sabato 31 marzo 2018

Ornitorinco ( I )


Sono un sincero estimatore dell'ornitorinco (o platipo), forse perchè in Australia ho avuto occasione di vederlo dal vivo, ma anche perchè pare essere stato creato da Dio o dalla Natura per mettere in questione il nostro apparato categoriale. L'ornitorinco ha un becco d’anatra, le zampe palmate e fa le uova, ma non é un uccello, passa gran parte della giornata sott'acqua ma non è un anfibio, è coperto di pelo, ha la coda da castoro, allatta i piccoli ma non ha capezzoli, e si fatica a capire da dove i neonati succhino il latte. Quando, alla fine del 700, un esemplare impagliato è stato portato in Inghilterra, i naturalisti lo hanno giudicato lo scherzo di un taxidermista. Finalmente (ma il dibattito è durato decenni) si sono decisi di classificarlo tra i mammiferi, ordine dei monotremi, ma se andate a vedere un albero tassonomico lo trovate proprio di fianco, come in uno strapuntino, per non lasciarlo andare in giro come un apolide. E' pertanto un animale apparentemente antikantiano, a tal segno che (proprio per saggiare meglio la teoria kantiana della conoscenza) mi sono proposto di scrivere un saggio su Kant e l'ornitorinco. Siccome le enciclopedie che avevo in casa non mi davano notizie storiche, mi è venuta l’idea di cercare su internet. Come ho poi controllato, avrei trovato qualcosa anche se lo avessi cercato col suo nome scientifico (ornithorhynchus anatinus), con quello italiano, francese, tedesco, eccetera. Ma internet parla per lo più inglese e ho cominciato con “platypus".

giovedì 29 marzo 2018

Concerto




Come d’intesa con Meehawl MacMurrachu, il Filosofo mandò i bambini in cerca di Pan. Spiegò molto bene a tutti e due quello che dovevano dire al Dio Silvano, e la mattina presto, dopo avere ascoltato gli ammonimenti della Donna Magra di Inis Magrath, i bambini si misero in cammino.
Quando arrivarono allo spiazzo nella pineta, dove il sole splendeva attraverso i rami, si sedettero un momento per riposarsi a quel tepore. Gli uccelli piombavano giù di continuo lungo quel pozzo di foglie, poi sfrecciavano via nell'ombra della pineta. Avevano sempre qualcosa nel becco: un verme, una lumaca, una cavalletta, un batuffolo di lana strappato a una pecora, un brandello di stoffa, un filo di paglia; e dopo aver riposto quelle cose in un luogo prestabilito, risalivano in volo quel pozzo di sole e andavano a cercare qualcos’altro da portare a casa.

martedì 27 marzo 2018

Che cos'è la vita


La vita dell’uomo tra il cielo e la terra è come un puledro bianco che salta una scarpata: un lampo, ed è finito.

Zhuang-zi (Chuang-tzu), pag.201 ed. Adelphi 2001 traduzione di Carlo Laurenzi e Christine Leverd



(Adolphe Van der Venne, 1828-1911)

domenica 25 marzo 2018

Il labirinto senza muri


Narrano gli uomini degni di fede che nei primi giorni ci fu un re delle isole di Babilonia che radunò i suoi architetti e maghi e ordinò loro di costruire un labirinto tanto complicato e sottile che gli uomini più prudenti non osavano entrarvi, e coloro che entravano si perdevano. Quest'opera era uno scandalo, perché la confusione e la meraviglia sono proprie di Dio e non degli uomini. Con l’andar del tempo venne alla sua corte un re degli arabi, e il re di Babilonia (per farsi beffe della semplicità del suo ospite) lo fece entrare nel labirinto, dove vagò vergognoso e confuso fino al calar della sera. Allora implorò l’aiuto divino e trovò la porta. Le sue labbra non profferirono alcuna lamentela, ma disse al re di Babilonia che egli aveva in Arabia un labirinto migliore, e che se Dio voleva, un giorno glielo avrebbe fatto conoscere. Poi tornò in Arabia, riunì i suoi capitani e cadì e invase i regni di Babilonia con tanta venturosa fortuna che ne abbattè i castelli, ne sbaragliò le genti e fece prigioniero lo stesso re. Lo legò sulla schiena di un veloce cammello, e gli disse: “O re del tempo e sostanza ed emblema del secolo! a Babilonia mi facesti perdere in un labirinto di bronzo con molte scale, porte e muri; ora il Potente ha voluto che ti mostri il mio, dove non esistono scale da salire né porte da forzare, né faticose gallerie da percorrere, né muri che ti vietino il passo." Poi gli sciolse i lacci e lo abbandonò in mezzo al deserto, dove morì di fame e di sete.


