). Perché allora nelle segreterie telefoniche usano sempre e soltanto le prime tre battute? E' uno strazio, quando sta per cominciare la parte più bella si ricomincia da capo. Mi hanno fatto aspettare tanto di quel tempo che avrebbero ben potuto mandare tutta intera la composizione...
Mi rendo poi conto che anch'io non ascolto la "Serenata n.13 per archi" (Piccola musica notturna) da tanto ma tanto tempo. Intanto che io la ascolto sul mio cd, vi lascio qui il link per riascoltarla, oppure per ascoltare cosa viene dopo quelle tre battute, nel caso non vi fosse mai capitato di farlo.

(la vignetta è di Gary Larsson, dal mensile "Linus", anni '90)

giovedì 26 settembre 2019

Verdi prati, selve amene


(George Harvey, canadese, 1835)

Verdi prati, selve amene,
perderete la beltà.
Vaghi fior, correnti rivi,
la vaghezza, la bellezza,
presto in voi si cangerà.
E cangiato il vago oggetto,
all'orror del primo aspetto
tutto in voi ritornerà.

(da "Alcina" di Haendel, l'aria di Ruggiero dopo aver lasciato Alcina;
testo di Antonio Fanzaglia, da L'isola di Alcina di  L.Ariosto)

(qui per l'ascolto)


martedì 24 settembre 2019

Di sera


Una sera, nell'autobus, c'erano due innamorati. La ragazza era seduta proprio dinanzi a noi, il suo compagno le stava ritto accanto, tenendosi attaccato con una mano alla cinghia. Bergmann ne fu deliziato.
- Vedi il modo in cui lui sta in piedi? Non si guardano neppure. Potrebbero essere due estranei. E
tuttavia continuano a toccarsi, come per caso. Guarda ora: le loro labbra si muovono. E' così che parlano due persone, quando sono felici e al buio, sole sole. Guardali, è già come se fossero nelle braccia l'uno dell'altra, a letto. Buona notte, miei cari. Non vogliamo ficcare il naso nei vostri segreti -.

Christopher  Isherwood, La violetta del Prater

domenica 22 settembre 2019

Rattlesnake


(William Blake, 1810, dettaglio Adamo)
Un serpente a sonagli, che mi parla in greco; la cosa strana però non è che parli in greco, ma che parli. Poi lo guardo meglio, e la sorpresa successiva è ancora più strana: chi l'avrebbe mai detto, come vola il tempo, è già passato anche mercoledì e si intravvede la prossima settimana.
Si tratta di una strofa da "The gardener's song" di Lewis Carroll, che fa parte di "Sylvie and Bruno", romanzo dove la domanda fondamentale è: "credete alle fate?". Come Alice, il romanzo è per bambini ma contiene pagine che fanno pensare e che aprono orizzonti inattesi. Lewis Carroll era un matematico, e ogni tanto anticipa le scoperte del Novecento, teoria della relatività compresa: lo fa in Alice, e lo fa anche in "Sylvie and Bruno". La "canzone del giardiniere" è però solo un divertimento, un nonsense, una serie di giochi di parole; ma - attenzione - queste strofe servono al Giardiniere per aprire il cancello che porta al mondo magico, dove Sylvie e il piccolo Bruno (un bambino ancora molto piccolo) vivranno le loro avventure.

He thought he saw a rattlesnake
that questioned him in greek :
he looked again and found it was
the middle of next week.
« The one thing I regret - he said -
is that it cannot speak. »
 
(Lewis Carroll, The Gardener's song, da "Sylvie and Bruno")



venerdì 20 settembre 2019

Pàmpano verde


(Amalie Kaercher, 1819-1887)

Pàmpano verde, racimo albar;
¿ Quién vido dueñas a tal hora andar?
Encinueco entre ellas,
entre las doncellas.


(Francisco de la Torre, 1483 circa-1504 circa)


Pàmpino verde, grappolo bianco;
chi ha visto le dame a quest'ora andare?
Quercia piccola tra di loro, io,
tra le donzelle.   

