domenica 30 maggio 2021

Musica da camera

 Ecco, è tornata: come tutti gli anni, c’è almeno una vespa che gioca a fare il vasaio nel cassone della mia tapparella. La vespa non si vede, è dentro il cassone e ci arriva dall’esterno (la tapparella lascia sempre libero un piccolo spazio, altrimenti sarebbe inutilizzabile), ma il suono che produce è caratteristico: si va dallo gnigni ben accordato (quasi il trapano del dentista) delle vespine più piccole fino alla serie di sonore pernacchiette che sta emettendo questa qui di oggi. Cose del tipo: pè-pè-pè-pepepè-pè-pepepepepèè, e via dicendo, con la voce insistente e petulante di una zitella d’altri tempi, arrabbiata e noiosa, che ogni volta mi fa trasalire quando comincia, perché mi coglie sempre di sorpresa quando meno me l’aspetto. Dovrebbe trattarsi di una Eumenes pomiformis o forse di una Sceliphron spirifex, ma per saperlo con precisione, dovrei prendere la scala e andare ad aprire il cassone – con il caldo che fa, figuriamoci se mi metto a indagare. Mi tengo le pernacchiette, e pazienza.

Comunque sia, non c’è da preoccuparsi: le vespe muratrici, o vespe vasaie, fanno vita solitaria e non sono pericolose. Porterò pazienza e la lascerò fare, come tutti gli anni: queste vespe non sono del tipo che fanno i vespai e sono tutt’altra cosa dai calabroni (grossi e aggressivi: allora sì che c’è da aver paura). Sono sicuramente vespe del genere eumenes e del genere sphex, e simili: una vespa e una larva sola, e non una vespa e tante larve.

Il cassone della tapparella, essendo di legno ben stagionato, fa da cassa armonica e amplifica il rumore della vespa: che muove le ali per asciugare la malta, e quindi non è una voce e nemmeno un verso, ma sembra proprio che stia parlando. Una voce stizzita e un po’ permalosa, noiosa, del genere di quelle che arrivano dall’altra parte del telefono nei cartoni animati; ma non sempre è così, dipende dal tipo di vespa e anche dal punto in cui si è messa a lavorare, la cassa di risonanza dà suoni diversi se è presa in un punto oppure in un altro.

Tra poco avrà finito, deporrà il suo uovo dentro il lavoro di muratura (o di vasaio, a seconda della specie) e poi andrà a caccia, perché le larve di queste vespe sono carnivore. Le prede sono ragni e ragnetti, paralizzati e resi inoffensivi: crescendo, la piccola larva se li mangerà un po’ alla volta. Uno scenario terribile, insomma, ed è per cose come queste che ringrazio il Creatore: lo ringrazio perché mi ha fatto molto più grande sia dei ragni che delle vespe (e delle mantidi, eccetera eccetera).

Però, intanto, il quartetto di Mozart che stavo ascoltando mi è diventato un quintetto: due violini, viola, violoncello, e una vespina che doppia la parte del violoncello. Se solo la vespina andasse a tempo, non sarebbe neanche male. Si potrebbe perfino dare un nome a questo complesso del tutto nuovo e del tutto inedito: va bene “Quintetto Eumenes”? A me piace, approvato.

Giuliano

( dal blog deladelmur )


(il dipinto con la violoncellista è opera di Robert Berenyi, / )

mercoledì 26 maggio 2021

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Qualcosa da ascoltare... ( qui )




  

                                                                                                                                ( foto di Maik Lipp )

mercoledì 19 maggio 2021

Il sogno di Opale

 Un "carotaggio letterario" di

Il sogno di Opale di Subhaga Gaetano Failla

ed. Ensemble

Le illustrazioni sono di Davide Bonazzi (fonte )



Lontano



Lui poteva scegliere adesso il tempo in cui mangiare e quello del sonno e del risveglio, l'ora dello studio e se morire di fame o d'angoscia oppure sopravvivere e rinascere.




                                                                    

A Opale


L'ultima dimora era stata una stanzetta così minuscola che se allargava le braccia per sbadigliare toccava con una mano il muro e con l'altra l'armadio. Ma c'era una grande finestra, un'apertura che dava sulla valle. Talvolta Gesualdo sedeva in equilibrio sul davanzale e restava incantato a osservare i colli e i cipressi e le oscillazioni di verde, del placido ondeggiare di un mare vegetale, e le casupole diradate e il bel cielo di tela antica, come nei dipinti rinascimentali.












