sabato 30 novembre 2019

Maria Sybilla Merian






















Maria Sybilla Merian (Francoforte sul Meno 1647- Amsterdam 1717) è figlia di un incisore ed editore svizzero, Matthaeus Merian, e di Johanna Sybilla Heim, sua seconda moglie. Rimane orfana di padre a tre anni, e sua madre si risposa con il pittore Jakob Marell. Si sposa a 18 anni, anche lei con un pittore, nel 1665. Diventa una valente botanica ed entomologa iniziando a disegnare i bachi da seta e via via appassionandosi alle scienze naturali in un'epoca in cui anche le persone colte seguivano ancora Aristotele secondo il quale i bruchi nascevano dalla putrefazione ed erano bestie immonde. Maria Sybilla Merian pubblica prima un libro di botanica e poi uno sui bruchi, dove nelle tavole mette il bruco, la pianta di cui si nutre, e l'adulto. I libri sono dei capolavori, molto accurati anche da un punto di vista scientifico. Ha due figlie e una vita molto ricca, da romanzo (fate un giro su ww.wikipedia.it, meriterebbe un film o uno sceneggiato tv) che la porterà fino in Suriname dopo aver conosciuto Federico Ruysch, nel 1699. Dalla fauna e dalla flora del Suriname nasce un altro libro, un altro capolavoro ancora oggi molto consultato. In Suriname però si ammala, ed è costretta a tornare in Europa. Il suo ritratto ( qui ) era sulla banconota da 500 marchi, nella Repubblica Federale Tedesca. Qui metto un piccolo campionario delle sue infinite meraviglie.









giovedì 28 novembre 2019

Mary Vaux Walcott
















Mary Morris Vaux (americana 1860-1940) prima che pittrice era una naturalista, botanica e geologa; nata a Philadelphia in Pennsylvania da ricca famiglia quacchera, fin da giovane comincia a fare escursioni e scalate sulle Montagne Rocciose; in Canada una montagna ha il suo nome (Mount Mary Vaux). Pittrice e anche fotografa, collabora con lo Smithsonian Institute e pubblica libri molto belli e molto dettagliati, di grande valore scientifico. Nel 1914, a 54 anni, già famosa, sposa il paleontologo Charles Doolittle Walcott dello Smithsonian Institute. Mary viaggia molto negli Usa e in Canada, e a 75 anni va in Giappone per trovare un'amica che aveva sposato un diplomatico giapponese. Una biografia notevole, per una donna di quel periodo storico; da non perdere i suoi disegni e le tavole dai suoi libri, ne porto qui qualcuna come esempio. (notizie da wikipedia in inglese)





(la foto di Mary Vaux è del 1914, l'anno del suo matrimonio)














martedì 26 novembre 2019

Jesce Sole


In questi giorni un'invocazione al Sole l'abbiamo fatta tutti, anche se è autunno e il sole non sarà certo così "scagliento". Il testo è quasi comprensibile anche a chi non è napoletano, soprattutto se ascoltate e non leggete soltanto. Dedicato a tutti quelli che sono in ansia o che stanno soffrendo in questi giorni di alluvione, dal Piemonte a Matera, da Sarno a Venezia, alla Liguria tutta e a tutti gli altri. Spero che funzioni, magari se lo recitiamo insieme funziona.
(Una sola cosa ancora: masto Giuliano non sono io, ma questo penso che fosse già chiaro fin dall'inizio)
 