Storia dei due re a dei due labirinti, da "The land of Midian Revisited" (1879) di R.F. Burton
tratto da "Racconti brevi e straordinari", a cura di Adolfo Bioy Casares e Jorge Luis Borges, pagine 84-85 edizione Franco Maria Ricci, traduzione di Gianni Guadalupi.



venerdì 23 marzo 2018

La pietra filosofale (Tagore)


LXVI
Un pazzo vagabondo cercava   la pietra filosofale;
coi capelli arruffati,   bruni, coperti di polvere,
il corpo ridotto ad un'ombra,
le labbra serrate   come le parti chiuse del suo cuore,
gli occhi ardenti come il lume
della lucciola che cerca il suo compagno.
Davanti a lui rumoreggiava    l’oceano infinito.
Le garrule onde parlavano incessanti
di tesori nascosti,
burlandosi dell’ignoranza   che non conosce il loro segreto.
Forse ora non gli restava
più nessuna speranza,
e pure non voleva fermarsi    perché quella ricerca
era diventata la sua vita --
Proprio come l’oceano   per sempre leva le sue braccia
al cielo, per raggiungere l'impossibile -
Proprio come le stelle girano in tondo
cercando una meta   che non può mai essere raggiunta --
Proprio così sulla spiaggia solitaria
il pazzo dai capelli bruni e polverosi
vagava in cerca della pietra filosofale.

mercoledì 21 marzo 2018

Le stagioni secondo Wyatt


Come sempre con Robert Wyatt, è difficile capire se sta facendo sul serio o se ti prende in giro, o se magari si sta solo divertendo con un nonsense: « L'Inverno è il tempo in cui penso al passato» potrebbe essere il verso di un grande poeta, invece «D'Estate è quando mi piace star seduto sull'erba» è poco più di una considerazione da banale chiacchierata, eppure alla fine qualcosa rimane in mente. Qui Wyatt era molto giovane, suonava la batteria da grande percussionista e cantava nel secondo lp dei Soft Machine; prima presenta "The British Alphabet" ("Ladies and Gentlemen, the British Alphabet!") nei due sensi, quello giusto e poi alla rovescia (non è da tutti) e poi comincia a raccontare le stagioni e il passare del tempo, mettendomi subito in difficoltà perché non riesco a tradurre il senso del finale del primo verso ("means to ends"), ma insomma. E' qualcosa che ascolto sempre molto volentieri, spero che sia lo stesso per voi.



HIBOU, ANEMONE AND BEAR (un clic qui per l'ascolto)

Words by Robert Wyatt, Music by Mike Ratledge

In the Spring, I think of sex and means to ends
Summertime, I like to sit upon the grass
Autumn nights I go to parties with my friends
Winter time is when I think about the past
But of course I do all those things all year 'round
I mean, all the good things are there to be found
It's all here, pick-a-back and get to work
If you don't, your life will surely go berserk
Or indeed be bored to death, which is worse?
If something's not worth saying
Not worth saying
Not worth saying
Say it...



(In primavera, penso al sesso "and means to ends"; in estate, mi piace stare seduto sull'erba; nelle notti d'autunno vado alle feste con i miei amici; d'inverno è quando penso al passato. Ma, ovviamente, faccio queste cose tutto l'anno - voglio dire, le cose belle sono qui per essere trovate, è tutto qui, metti in spalla e comincia a lavorare. Se non fai così, la tua vita diventerà sicuramente piena di rabbia, o magari sarai annoiato a morte: cosa è peggio? Se qualcosa non vale la pena di essere detto, se non vale la pena di essere detto, dillo...)