 (qui per l'ascolto)




mercoledì 18 settembre 2019

Il colombaccio



Ai margini del bosco, un colombaccio in difficoltà. Qualche pallino vagante doveva averlo colpito. Non poteva avanzare che saltellando. I movimenti comici, da cui sembrava divertito, davano alla sua agonia un carattere allegro. Mi sarebbe piaciuto portarlo via,  perché faceva freddo e si avvicinava la notte. Ma non sapevo a chi affidarlo. Nessuno avrebbe voluto saperne in quella Beace chiusa e triste. Non potevo neppure cercare di impietosire il capo della stazioncina dove stavo per prendere il treno. Ed è così che ho abbandonato il colombaccio alla sua gioia di morire.
                                                                                                          
                                                                                                                E. M. Cioran, Squartamento

lunedì 16 settembre 2019

Dobermann


Un cane spaventoso e feroce, domestico ma addestrato ad uccidere con un semplice comando, con una parola semplicissima. Ma il cane, anzi i due cani, in questo episodio del tenente Colombo visti da oggi sembrano mansueti cagnolini e non fanno poi tanta paura. Il telefilm è del 1978, e i cani sono due dobermann. All'epoca, quarant'anni fa, i cani feroci e spaventosi erano loro, i dobermann; sui dobermann circolavano tante leggende, compreso il "cranio troppo piccolo" dovuto della selezione della razza da parte dell'uomo, che "col passare del tempo li faceva diventare pazzi". Ai dobermann, che di natura avrebbero le orecchie cascanti, si tagliava il padiglione auricolare per farli sembrare più feroci (le orecchie diritte sono un segnale di aggressività, quelle penzoloni fanno tanto cane di compagnia). Allo stesso modo, si tagliava loro la lunga coda: un cane scodinzolante fa festa e non fa paura, e il dobermann doveva fare paura. Oggi queste pratiche sono vietate, ma quasi nessuno tiene più i dobermann come cani da guardia o da difesa. I dobermann sono passati di moda, ormai da molto tempo la moda sono i pitbull e i dogo argentini, dall'aspetto davvero minaccioso: mascelle che sembrano tagliole, i muscoli imponenti, la taglia massiccia.

Allo stesso modo, oggi non fanno più impressione le auto "aggressive" dei decenni passati (è arrivato il suv), le pistole (come minimo, serve il kalashnikov), le arti marziali (il karate lo praticano anche i bambini). Tra un po' nemmeno i pitbull basteranno, per spaventarci ci vorrà la bestia del Givaudan o magari lo yeti; e al posto dei suv arriveranno i carri armati o gli elicotteri. I padroni di casa continueranno a dirti "ma è mansueto, non fa male a nessuno, gioca con i bambini...", "sapessi quanto è affettuoso, ma solo con noi neh!". E il più delle volte è anche vero, anch'io ho conosciuto e conosco dei pitbull che sono dei cuccioloni, buoni di carattere, tutt'altro che aggressivi. I dobermann erano allevati per essere cattivi, anche per i pitbull è l'addestramento quello che conta; anche un cane lupo (Rintintin, il commissario Rex...) ha denti affilati e mascelle potenti può essere molto pericoloso, anche un cane di taglia piccola può mordere e fare del male. Molto dipende da noi, da noi umani, e qui sta il vero problema.




PS, per gli appassionati di Peter Falk e del tenente Colombo: si tratta di "How to dial a murder", 1978, regia di James Frawley, scritto da Tom Lazarus e Anthony Lawrence, con Kim Cattrall e Nicol Williamson. L'episodio è cinefilo e non solo cinofilo: per spingere i cani ad attaccare la parola che serve è "Rosebud", famosa per "Citizen Kane" di Orson Welles (in Italia "Quarto potere"). Nel telefilm c'è un piccolo museo del cinema, con citazioni precisissime da film scelti con competenza.



sabato 14 settembre 2019

Il riscatto dell'upupa

Non conoscendo l'upupa e limitandosi a leggere i versi dei Sepolcri in cui Ugo Foscolo le fa fare capolino dai teschi e le dà come raggio d'azione una funerea campagna punteggiata da croci e obbliate sepolture, ci si può fare del volatile un'idea sbagliata. L'upupa non ha niente di luttuoso nelle abitudini e nel suo aspetto, anzi ha un piumaggio variegato e colorato e, prima ancora di ottenere un pieno riscatto dalla Lipu che ne fa addirittura il suo simbolo ( qui ), ottiene da Eugenio Montale di legarsi a immagini liete, amene.






