martedì 31 dicembre 2019

Buon Anno !

Per gli auguri di Buon Anno riprendo un brindisi dall'anno scorso, e aggiungo un Invito alla Danza di quelli che proprio non ci si può tirare indietro  (qui). (oppure qui nella versione originale per pianoforte solo)
(Carl Maria von Weber, naturalmente...)

 Un editore di musica, a inizio Ottocento, propose a diversi compositori importanti un lavoro ben pagato: arrangiare delle canzoni in lingua inglese in modo che potessero essere cantate e suonate in casa. Prima dell'invenzione della registrazione sonora, era l'unico modo per fare musica e per ascoltarla; l'editoria musicale era florida e ben pagata. Ad accettare, e a regalarci dei piccoli capolavori, furono Haydn, Beethoven, Hummel; Ludwig van Beethoven non mise questi arrangiamenti nel suo catalogo ma per fortuna sono comunque giunti fino a noi. Beethoven si ripeterà molti anni più tardi, costruendo uno dei più grandi "monumenti" della musica dopo aver accettato la commissione dell'editore Diabelli di Vienna, che aveva spedito (a lui e a tanti altri, compresi Schubert e Liszt) un suo piccolo valzer. Gli altri fecero un compitino o poco più, la costruzione musicale che ne trasse Beethoven è enorme e impressionante; ma questo è un altro discorso, qui porto solo un brindisi per l'anno nuovo, ed è bello poterlo iniziare con Ludwig van Beethoven. Il testo, di William Smyth, è abbastanza volgare; l'arrangiamento e l'esecuzione sono invece tutti da ascoltare. (qui) Buon Anno a tutti.


5.Come fill, fill, my good fellow
(William Smyth)
Come fill, fill, my good fellow!
Fill high, high, my good fellow,
And let's be merry and mellow,
And let us have one bottle more,
When warm the heart is flowing,
And bright the fancy glowing.
Oh! shame on the dolt would be going
Nor tarry for one bottle more!
So now, here's to the Lasses!
See, see, while the toast passes
How it lights up beaming glasses!
Encore to the Lasses, encore.
We'll toast the welcome greeting
Or hearts in union beating,
And oh! for our next merry meeting,
Huzza! then for one bottle more!


(l'immagine era su internet, purtroppo senza indicazioni sull'autore)




domenica 29 dicembre 2019

Un gatto misterioso, o forse no



(Agnes Miller Parker, 1939)
Ho avuto la fortuna di aver in casa un gatto siamese, e devo proprio dissociarmi da quello che ne scriveva Syd Barrett: il siamese non ha niente di luciferino, e in fin dei conti è un gatto come gli altri, la differenza sta solo nel colore del pelo e nella disposizione delle macchie. Ma poi leggo meglio il testo di "Lucifer Sam", e capisco: è la ragazza che gli interessa. Una ragazza dai capelli rossi, e quel gatto siamese che le sta sempre vicino, che impedisce approcci; quel gatto sempre al suo fianco, quasi che fossero uno il lato opposto dell'altra, inscindibili. Eh sì, quel gatto ha qualcosa che non mi so spiegare - e anche quella ragazza, mi viene da aggiungere, è un bell'enigma.


Lucifer Sam  (qui per l'ascolto)
(Barrett)
Lucifer Sam, siam cat.
Always sitting by your side
Always by your side.
That cat's something I can't explain.
Ginger, ginger you're a witch.
You're the left side
He's the right side.
Oh, no!
That cat's something I can't explain.
Lucifer go to sea.
Be a hip cat
Be a ship's cat.
Somewhere, anywhere.
That cat's something I can't explain.
At night prowling sifting sand.
Hiding around on the ground.
He'll be found when you're around.
That cat's something I can't explain

(dal primo lp dei Pink Floyd)


(Lucifer Sam, gatto siamese, siede sempre al tuo fianco, sempre al tuo fianco: quel gatto ha qualcosa che non mi so spiegare. Ginger, ginger, sei una strega, lui è il lato sinistro tu sei il lato destro. Oh no, quel gatto ha qualcosa che non mi so spiegare...)