 
Jesce, jesce, jesce Sole
scagliento imperatore
scaniello mio d'argento
che vale quattuciento
Cento cinquanta tutta la notte canta
canta viola lu masto de scola
masto masto mannancienne presto
ca scenne masto Tieste
cu lanza cu spada
cu l'auciello accumpagnata
Sona sona zampugnella
ca t'accatta la vunnella
la vunnella de scarlato
si nun sona te rompo la capa
Nun chiovere
nun chiovere
ca aggia ire a movere
a movere lu grano
de masto Giuliano
Masto Giuliano
manname na lanza
ca aggia ire in Franza
da Franza a Lombardia
dove sta madama Lucia
Nun chiovere
nun chiovere
Jesce, jesce Sole
(dal primo lp della Nuova Compagnia di Canto Popolare, anno 1973)
 
qui per l'ascolto
 
(il sole del disegno viene da un libro del 1905, non meglio definito, trovato in rete)

domenica 24 novembre 2019

La colonna sonora di Milano


(la foto è mia: le colonne di san Lorenzo, 8 febbraio 2017)
Raffaele Calzini, scrittore e giornalista del «Corriere della Sera», scrisse un libro molto bello su Milano: angoli, gente, mestieri e rumori. Il libro è purtroppo esaurito e nessuno lo ristampa.
I suoi rumori si sono perduti, non c'è nemmeno l’ombrellaio, le pianole sono senza asino. Nessuno lancia nella strada un cento lire fasciato in un pezzo di giornale, l’arrotino non serve perché il coltello non più affilato lo ricomperi per pigrizia e ricchezza alla Rinascente.
Un tempo si sentiva il treno la notte e il suono del treno ti faceva dormire. Era come sapere che Milano era circondata da mura, da massicciate imprendibili perché c’era il treno che ci difendeva. Le mura di Lucca fanno ridere se uno pensa ai cavalcavia di Milano.
In cielo c'erano le luci dell’aeroplano, senza suoni, pattuglie stellari che ci proteggevano perché visitavano la notte con fanalini rossi che garantivano il silenzio. Oggi la città è sempre fantastica, anche se le luci e i rumori sono cambiati. Catalogo gli strilli delle ambulanze e delle macchine della polizia. Le croce rosse-bianche fanno uàu-dùm, uàu-dùm, uàu-dùm, le crocerosse-rosse fanno pìufit, pìufit, pìufit, le macchine della polizia uàng-uàng-uàng. Ho anche un autobus triste che passa qui sotto, il 43, sempre solo alle undici di sera, che mi scruta con le sue luci vuote di gente all’interno e mi prega di salire. Io lo guardo, lui aspetta. Non salgo, e allora tristemente, poiché l’orario é l’orario, si alza e si mette in moto con un gràu-toff e prosegue impacciato.
Quando c'è la neve i rumori sono più morbidi e lenti, se c'è il vento gli strilli delle moto che vanno a messa a S. Angelo sono accelerazioni insopportabili. Ma per fortuna a quest'ora non ci sono moto perché hanno paura della strada e rimane soltanto qualche vùm che passa. Una Panda, forse la Uno turbo, o una vecchia Ardea ristrutturata.
Io non posso dormire in campagna. Ho bisogno la mattina dei cigolii delle gru e delle raffiche del martello pneumatico, di un muratore che pesta una lamiera e di un corteo che grida. Anche se da casa mia non sento lo zing di una bicicletta non m’importa. Se lo sento vuol dire che c’è tramontana e che alzandomi vedrò il Monte Rosa.

(Giovanni Gandini, "Caffè Milano", Edizioni Scheiwiller / All'insegna del pesce d'oro, 1987 pag.68-70)