(disegni da The Oswick Bird di Edward Gorey, 1966)

lunedì 19 marzo 2018

Bufali

Fra le storie del deserto egizio, una narra d'un anacoreta che pasceva con i bufali. Chiese a Dio come potesse migliorare e udì la risposta, di andare in un certo cenobio. Qui i novizi lo insultano ed egli non sa svolgere i suoi lavori, finché nuovamente si rivolge a Dio: «Signore, il lavoro degli uomini io non lo capisco, rimandami dai bufali». Dio consentì e di nuovo l'anacoreta visse tra i bufali nelle campagne. Ma un giorno cadde coi bufali nelle reti che i cacciatori avevano teso. Gli venne in mente di liberarsi, ma ripensò che se usava le mani da uomo doveva tornare a vivere con gli uomini, e rimase inerte. Quando la mattina i cacciatori sopravvennero, rimasero esterrefatti e lo misero in libertà insieme ai bufali, ed egli fuggì correndo dietro ai bufali.


Elemire Zolla, dal Corriere della Sera 21.09.1988 (storia dei rapporti fra uomini e gli altri esseri viventi nelle religioni)



(immagine trovata senza indicazioni, purtroppo)





sabato 17 marzo 2018

La pietra di luna

Una nuova melodia, alta e gioiosa, si levò dal tempio nascosto. La folla attorno a me rabbrividì e si strinse insieme. La tenda tra gli alberi fu spostata e il santuario fu visibile. Lì, alto su un tronco, poggiato sulla sua solita antilope con le quattro zampe allungate verso i quattro angoli della terra, si levò sopra di noi, scuro e tremendo nella luce mistica del cielo, il dio della Luna. E lì, sulla fronte della divinità, brillava il Diamante Giallo, il cui splendore- l'ultima volta che lo avevo visto - mi aveva rischiarato in Inghilterra, dalla scollatura del vestito di una donna! Sì! Dopo un intervallo di otto secoli, la Pietra di Luna guarda di nuovo oltre le mura della città sacra dove la sua storia è iniziata.(...). Dunque, gli anni passano, la storia si ripete e gli stessi eventi ruotano nei cicli del tempo. Quale sarà la prossima avventura della Pietra di Luna?Chi può dirlo? 

Wilkie Collins, La pietra di luna, ed Newton Compton
Traduzione di Adriana Altavila



Qui una sequenza dello sceneggiato RAI
Qui caratteristiche e proprietà della pietra di luna



giovedì 15 marzo 2018

Il gatto Felix


La Gatta si siede e guarda qualcosa che a me sfugge. Io sono alla finestra, lei è di schiena, difficile dire cosa sta pensando ma la macchia nera sul dorso, a forma di punto, e la posizione della coda mi riportano a qualcosa di familiare, qualcosa a cui non stavo proprio pensando e che non mi tornava alla memoria da tanti di quegli anni che non saprei nemmeno dire quanti. Ma sì, il gatto Felix: la coda che diventa un punto interrogativo, o magari un bastone, o un punto esclamativo.



Molti pensano che Felix sia solo una marca di cibo per animali, invece è un nome che viene da lontano. Io da bambino vedevo in tv i cartoni animati  degli anni'60, che sono belli e divertenti, ma se davvero volete conoscere il gatto Felix fate un giro su youtube, e cercate i cartoni di Otto Messmer e di Pat Sullivan, che sono degli anni '30. Ce ne sono tanti, a decine, e sono tutti belli e stralunati.




Intanto, mentre io elaboravo il mio ricordo, la Gatta ha sciolto il suo punto interrogativo e se ne è andata chissà dove (non lontano, credo di sapere dov'è quel dove). Qui sotto è rimasta solo Ciccetta, sua figlia anche se a vederle vicine non sembrerebbe mai che siano parenti: Ciccetta dorme e sogna nell'amaca, chissà cosa sta sognando.