Upupa, ilare uccello calunniato
dai poeti*, che roti la tua cresta
sopra l’aereo stollo del pollaio
e come un finto gallo giri al vento;
nunzio primaverile, upupa, come
per te il tempo s’arresta,
non muore più il Febbraio,
come tutto di fuori si protende
al muover del tuo capo,
aligero folletto, e tu lo ignori.


(  a proposito dei versi di Montale, un clic qui )

Montale si riferisce non solo a Foscolo ma presumibilmente anche a Parini e Carducci 



giovedì 12 settembre 2019

Osmino




Un giovane va a cercare la sua innamorata, rapita dai pirati ottomani; sa dove la può trovare perché ne è stato informato dal suo servitore Pedrillo, anche lui prigioniero. E' il palazzo di Bassa Selim, e il giovane Belmonte ci arriva subito; però ha un dubbio, vuole esserne sicuro, e così chiede informazioni a un uomo che sta raccogliendo dei fichi nel giardino. L'uomo fa finta di non capire, e va avanti a cantare la sua canzone e a raccogliere i fichi. La canzone parla delle donne, di come siano volubili e inaffidabili; e quest'uomo la canta davvero come se fosse la cosa più importante del mondo. Belmonte insiste: "mi scusi, buon uomo, è questa la casa di Bassa Selim?" Ma non c'è niente da fare, l'uomo (che poi scopriremo essere nientemeno che Osmin, capo guardiano del Serraglio) va avanti con la sua canzone come se Belmonte non esistesse. Quando infine si decide a rispondere ("Sì, questa è la casa di Bassa Selim") tutta l'orchestra sembra tirare un sospiro di sollievo. Era ora, caspita! Il dialogo va avanti tra i due per un po', con molta diffidenza da entrambe le parti, fino all'arrivo di Bassa Selim: ed è un arrivo fenomenale, con una marcia turca che ti fa venir voglia di alzarti e di ballare e fare festa.


Quando Mozart scrive "Il ratto dal serraglio" (Die Entführung aus dem Serail, 1782) l'assedio di Vienna da parte dei turchi è ormai un ricordo lontano e ci si può anche scherzare sopra. Sono passati quasi cent'anni: era il settembre 1683. Lo scherzo è brillante e divertente, Mozart è in gran forma e penso spesso che questa sia la sua opera più felice, il buon umore si tocca con mano anche se non mancano momenti drammatici. Il finale è in positivo: Bassa Selim è un uomo raffinato ed è anche generoso, lascerà andare gli innamorati. Che tornino alle loro case, dunque; Osmino ovviamente non è contento ma dovrà farsene una ragione.


Che Osmino raccolga fichi è scritto nel libretto, ma i registi generalmente sorvolano sul dettaglio; la stagione comunque è questa, e più o meno corrisponde alla data in cui i Turchi furono sconfitti a Vienna. Non so se ci sia un significato recondito dietro a tutto questo, ma comunque "Il ratto dal Serraglio" è sempre un bell'ascolto. Metto qui il più grande Osmino che io conosca, Gottlöb Frick, e una foto dell'allestimento più bello che io abbia mai visto, alla Scala con la regia di Giorgio Strehler (l'immagine viene da un antico supplemento del Corriere della Sera o di Repubblica, difficile ricordarselo oggi; la foto dei fichi era su internet purtroppo senza indicazioni sull'autore).