venerdì 22 novembre 2019

Paura del buio


(Borowski 1897 Berlino)
Se ogni neonato ha il desiderio di muoversi in avanti, il passo successivo è scoprire come mai non gli piace star fermo. Dopo aver ulteriormente approfondito le cause di ansietà e di collera nei bambini piccoli, il dottor Bowlby è arrivato alla conclusione che il complesso legame istintivo fra madre e figlio, gli strilli di allarme del bambino (molto diversi dai piagnucolii di freddo, fame o malessere), la 'misteriosa' capacità della madre di udirli, la paura che il bambino ha del buio e degli estranei, il suo terrore per gli oggetti che si avvicinano rapidamente, le sue invenzioni di mostri da incubo dove non ce ne sono - insomma tutte le sconcertanti "fobie" che Freud cercò senza successo di spiegare - si potevano in realtà motivare con la costante presenza di predatori nella casa primordiale dell'uomo. Bowlby cita i Principi di psicologia di William James: «Nell'infanzia la maggiore fonte di terrore è la solitudine». Un bambino solo, che scalcia e strilla nel suo lettino, non sta necessariamente mostrando i primi segni della Pulsione di Morte o della Volontà di Potenza o dell’«impulso aggressivo» a rompere i denti al fratello; queste sono cose che magari si sviluppano in un secondo tempo. No. Il bambino strilla perché - se trasferiamo il lettino in mezzo ai rovi dell'Africa - o la madre torna entro pochi minuti o una iena lo mangerà.
Sembra che ogni bambino abbia un’immagine mentale innata della "cosa" che potrebbe attaccarlo: al punto che qualunque "cosa" lo minacci, anche se non è la "cosa" reale, innescherà una sequenza prevedibile di comportamenti difensivi. La prima tattica difensiva sono gli strilli e i calci; così la madre deve esser preparata a combattere per il figlio, e il padre a lottare per entrambi. Di notte il pericolo raddoppia, perché di notte l'uomo non ci vede ed è proprio di notte che i grandi felini vanno a caccia. E sicuramente questo grande dramma manicheo - la luce, le tenebre e la Bestia - è il nocciolo della condizione umana.
Chi visita il nido di un ospedale è spesso stupito dal silenzio. Eppure, se la madre ha davvero abbandonato il figlio, l'unica possibilità che lui ha di sopravvivere è di tenere la bocca chiusa.

(Bruce Chatwin, Le vie dei canti, pag.244 traduzione di Silvia Gariglio, ed.Adelphi 1991)




mercoledì 20 novembre 2019

Nei boschi

illustrazione di A.Sanna

...Mi colpì specialmente il viaggio di Chris McCandless, raccontato da Jon Krakauer in Into the Wild. Forse perché Chris non era un filosofo dell’Ottocento ma un ragazzo della mia epoca, che a ventidue anni aveva lasciato la città, la famiglia, gli studi, un futuro brillante concepito secondo i canoni della società occidentale, ed era partito per un vagabondaggio solitario che sarebbe terminato in Alaska, con la morte per fame. Quando la storia divenne nota molte persone giudicarono la sua scelta idealistica, una fuga dalla realtà se non proprio una pulsione suicida. Io sentivo di capirla e dentro di me la ammiravo. Chris non fece in tempo a scrivere un libro, forse non ne aveva nemmeno l’intenzione, così non sapremo mai come la pensava lui. Ma amava Thoreau e ne aveva adottato il manifesto: «Andai nei boschi perché volevo vivere secondo i miei principi, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, per vedere se fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, di non avere vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, né fare pratica di rassegnazione prima del necessario. Volevo vivere profondamente e succhiare tutto il midollo della vita, vivere in modo vigoroso e spartano e distruggere tutto ciò che non era vita, falciarlo via con ampie bracciate radenti al suolo, chiudere la vita in un angolo e ridurla ai suoi minimi termini. E se si fosse rivelata miserabile, volevo trarne tutta la genuina miseria e mostrarla al mondo; se invece fosse stata sublime, volevo conoscerla con l’esperienza e renderne conto nella mia narrazione»