(New York, 1927, thanksgiving day)

martedì 13 marzo 2018

Il gatto di Dio


«Caspita! - fece l'Imbriani col poco fiato che gli rimaneva - Doveva essere un gatto ben prezioso! E chi era mai il padrone? Lei lo sa? »
« Sì che lo so. Il suo padrone era Dio, Nostro Signore. »
« Un gatto di Dio? Come è possibile? »
« Tutti i gatti sono di Dio», fece il passante, e alzò un dito ammonitore.

(Dino Buzzati, Il delitto del cavaliere Imbriani, da "Il crollo della Baliverna")




(Willy Ronis, 1957, Francia)


domenica 11 marzo 2018

Un cavallo come Dio comanda


Un arabo incontrò il Profeta e gli disse: «O apostolo di Dio! Mi piacciono i cavalli. Ci sono cavalli in Paradiso?» Il Profeta rispose: « Se vai in Paradiso, avrai un cavallo con le ali, e lo monterai e andrai dove vorrai.» L'arabo ribattè: «I cavalli che mi piacciono non hanno le ali.»

Thomas Patrick Hughes, A dictionary of islam (1935)
tratto da "Cielo e inferno" di Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares
(editore Franco Maria Ricci 1972, pagina 119, traduzioni di Antonio Porta e Marcelo Ravoni)


(dipinto di George Stubbs)

giovedì 8 marzo 2018

Charles-Valentin Alkan



Per un certo periodo, quando la confusione della mia vita a Parigi aveva raggiunto livelli di guardia, feci ricerche, e accarezzai l'idea di scrivere un breve libretto su un geniale e bizzarro compositore: Charles-Valentin Alkan ( 1813-1888 ). Ero rimasto folgorato dopo aver sentito, nel silenzio di una notte afosa, alla radio, la sua Marcia funebre sulla morte di un pappagallo (...) ( qui ). Mi diedi subito alla caccia dei dischi con le sue musiche: Ma era come cercare dei pezzi rari di una collezione di porcellane Meissen. Ogni nuovo disco che trovavo, mettendo a soqquadro i quasi sempre disordinati scaffali dei negozi ( in un grande magazzino trovai un suo CD accanto a quelli di Al bano ), era un piacere tutto particolare che cresceva dopo l'ascolto.
Charles-Valentin Alkan apparteneva a una famiglia ebraica di musicisti, i Morhange, di Parigi. Lui e i suoi fratelli usarono come cognome il nome del padre, Alkan ( che significa: il Signore è stato benigno ), insegnante di musica. Charles-Valentin fu un bambino prodigio: entrò al Conservatorio all'età di sei anni(...) . 

lunedì 5 marzo 2018

Disgelo

(fa ancora freddo, e si annunciano tempi molto difficili per noi tutti,
difficili come non lo erano da settant'anni. L'inverno, però, sta comunque per finire.)


Franz Schubert, Am Bach im Frühling  (un clic sul titolo del lied per l'ascolto )

Hai appena spezzato la crosta gelata,
e scorri felice e libero ora.
L'aria soffia nuovamente mite,
l'erba e il muschio tornano nuovi e verdi.
Solitario, con animo dolente,
come facevo una volta, mi avvicino alle tue onde.
La terra intorno è tutta fiorente,
ma non ne viene alla mia anima nessun conforto.
Qui mi porta sempre un identico vento,
nessuna speranza allieta il mio cuore,
tranne un fiore che ho appena trovato:
azzurro, come il ricordo che rifiorisce.

(testo di Franz von Schober, musica di Franz Schubert)



(Wilhelm Hammershoei 1896)


Am Bach im Frühling

Du brachst sie nun, die kalte Rinde,
Und rieselst froh und frei dahin.
Die Lüfte wehen wieder linde,
Und Moos und Gras wird neu und grün.
Allein, mit traurigem Gemüte
Tret' ich wie sonst zu deiner Flut.
Der Erde allgemeine Blüte
Kommt meinem Herzen nicht zu gut.
Hier treiben immer gleiche Winde,
Kein Hoffen kommt in meinem Sinn,
Als daß ich hier ein Blümchen finde:
Blau, wie sie der Erinn'rung blühn.