PS: per chi ha visto "Amadeus" di Milos Forman, è la prima opera di Mozart che vi si vede rappresentata.


martedì 10 settembre 2019

Van Gogh e gli uccelli


(disegno di Vincent van Gogh)











 
Un uccello chiuso in gabbia in primavera sa perfettamente che c'è qualcosa per cui egli è adatto, sa benissimo che c'è qualcosa da fare, ma che non può fare: che cos'è? Non se lo ricorda bene, ha delle idee vaghe e dice a se stesso: «Gli altri fanno il nido e i loro piccoli e allevano la covata» e batte la testa contro le sbarre della gabbia. E la gabbia rimane chiusa, e lui è pazzo di dolore. «Ecco un fannullone - dice un altro uccello che passa di là - quello è come uno che vive di rendita». Intanto il prigioniero continua a vivere e non muore, nulla traspare di quello che prova, sta bene e il raggio di sole riesce a rallegrarlo. Ma arriva il tempo della migrazione (...) lui sta a guardare fuori il cielo tiepido, carico di tempesta, e sente in sè la rivolta contro la propria fatalità. «Io sono in gabbia, sono in prigione, e non mi manca dunque niente, imbecille? Ho tutto ciò che mi serve! Ah, di grazia, la libertà, essere un uccello come tanti altri!»
 
Vincent van Gogh al fratello Theo, da "Lettere a Theo sulla pittura" (1880) edizioni TEA (estratto pubblicato dal Corriere della Sera, settembre 1997)

 

domenica 8 settembre 2019

Big Sur

( fonte )







Ho fatto duemila chilometri per arrivare a Big Sur, un centinaio di chilometri di bellezza irreale, una bellezza tale che quando ti ci trovi di fronte ti senti come una specie di scoria in giacca e cravatta. Big Sur è il luogo nel quale il gran fantasma dell'oceano incontra il fantasma della terra in un'atmosfera nebbiosa, vaporosa, dove abbaiano le foche e dove si ha voglia di fare il mea culpa solo perchè non si è acqua, cielo e aria.

Romain Gary, La notte sarà calma


venerdì 6 settembre 2019

Prezzemolo, salvia, rosmarino e timo


"Scarborough Fair" è una delle canzoni popolari più famose nel mondo, e ha avuto innumerevoli versioni. La melodia è molto bella, il testo si muove tra la canzone d'amore e il mondo delle fiabe. L'enciclopedia dice che Scarborough è una cittadina del North Yorkshire, sul lato est della costa inglese, in alto a Nord, in direzione Scozia, e che la locale Fiera è molto antica, documentata già nel 1253. Se si va a vedere su wikipedia, la voce dedicata a "Scarborough Fair" (la canzone) è molto ampia e contiene molte spiegazioni sui significati reconditi e simbolici del testo. E' tutto molto interessante, ma quel verso ripetuto più volte, "prezzemolo salvia rosmarino e timo" a me dà l'impressione di una di quelle cose che cantavano i venditori al mercato, per attirare i clienti. Insomma, io la apparento da sempre ad altre canzoni popolari come la nostra "La bella la va al fosso" dove le quattro verdure sono (in dialetto milanese) "ravanej, ramulasc, barbietul e spinazz, tri palànk al mazz" (ravanelli, ramolacci, barbietole e spinaci, tre palanche al mazzo: traducendo in italiano si perde la rima). La canzone lombarda è allegra e piena di doppi sensi, e la si potrebbe definire boccaccesca; "Scarborough Fair" parla invece di un innamorato che chiede alla sua dama di compiere imprese impossibili, preparare una camicia senza cuciture né lavoro d'ago, eccetera.
 
(Hans Thoma, 1883)

Per una traduzione completa rimando alla voce apposita su wikipedia, a me oggi interessa solo riascoltare la canzone e ne presento alcune interpretazioni molto diverse.
La prima è del bardo Ewan Mac Coll (qui) grande interprete di musica popolare e politica, e penso proprio che sia la più vicina alla versione originaria (anche se Mac Coll non urla come i venditori del mercato penso che si capisca cosa sta facendo).
La seconda è per voce femminile: una tra le voci più belle, Hayley Westenra. (qui)
La terza è per i nostalgici di Simon & Garfunkel (qui) anch'essi molto politici nelle variazioni al testo originale (era il tempo della guerra nel Vietnam, quando c'era ancora la leva militare obbligatoria)
Esiste anche una bella versione strumentale, opera di John Renbourn (qui)
Per il doppio senso legato al timo (Time e Thyme, stessa pronuncia) rimando a quest'altra pagina del nostro blog (qui)

Le prime strofe del testo:
Are you going to Scarborough Fair?
Parsley, sage, rosemary and thyme,
Remember me to one who lives there,
For she/he once was a true love of mine.
Tell her to make me a cambric shirt,
Parsley, sage, rosemary and thyme,
Without any seam nor needlework,
And then she'll be a true love of mine. (...)