P. Cognetti, Il ragazzo selvatico, ed. Terre di Mezzo

lunedì 18 novembre 2019

Ricky

«Ricky!» grida la gazza (o era un merlo indiano?) e Ricky accorre subito, povera anima, ma dov'è il suo padrone? La gazza (o il merlo indiano) era così brava che aveva imparato perfino il fischio per chiamare il cane, e anche il fischio era così perfetto che Ricky accorreva ma non trovava nessuno. 
E' un ricordo di tanti anni fa, metà anni '60: io ero un bambino e Ricky era un cane molto bello, un setter tricolore di proprietà di un amico di famiglia, una persona che mi ha insegnato tante cose e che ho poi colpevolmente trascurato nella mia adolescenza. Si sa, quando hai quattordici o quindici anni ti insegnano che interessarsi alla vita degli animali e delle piante è una scemenza, che sono cose da bambini: e invece non era vero, ma quando me ne sono accorto erano passati tanti anni (troppi) ed era ormai tardi per rimediare.
Il padrone di Ricky era un ex cacciatore (a pesca sul lago ci andava ancora, negli anni '60 aveva ancora un senso andarci), con grande competenza in fatto di animali e di natura, come erano i cacciatori di una volta; per questo e per altri motivi Ricky era un cane buono e affidabile, impossibile da dimenticare. Il padrone di Ricky era anche un allevatore di canarini, che teneva quasi come liberi in un grande spazio sotto l'appartamento dove abitava; e anche questo era uno spettacolo da sogno, per un bambino. La gazza (o il merlo indiano?) era in una grande voliera vicina all'ingresso di casa, e anch'io ho ascoltato quel "Ricky" e quel fischio. La mia confusione tra gazza e merlo indiano dipende non tanto dal tempo che è passato, ma dal fatto che ci sono stati entrambi, e sia il merlo indiano che la gazza sono capaci di imparare e ripetere parole e suoni, ancora meglio dei pappagalli. Non c'è nemmeno bisogno di perdere tempo a insegnarglielo, imparano tutto da soli e in fretta - anche se voi magari preferireste di no, perché a questo mondo, noi umani, non è che diciamo ad alta voce soltanto il nome del nostro cane; ma su questo preferirei sorvolare, nessuno è perfetto.




Ho cercato a lungo su internet una foto adatta, ho fatto fatica a trovarla e cercandola ho scoperto che il concetto di "setter" è in realtà molto vago: digitando "setter", o anche "setter tricolore", escono foto di cani molto diversi tra di loro, spesso così diversi da far dubitare dell'attribuzione del nome. Mi è già capitato altre volte, e a dirla tutta ormai sulle razze canine e feline comincio a nutrire serissimi dubbi. La foto qui sopra, comunque, si avvicina molto al mio ricordo di Ricky; è il più bel setter che ho trovato in rete, e l'immagine viene dal sito www.tuttogreen.it


sabato 16 novembre 2019

Nell'infanzia di Pablo



( fonte )
Ode alla lucertola                                                                         qui il testo in lingua originale 

Presso l’arena
una
lucertola
dalla coda coperta di sabbia.

Sotto
una foglia
la sua testa
di foglia.

Da qual pianeta
o bragia
fredda e verde,
sei caduta?
Dalla luna?
Dal freddo più lontano?
O dallo
smeraldo
accesero i tuoi colori
in un rampicante?

Del tronco
tarlato
sei
vivissimo
germoglio,
freccia
del suo fogliame.
( fonte )

Nella pietra
sei pietra
con due piccoli occhi
antichi:
gli occhi della pietra.

Vicino
all’acqua
sei
fango taciturno
che scivola.
Vicino
alla mosca
sei il dardo
del dragone
che annichila.

E per me,
l’infanzia,
la primavera
presso
il fiume
pigro,
sei
tu!

Lucertola
fredda, piccola
e verde;
( fonte )

sei una remota
siesta
vicino alla frescura,
con i libri chiusi.

L’acqua corre e canta.
Il cielo, in alto, è una
corolla di calore.

Pablo Neruda

da Poesie, a cura di G. Bellini,
Nuova Accademia, Milano, 1960

giovedì 14 novembre 2019

La luna di Bilbao


Quella vecchia luna di Bilbao, non la dimenticherò presto: proprio come un grande palla, quella vecchia luna di Bilbao, che sorgeva presso le dune mentre nel saloon della spiaggia ci si cullava con un ritmo dei tempi andati. Avremmo potuto cantare tutta la notte, e io posso ancora ricordare che erano le più belle, le più belle, le più belle notti di tutti i tempi. Non c'era vernice sulla porta, l'erba cresceva sul pavimento, ma c'era tanta amicizia su quella spiaggia di Bilbao, quella vecchia spiaggia di Bilbao...