     (Franz von Schober, music by Franz Schubert)



sabato 3 marzo 2018

Il lavoro di Adamo

« A volte » disse « domando al vecchio Alex il nome di una pianta e lui mi risponde "nessun nome", intendendo: "nel mio paese questa pianta non cresce"».
Lei allora cercava un informatore che da bambino avesse vissuto dove la pianta cresceva, e scopriva che dopotutto un nome ce l'aveva. Il «cuore arido» dell'Australia, disse, era un mosaico di microclimi, dove diversi erano i minerali nel terreno e diversi gli animali e le piante. Un uomo cresciuto nel deserto conosceva a menadito la sua flora e la sua fauna, sapeva quale pianta attirava la selvaggina, sapeva che acqua bere. Sapeva dove sottoterra c'erano dei tuberi. In altre parole, dando un nome a tutte le "cose" del suo territorio, un uomo poteva sempre contare di sopravvivere.
«Ma se lo porti in un'altra regione con gli occhi bendati, - disse - magari va a finire che si perde e muore di fame». « Perché ha perso i suoi punti di riferimento?». « Sì.»
« Ossia l'uomo “crea” il suo territorio dando un nome alle “cose" che ci sono?»
« Proprio così.» Il suo volto si illuminò.
«Quindi è possibile che il presupposto di una lingua universale non sia mai esistito?».
«Sì ». Ancora oggi, disse Wendy, quando una madre aborigena nota nel suo bambino i primi risvegli della parola, gli fa toccare le "cose" di quella particolare regione: le foglie, i frutti, gli insetti e così via. Il bambino, attaccato al petto della madre, giocherella con la "cosa", le parla, prova a morderla, impara il suo nome, lo ripete - e infine la mette in un Canto.
« Noi diamo ai nostri figli fucili e giochi elettronici» disse Wendy.« Loro gli hanno dato la terra».

Bruce Chatwin, Le vie dei canti, pag.283 traduzione di Silvia Gariglio, ed.Adelphi 1991



(disegni di Hoefnagel, scrittura di Bocskay; 1525)



giovedì 1 marzo 2018

Orchi e balene


La storia di Arianna è a lieto fine: abbandonata da Teseo sull'isola di Nasso, dopo averlo aiutato ad uscire dal Labirinto, è disperata e vorrebbe morire. Ma poi la giovane reagisce, subentra la rabbia verso l'uomo che amava e l'ha abbandonata, invoca contro di lui le tempeste e i mostri marini ("orchi e balene"), subito se ne pente, è ancora innamorata e torna a straziarla il dolore dell'abbandono. E' qui, in queste condizioni, che la trova Dioniso: la prende con sè, con dolcezza, e la fa sua sposa. Al mito di Arianna abbandonata si ispirarono molti scrittori, poeti e musicisti di tutte le epoche; "Arianna" è anche un'opera di Claudio Monteverdi, un'opera per noi perduta, che non possiamo più eseguire né riascoltare.
L'Arianna di Monteverdi è dunque un'opera perduta, ed è un fatto ben strano perchè ebbe numerose rappresentazioni e in città lontane fra di loro. E' più che probabile che prima o poi qualche baule o qualche biblioteca ci renda l'opera intera, ma per ora abbiamo soltanto il Lamento di Arianna, che è un brano molto famoso e molto eseguito in concerto. Il Lamento di Arianna è arrivato fino a noi perché Monteverdi lo incluse nel suo Sesto Libro dei Madrigali, pubblicato a stampa nel 1614; ed è un ascolto strano e affascinante, perché il lamento della giovane donna abbandonata è scritto per cinque voci, cioè il canto di Arianna è ripreso e modulato da cinque persone diverse, voci maschili e femminili che si intersecano e che ribadiscono come un'eco continua e dolorosa i suoi sentimenti. Accade così anche dentro di noi, nei nostri momenti più difficili e dolorosi: le voci interne che si sommano fra di loro, che si aggrovigliano, non fai in tempo ad ascoltarne una che già altre ne nascono, come da un'idra o da un mostro marino. Poi tutto passa, il dolore si scioglie, la vita continua.