venerdì 27 dicembre 2019

Il riccio nel cestino

(fotogramma da "Il riccio nella nebbia" di Jurij Norstein)

Un giorno accadde un guaio. In un momento in cui Maksim Ivanovic era uscito dalla camera, il ragazzino smise di studiare e si arrampicò su una sedia, per prendere una palla che gli era prima andata a finire sopra un armadio. Così manovrando, però, urtò con la manica una lampada di porcellana, che cadde per terra e andò in frantumi. Il fracasso fu udito in tutta la casa. La lampada era di porcellana di Sassonia e molto costosa. Anche Maksim Ivanovic udì lo strepito da tre stanze lontano, e mandò un grido. Il ragazzo, sbigottito, si mise a correre a rotta di collo, uscì prima sulla terrazza, poi attraversò il giardino fino al cancello di servizio, e di là filò lungo la riva del fiume. Il lungofiume era un viale alberato di vecchi citisi. Il ragazzo scese di corsa verso l’acqua, e la gente lo vide fare con le mani un gesto disperato, proprio presso quel punto dove attracca la zattera; ma parve inorridito davanti a quell’acqua, e si fermò di colpo. Il fiume, in quel punto, era largo, la corrente rapida; sull’altra riva erano delle botteghe, una piazza, e una chiesa con le cupole sfavillanti d’oro. Proprio in quel momento, si affrettava verso il traghetto la moglie del colonnello Fersing con la figliuola, ch’era colà di stanza un reggimento di fanteria. La figliuola, anch’essa una bimba di circa otto anni, vestita di bianco, camminava guardando il bimbo e ridendo, e teneva nella mano un canestrino, dentro al quale era un piccolo riccio. « Guardate, mammina, » disse, « come quel ragazzino guarda il mio riccio!». « No, » rispose la madre, «quel ragazzo è spaventato non so di che... Di che vi siete spaventato, bel bambino? ». (Disse proprio così; lo raccontarono dopo). «Che bel bambino è mai, e come è ben vestito! Di chi siete?». Il ragazzetto non aveva mai visto un riccio, si avvicinò per osservare quello della bambina, dimenticando tutto, era un bambino, si sa!
« Che cos’è questo?» domandò. E la signorinetta gli rispose: «E' un riccio, l’abbiamo comprato adesso da un contadino, che l’ha trovato nel bosco ». «Ma che cos’è un riccio? » e rise, e lo toccò col dito, mentre la bestiola rizzava le dure setole. La bimba, tutta felice dell’incontro, disse: « Lo portiamo a casa per addomesticarlo ». « Oh, » fece il piccino, « regalatelo a me!». Pronunciò queste parole con infinita soavità, ma non aveva ancora avuto il tempo di finire la frase, che Maksim Ivanovic gridò sopra di lui: « Ecco dove sei! Pigliatelo!» (Egli si era imbestialito a tal punto che l’aveva rincorso senza berretto). (...)

Fiodor Dostoevskij, "L'adolescente", pagina 530 edizione Garzanti 1981, traduzione M.Rakowska e L.G. Tenconi




martedì 24 dicembre 2019

Natività

 
(Giorgione, 1505, adorazione dei pastori "Allendale")
(fonte: wikipedia.it)

BUON NATALE A TUTTI

(per la musica, fare clic qui)
(se si ha un po' più di tempo, anche qui )