(Karel Zeman, Il barone di Munchhausen, 1962)

Questa famosa canzone viene da "Happy end", 1929, testo di Bertolt Brecht, musica di Kurt Weill, soggetto di Elisabeth Hauptmann (con lo pseudonimo Dorothy Lane). Scritta dopo il successo di "L'opera da tre soldi", è sempre una storia di gangsters che wikipedia in inglese paragona a "Guys and dolls"; la trama è molto complicata e l'opera ebbe poco successo, il che è strano perchè contiene molta bella musica. Bella e famosa: oltre a "Bilbao song", troviamo "Surabaya Johnny", "Matrosen tango" (tango dei marinai), e molto altro. "Happy end" fu comunque ripresa più volte, nel dopoguerra, ed ebbe successo anche a Broadway. (quello che riporto qua sopra è un mio riassunto del testo, chiedo venia per la scarsa qualità).
qui e qui per gli ascolti
(nel primo link, Christopher Lloyd prima dello zio Fester e di "Ritorno al futuro"; nel secondo, Gisela May nell'originale in tedesco)

martedì 12 novembre 2019

Mondo bagnato


- Mondo bagnato! - dice Ciccetta, e accetta di farsi un po' asciugare.
- Mondo bagnato! - dice Aramis, e se ne torna a casa, al caldo.
- Miao - dice Mamma Gatta, e non aggiunge altro perché lei è abituata e l'inverno non le fa paura.
Eh sì, piove. Piove da tre giorni, e Ciccetta sembra volermi chiedere di farla smettere; ma io non sono così potente da far smettere di piovere. Forse lei lo credeva, o lo sperava, vedendomi così grande e grosso. Chissà. Per intanto, lascio un po' aperta la porta del garage: a misura di gatto, quel tanto che basta.

 

domenica 10 novembre 2019

Indian summer


Quello che per noi è l'estate di san Martino, per gli americani è l'estate indiana, "Indian summer". E' già autunno inoltrato e fa freddo, ma arriva comunque una bella giornata di sole; nel tempo ci ho fatto caso, e capita spesso. Non sempre, si sa: ma anche questo fa parte della normalità.

"Indian summer" è anche il titolo di una bella canzone dei Doors, da "Morrison Hotel". Il testo non dice niente di speciale, una semplice dichiarazione d'amore che sottintende un ricordo; ma è comunque un bell'ascolto, che scalda l'anima.  (qui)
 Indian Summer
(Jim Morrison, Robby Krieger)
I love you the best
Better than all the rest
I love you the best
Better than all the rest
That I meet in the summer
Indian summer
That I meet in the summer
Indian summer
I love you the best
Better than all the rest
(da "Morrison Hotel")

(l'immagine è degli anni '30, non ho trovato indicazioni sull'autore)

venerdì 8 novembre 2019

Nel retino di Nabokov


Con esche fatte di melassa e birra svaporata, un retino delicato e un barattolo con fondo di ovatta imbevuto d'etere, lo scrittore russo-americano Vladimir Nabokov andò come un bambino a caccia di farfalle per tutta la vita.


"Come una farfallina, ho svolazzato, svolazzato un po' e sono morto" diceva il protagonista del romanzo Bambocciata di Konstantin K. Vaginov.
 Una passione profonda, e anche, in alcuni periodi, un divertente modo per guadagnarsi il pane. Nel 1941, trasferitosi da poco con la famiglia negli Stati Uniti, ricevette dapprima l'incarico di riordinare la collezione di lepidotteri del Museo di Storia naturale di New York e, l'anno successivo, dopo un incontro con il professor Nathan Banks, direttore del dipartimento di Entomologia del Museo di Zoologia comparata di Harvard, ricevette l'incarico come "research fellow", sia pure a tempo parziale, presso quell'Università, di risistemare le collezioni esistenti.
(...)