Nella metropoli


notò una giovane donna, ferma nella macchina al semaforo, utilizzare quei pochi secondi per passarsi il rossetto sulle labbra, prima di tornare alla guida allo scattare del verde. Davvero inconcepibile, per uno come lui abituato a svegliarsi e a mettersi in azione con lentezza, e vissuto nelle consuetudini di un'esistenza che scorreva come un fiume torpido, quasi regolata ancora dal ritmo delle stagioni.




Autostop


Passarono ore e ore sotto il sole , avvolti dal profumo di nepitella, di origano e rosmarino, assetati e affamati. Talvolta, per rimandare un poco l'arsura e la fame, mangiavano ciuffi di finocchio selvatico che cresceva ai margini della strada.




La neve 

Il giorno successivo nevicò. Ognuno si attaccò di nuovo alle sbarre della finestra. La neve cadeva a fiocchi fitti, precipitava verso la strada a strapiombo dalla sommità, molto alta del carcere. Era un incanto, una meraviglia silenziosa. Le guardie non vennero a intimare di scendere dalle finestre. Eppure, quella comunicazione - ogni compagno restò per qualche secondo in segreta sintonia con la nevicata - era più pericolosa del contatto con un corteo di protesta. Si chiama poesia e mette radici profonde e salde che gli accidenti e le mutevolezze storiche difficilmente riescono a scuotere.
 







Nella città di Alice

si erano dati appuntamento compagni di mezza Europa. (...) per le strade e le piazze era (...) uno sciamare di orchestrine improvvisate, di chiacchierate all'aperto, di conferenze nelle aule universitarie sui temi più svariati, di scene teatrali messe in piedi in un attimo tra la folla festante dei compagni, durante gli ultimi giorni di un'estate eterna.




Il posto delle fragole

Ancora storditi dall'emozione, si erano ritrovati fuori, nella stradina del cinema ricoperta di neve caduta durante la proiezione. Sembrava un altro sogno creato da Bergman




Un risveglio

Al mattino si accorsero di aver dormito in una immensa area archeologica in fase di scavo. Erano stati forse protetti dalle antiche divinità, nessun acquazzone aveva guastato l'ultima notte del viaggio.






Il palco

...il palco crollò ma non completamente. Si adagiò di lato come un animale stanco e schiacciò parte del territorio del mondo nascosto.
(...)
Qualche giornalista si affrettò a cercare simbologie di fine di un'epoca o di un sogno, in quel crollo del palco, dettate dalla concezione dominante di un tempo lineare. Nel tempo ciclico, invece, il palco precipita e si erge infinite volte, senza punti di inizio né di fine, come nella circonferenza di un cerchio.




Sullo sfondo il palco del Festival internazionale dei poeti a Castelporziano







sabato 15 maggio 2021

 


qualcosa da ascoltare ... ( qui )


(l'immagine è un dipinto di Ettore Spalletti )

lunedì 10 maggio 2021

I fari della solitudine

 

da “Diario di un naufrago felice” di Paolo Cossato


Ar-Men:  il nome significa in bretone roccia ancorata sulla pietra. Ed è una roccia a trentacinque miglia dall’Isola di Sein, a nord-ovest delle coste francesi sull’Atlantico. Ma è più noto ai guardiani dei fari come Enfer des Enfers, inferno degli inferni, poiché a volte le onde arrivano quasi a sfiorare il culmine dei suoi trentasette metri. Si erge sul mare che bagna la regione della Francia un tempo detta Finistère. Finis terrae,  il confine della terra: così lo  si chiamava in tempi lontani, e Finsternis in tedesco significa tenebra. Nella tenebra affondava lo sguardo rivolto verso il confine segnato dalla notte e dalle acque dell’oceano. Costruito tra il 1867 e il 1881, la sua luce oggi si coglie ad oltre venti miglia in un bagliore intermittente ogni quindici secondi.

martedì 4 maggio 2021

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 Qualcosa da ascoltare ( qui )