domenica 22 dicembre 2019

Luigi contro il toro



Il contadino tornò con la cavezza e in compagnia di un tipo bruno e piccoletto, in pantaloni di tela.
«Questo è Luigi, - ci spiegò - un prigioniero di guerra italiano. Non sa una parola d'inglese ma è molto bravo ad aiutarmi in un mucchio di lavori. » E Luigi aveva veramente l’aria di essere in gamba. Era di statura limitata ma le spalle ampie e le braccia muscolose rivelavano una forza notevole. Gli rivolgemmo un «Salve» e lui ricambiò il saluto con un cenno del capo e un sorriso grave. Aveva grande dignità e sicurezza di sè.
Dopo qualche galoppata attorno al recinto riuscimmo a far accomodare il paziente nello stallo, ma ben presto ci rendemmo conto che le difficoltà erano appena iniziate. I Red Poll sono bestie grosse e se poi sono di carattere ostico è un bel problema. Quella grassa creatura aveva uno sguardo maligno e tutti i nostri sforzi per mettergli la cavezza andarono sprecati. O riusciva a schivarla o agitava minaccioso la testa al nostro indirizzo. Una volta, mentre mi passava accanto con gran strepito riuscii ad afferrargli il muso ma mi scrollò via come fossi una mosca e una zampa posteriore fece partire un calcio che mi prese di striscio alla gamba. «E' un gigante - boccheggiai - Dio solo sa come faremo a bloccarlo.» Le iniezioni di sedativi e il bavaglio in sbarre metalliche per imprigionare questi animali erano ancora di là da venire.

Siegfried e io contemplavamo il torello quando Luigi si fece avanti. Sollevò una mano e ci investì con una raffica di parole italiane di cui non capimmo niente, ma afferrammo il concetto quando ci riaccompagnò verso la parete, con grande cerimonia. Evidentemente voleva fare qualcosa, ma cosa?
Avanzò furtivo verso il torello, poi con movimento fulmineo gli afferrò un’orecchia con entrambe le mani. L’animale prese subito lo slancio ma con minore vigore. Luigi gli torceva l'orecchio, in quel girotondo, e la cosa parve agire da freno perché la bestia rallentò per poi fermarsi e rimase lì, la testa piegata di lato, guardando l’ometto con espressione pressoché accorata. Sembrava un’illustrazione di fumetti e quasi mi aspettavo di sentire il torello gemere: «Ahi! Aiuto! Mollami l’orecchio!» Ma non ebbi molto tempo per meditare perché Luigi, la situazione perfettamente in pugno, accennò con il capo al tumore oscillante. Siegfried e io balzammo avanti. Non avevamo mai visto nessuno afferrare un toro per l’orecchio ma non c’era da stare a discutere. Ora toccava a noi.
Sostenni quell’escrescenza tra le mani mentre Siegfried iniettava l'anestetico nel peduncolo. Quando l’ago penetrò una zampa pelosa ebbe un fremito e in altre circostanze un paio di calci ben assestati ci avrebbero fatti volar fuori dallo stallo, ma Luigi fece fare un altro mezzo giro all’orecchio accompagnando la cosa con un urlaccio. L’animale si mise subito tranquillo e rimase immobile mentre noi procedevamo. Siegfried legò saldamente il peduncolo e quindi lo recise. Il tumore cadde con un tonfo sullo strame. L’operazione era compiuta. Luigi lasciò l'orecchio e accolse le nostre congratulazioni con un mezzo sorriso e un benevolo cenno del capo. Era davvero un personaggio di grande nobiltà.
Oggi, a più di trent’anni di distanza, Siegfried e io ancora parliamo di lui. Entrambi abbiamo tentato di afferrare bestie grosse per le orecchie senza il minimo successo e quindi: o Luigi era solo un dilettante in possesso di una presa d’acciaio, o era un allevatore e quello è il sistema che si usa in Italia, dopo un’intera vita di pratica? A tutt'oggi non lo sappiamo.
(James Herriot, da "E il Signore le creò", ed. BUR 1984, pagine 58-59, traduzione di Maria Paola Dettore.)




 
 