Nabokov diviene un "cacciatore" anche in letteratura, attira nella sua rete così come le farfalle colorate lo catturano e si fanno catturare: " ciò che davvero conta in letteratura è samanstvo, vale a dire la capacità che l'oggetto letterario ha di incantare, di sedurre a sé il proprio lettore, di catturarlo all'interno dei labirinti del processo stesso della scrittura". Nel momento in cui Nabokov si apprestava a esordire nel campo della prosa, aveva compreso che "nell'arte, come nella scienza pura, il particolare è tutto".
Quando negli anni Cinquanta, Nabokov abbandonò il Museo di Zoologia e si dedicò all'insegnamento della letteratura, le farfalle entrarono anche lì:
" Nel mio corso di letteratura cerco di identificare la farfalla notturna che volteggia intorno alla lampada nella scena del bordello nell' Ulisse. E ci sono tre farfalle in Madame Bovary, una nera, una gialla e una bianca".
 Ma la scoperta più sensazionale di Nabokov è quella che la farfallina nel trittico di Bosch , Il giardino delle delizie, è un esemplare femminile della specie, comune in Europa, denominata Manila jurtina, "classificata da Linneo 250 anni dopo che il nostro pittore l'acchiappò in un prato fiammingo per collocarla nel suo Inferno..."

F.M. Cataluccio; Immaturità, ed. Einaudi ( qui )

( I disegni sono di Vladimir Nabokov )





mercoledì 6 novembre 2019

Orchidea


Da S. Remo il grossista Garibaldi rifornisce di fiori Felice detto «orchidea». Felice questa sera aveva i baffi, il cappellino da partigiano finlandese. «Scrivi orchidea perché tutti sanno che offrivo le orchidee, mai mi sono presentato a una festa senza orchidee. Hai scritto orchidea? fai vedere se l’hai scritto... ». Gran ballerino, cliente dell’Apollo Dancing voce bassa, gentiluomo lombardo (mai sentito parlare dei Brioschi di Ascanio Sforza, famiglia di lavandé quando il bucato profumava di campagna?) il Felice intercala il suo parlare con «guarda». Guarda, se ho la gastofobia è perché sono rimasto chiuso in ascensore e l’ultima volta che sono stato per monti e al rifugio Brioschi che si chiama come me, sopra S. Pellegrino.
 Ho sempre lavorato intorno ai fiori per esempio la Clatea, l’orchidea vera che metti in quelle scatole trasparenti che vedi al cinema quando Bogart le regala alla sua donna del « ganster» e lei toglie il nastro e dice «oh, che meravigliosa orchidea!». Ecco, quella lì è una Clatea! Pero mi interessano il Cinvicium cioè l’orchidea a grappoli e il Deudronium delle isole del Brasile, che è uno stelo con tutti i fiori violacci. Nella mia vita una bella scopa d`assi e poi dopo vado a ballare, ma lasciami almeno i miei fiori! Vieni in Corso Garibaldi dal Piccin Elio che è il re dei bonsai perché i giapponesi sono più bravi degli olandesi, come dire gli spaghetti inventati dai cinesi. Dei bonsai ci si innamora: il «Kiro-Kiro» del Giappone ne ha uno di almeno 700 anni e dicono che il suo nonno dei nonni l’ha preso piccino dove c'è il vulcano. Ah, beh, se parliamo di rose è diverso, guarda, a me le rose mi piacciono però ti dico, guarda, che la Gloria di Roma non c'è più e neanche la Mayland. Rimane la Regina Rossa come la mamma cattiva di Biancaneve che però ha la testa grossa e lo stelo non la tiene più. D’accordo, dopo se vuoi ci metti dei fili di ferro ma non è come quando sta su da sola. Dopu me piàsen i «Spaider», una specie di margherite a spicchi, e gli Indianapolis con i pon-pon. Il Delfinum el me pias perché ha la pannocchia e l'Agerpantis sembra un bastone verde con un fiore bianco azzurro (ciuffo di fiori a stellette). No, il Fior di Loto no! è quello che per farlo aprire in negozio devi tirar giù i petali che così la gente controlla se ci sono tutti. Neanche la Bocca-di-leone con quella spiga rossiccia che dopo due giorni cade. Guarda, ti dico io cosa devi prendere per far contento a chi gliela regali. Sai cosa? Una bella Pianta-del-fumo larga più di un metro e vien giù con le foglie a forma di lingue che assorbono gli odori, ti dico io, credici se fumi. Il Felice è un mio amico romantico di piante tropicali e di fiori recisi, ed è bravissimo. L’ho visto allestire un terrazzo in una sola mattinata fumando come un dannato e «guarda, alla svelta perché poi, ore sei, c'è il liscio all'Apollo! ».
(Giovanni Gandini, da "Caffè Milano", Edizioni Scheiwiller / All'insegna del pesce d'oro, 1987, pag.124)