(tavola trovata on line senza indicazioni sull'autore)
 


mercoledì 4 settembre 2019

Figli



Nesciunu i fogghi a pampina.
Crisciunu e savviluppano a chiddu cattrovanu
con fiducia. Cangiano
sutta o suli e all’acqua.
(Edward Hopper, 1906)
Qualcosa diventa lignu, oro, ametista. Qualcosa
resiste; autru casca
o primu ciatu di ventu.
Ancora, però, no cielu sulu sbrizzia.
Iddi, e me occhi, su pronti,
già chini di culuri, d’anima dei santi.
Di chistu sugnu cuntentu.

(Dario D'Angelo, dal suo blog "Solo Testo")



Nascono le foglie a pampini,
crescono e si avviluppano a quello che trovano
con fiducia. Cambiano
sotto il sole e all'acqua.
Qualcosa diventa legno, oro, ametista. Qualcosa
resiste; altro casca
al primo fiato di vento.
Ancora, però, nel cielo pioviggina soltanto.
Essi, ai miei occhi, sono pronti,
già pieni di colori, d'anima dei santi.
Di questo sono contento.




lunedì 2 settembre 2019

Una stanza

                                                                                     Da L'invenzione della solitudine* di Paul Auster

 
Pensa (...)  alle donne di Vermeer, sole nelle loro stanze, con la viva luce del mondo reale che penetra da una finestra ( a seconda dei casi aperta o chiusa ), e alla profonda fissità di quelle solitudini, evocazione quasi atroce del quotidiano e delle sue varianti domestiche. Pensa, in particolare, a un dipinto visto durante il viaggio ad Amsterdam, Donna in blu, la cui contemplazione, al Rijksmuseum, quasi lo paralizzò. Come ha scritto un critico:
" La lettera, la mappa, la gravidanza della donna, la sedia vuota, la scatola aperta, la finestra che non si vede: tutte sono allusioni o simboli naturali dell'assenza, del non veduto, di altri spiriti, altre volontà, altri tempi e luoghi, del passato e deel futuro, della nascita e forse della morte. In generale di un mondo che trascende i confini della cornice, e di orizzonti più vasti, più ampi che si chiudono dando di cozzo nella scena
sospesa davanti ai nostri occhi. Ed è tuttavia sulla pregnanza e sull'autosufficienza dell'attimo che insite Vermeer; con convinzione tale che la sua capacità di orientare e contenere si carica di valore metafisico ". 

Ancor più degli oggetti elencati, è la qualità della luce che entra dalla finestra non vista che lo persuade a volgere l'attenzione verso il difuori, al mondo oltre il dipinto. A. fissa attentamente il volto della donna, e a poco a poco riesce quasi a udirne la voce interiore mentre legge la lettera che ha tra le mani. Quella donna così avanti nella gravidanza , così tranquilla nell'imminenza deella maternità, con la lettera estratta dalla scatola, sicuramente già letta cento volte; e lassù, appesa al muro alla sua destra, una mappa del mondo che è immagine di tutto quanto esiste fuori dalla stanza: quella luce, che scende dolcemente sul suo volto e si riflette sul grembiule blu, il ventre gonfio di vita il cui blu è immerso nella luminosità, in una luce così pallida da essere quasi bianca. (...)

"La pregnanza e l'autosufficienza dell'attimo presente".






*   L'invenzione della solitudine è un libro autobiografico ma Paul Auster sceglie di parlare di sè ( A. ) in terza persona.
("... A. comprende che, mentre seduto in quella stanza scrive Il libro della memoria, sta parlando di sè come se fosse un altro per raccontare la propria storia. Deve assentarsi per essere presente. E così dice "A"., anche se intende "Io". Perchè la storia della memoria è una storia di sguardo; e rimane una storia di sguardo anche se le cos che si devono vedere non ci sono più " )