immagine del toro Red Poll tratta da Pinterest bovin.qc.ca

venerdì 20 dicembre 2019

Animali e piante sotto esame

figurina Imperia


da Lo stupidario della maturità 
a cura di Mitì Vigliero Lami

Ed. Rizzoli
                                                                 







DIZIONARIO

Acefalo : Il cavallo di Alessandro Magno

Aprico: albicocco

Apocrifo: animale mitologico fatto a forma di animale con le ali

Armento: abitante dell'Armenia

Azalea: danza popolare

Bergamotto: abitante di Bergamo

Blandire: leccare come un cane

Bitorzolo: verdura, patata

Bolide: animale dei boschi cantato da Pascoli

Broccato: inseguito dai cani

Canicola: cane femmina

Encefalo: pesce

Glande: bacca selvatica di cui sono ghiotti i maiali

Merlot: piccolo merlo

Narcisismo: l'arte di coltivare narcisi

Nitrico: verso del cavallo

Pulviscolo: gruppo di insetti piccolissimi

Zibibbo: insetto

                                                
                                                                    * - *- * - * - *


FLORA 


Quel bosco è pieno di abeti, pini e libecci

                                                        
                                   La ginestra è un fiore del deserto simile a un cactus


FAUNA


Il passero solitario parla di Leopardi che dialoga con un usignolo


                                        Leopardi scrisse un'operetta morale intitolata "il cantico di gatto Silvestro"











mercoledì 18 dicembre 2019

Soho


Non sono mai stato a Soho, e quindi non so bene cosa pensare del testo di questa canzone di Bert Jansch (da "Bert and John", 33 giri inciso con John Renbourn), tanto più che si tratta della Soho di tanti anni fa, quando io ero un bambino. Ma la canzone è molto bella, di quelle che tengono compagnia, e allora provo a leggere un po' meglio questo invito a "camminare per le strade malfamate", dai colori luminosi: è rivolto a una ragazza, e stemperato nel ricordo di un incontro già avvenuto. Soho che si risveglia, le voci del mercato, le mercanzie esposte, viste e ascoltate "attraverso la finestra della tua anima". Ma qui lascio gli innamorati ai loro ricordi (ognuno di noi ha i suoi ricordi...), mi soffermo solo su un verso nel finale che mi colpisce ogni volta: the buzzing bees do harmonise. Il giro per Soho termina in un giardino, e il ronzio delle api è un'armonia che attraversa il pomeriggio, che arriva fino al mercato e che si confonde con le voci della gente.


 Soho (Bert Jansch)

Come walk the streets of crime
and colour bright the corners
of love with you.
See the dazzling nightlife grow
beyond the dawn and burning
in the heart of Soho
Hear the market cries
and see their wares displayed
through the window of your soul
Come watch the naked dance
that spins before your very eyes
naked like the sun
Step inside where men before
have drunk to fill to senseless
till the dreams that fade and die
And free and easy
does the blood red wine come flowing
from the glass to your veins
And the midday dream is silent
in the gardens where you're resting
from the troubles of your mind
And though the sun is burning brightly
all within the gardens
are the sleeping oris dead
And through the afternoon
the buzzing bees do harmonise
through the rushing sale daylight.
(da "Bert and John" di John Renbourn e Bert Jansch, anno 1966)

lunedì 16 dicembre 2019

Il cagnolino bolognese


Ricordo il sole che inondò di luce la camera quando furono aperte le persiane e il crepitio della legna nel caminetto, che non so chi avesse acceso. Ricordo pure il minuscolo cagnolino bolognese, nero, che mademoiselle Alphonsine teneva in braccio, stringendoselo al cuore. Il cagnolino mi divertiva in modo particolare, tanto che, interrompendo per due volte il discorso, allungai la mano per prenderlo; ma Lambert fece un cenno e Alphonsine immediatamente scomparve insieme al cane dietro al paravento.

(Fiodor Dostoevskij, "L'adolescente", parte seconda, cap. 9 pt 3 traduzione M. Rakowska e L.G Tenconi, ed. Garzanti 1981)



(l'immagine del cagnolino bolognese viene dal sito www.razzedicani.net  ) (non è nero, lo so...)

sabato 14 dicembre 2019

L'albero e il cielo

(Kandinskij, 1903)

L’albero e il cielo

Un albero vaga nella pioggia,
ci passa in fretta davanti nel grigio scrosciante.
Ha un affare da sbrigare.
Prende vita dalla pioggia
come un merlo in un frutteto.
Appena smette di piovere l'albero si ferma.
S'intravede dritto e fermo nelle notti chiare,
come noi in attesa dell'istante
in cui i fiocchi di neve
si rovesciano nello spazio.