(Giovanni Gandini, libraio ed editore milanese, fondatore della Milano Libri, ideatore e direttore del mensile Linus)
 

domenica 3 novembre 2019

Gatti e bambini


I due fratellini, che vanno già a scuola, entrano di corsa in giardino; e le gatte scappano. Ci restano male, perché erano proprio i gatti (e le gatte) che volevano vedere.
- Ma perché sono scappati? - mi chiedono.
- Perché non vi conoscono - rispondo io - e poi perché siete entrati di corsa.
Beh, i gatti ormai sono andati (torneranno), i due fratellini corrono avanti e indietro, calpestano qui e là, raccolgono da terra il coltello per tagliare l'insalata, toccano il lumachicida (ahimè, ne farei volentieri a meno ma mi tocca metterlo), poi via di corsa.
 
Stessa scena, stavolta con un fratellino e una sorellina, più piccoli (al completo sono tre: il maggiore ha solo otto anni ma sembra di parlare con un adulto), e ancora una volta le gatte scappano.
- E' perché siete entrati di corsa - gli dico - per fare amicizia con i gatti bisogna muoversi piano.
Non toccano niente, sono solo un po' vivaci, e d'altra parte sono ancora piccoli per capire dove sono i pericoli. Arriva la mamma, si scusa (non ce n'era bisogno), li riporta via.
Passa un po' di tempo, stessa scena; mi accorgo che c'è qualcuno perché Mamma Gatta sgattaiola via - pardon, si allontana.
- Non devi entrare di corsa, i gatti si spaventano.
- Lo so, - dice l'ometto di cinque anni - e infatti si ferma e guarda. I gatti rimangono lì, tranne Mamma Gatta che è la più selvatica. Arriva di soppiatto anche la sorellina (quattro anni da compiere), chiedo permesso alla mamma e poi la prendo in braccio, perché Ciccetta è in alto sul tetto del garage, vicino al pesco dell'amaca, e lei non la vedrebbe. Ciccetta mi guarda un po' perplessa, ma non scappa e anzi riprende a mangiare; la bambina è contenta e la rendo alla mamma.
 
Poi arrivano anche i due fratellini di prima, quelli più grandi che vanno già a scuola, sempre di corsa.
- Perché il gatto è scappato? Ormai mi conosce...
- Non devi correre, si spaventano - dico per l'ennesima volta (mai che ascoltino...) e mi trattengo dal dire quello che vorrei dire: "è proprio perché ti conoscono che scappano via". Vorrei scappare via anch'io, ma non posso: io non sono un gatto, mi tocca stare qui e stare attento che i piccoli energumeni non si facciano male. La mamma non c'è, è alla finestra, sta parlando con qualcun altro, e io non sono così antipatico da mandarli via con le brutte maniere, ma insomma.