(Tomas Tranströmer, premio Nobel 2011 , da un libro di poesie pubblicato dall'editore Crocetti,  traduzione di Maria Cristina Lombardi)





giovedì 12 dicembre 2019

Appartamenti abbandonati

 L’appartamento non capisce cosa è successo. Pensa che il proprietario sia morto. Da quando la porta si è chiusa sbattendo e la chiave ha cigolato nella serratura, tutti i rumori arrivano sordi, senza ombre e angoli, come macchie confuse. Lo spazio si congela, resta inutilizzato, indisturbato da qualsiasi corrente, nessuna tenda viene spostata, e in queste immobilità le forme di prova iniziano, con incertezza, a cristallizzarsi in forme sospese per un momento tra il pavimento e il soffitto del corridoio.
Naturalmente qui non compare nulla di nuovo, e come potrebbe? Sono solo imitazioni di forme conosciute, impigliate in nuvole gorgoglianti, con un contorno soltanto temporaneo. Sono singoli episodi, gesti isolati come l’impronta dei piedi su un tappeto morbido, che compare e scompare continuamente sempre nello stesso posto. Oppure una mano appoggiata sul tavolo che segue il movimento della scrittura, anche se i movimenti sono incomprensibili, perché realizzati senza penna, senza carta, senza scrittura e perfino senza il resto del corpo.

Olga Tokarczuk, I vagabondi. Ed. Bompiani
illustrazione di Carlo Ravaioli

martedì 10 dicembre 2019

Neve


Fa la neve sulle foglie
e sulle penne degli uccelli
che vengono a battere nei vetri
per domandare qualcosa;
tutti i mobili della casa scricchiolano,
come se mangiassero sementi.
 
(Tonino Guerra, a Mosca con Tarkovskji)
(da "Piove sul diluvio", 1977; trascritta da "Scrittori per un anno" di Rai Storia)




(la foto è di Tonino Guerra, scattata nella sua casa di Mosca e presa dal documentario citato)

domenica 8 dicembre 2019

Salto


salto

Se di inizio si può parlare
è quello del pigro fiume.
Ma quello che c’era
adesso non c’è più
e quello che sarà
è ancora lontano
(Pekka Halonen, 1890circa)
giù nel fondo, indecifrabile.
Certo, continuerà a scavare,
a prendere
dal mondo, a donare.
Certo quelle rocce,
quell'ultimo, sordo, gorgogliare,
erano già un intuibile destino.
Certo il mare, amico,
lo attende.
Il fiume, però, ancora non sa
ogni cosa e
precipita
e già qualche schizzo,
lo sorprende. Un misterioso ribollire.
Aria e acqua, intorno,
gelida roccia tagliente,qualche cangiante
arcobaleno.

(Dario D'Angelo, 24 settembre 2019)

qui il blog di Dario




venerdì 6 dicembre 2019

Toporagno


L'altra mattina ho trovato in giardino un toporagno, vittima di Ciccetta. L'ho raccolto con cura e l'ho appoggiato sul tavolo; Ciccetta è venuta a pavoneggiarsi: "Visto che bel regalo?"
"Ma non è un topo..." ho detto io allargando le braccia. Però, a lei cosa vuoi che importi: per un gatto, qualsiasi cosa si muova è preda. Che fare, la accarezzo lo stesso (brava, bel colpo) e poi mi organizzo per le esequie (molto veloci, il toporagno è piccolo...).
Il toporagno sembra davvero un topo, ma con il topo non ha nessuna parentela; è piuttosto parente delle talpe, e ancora più alla lontana anche dei ricci. Non è un roditore, insomma, ed è davvero difficile distinguerlo da un topo: la differenza principale sta nel musetto, che nel toporagno è lungo e affilato, quasi una punta di matita. Una piccola proboscide, che nel nostro toporagno non si nota quasi, ma che è invece evidente nel suo parente africano (che è un po' più grosso).
Le caratteristiche principali del toporagno sono due: la frenesia con cui si muove e l'appetito insaziabile. E' quasi impossibile riconoscere un toporagno in movimento, distinguerlo da un topo insomma; e poi il toporagno fa strage di insetti e quindi ci è molto utile. Di entrare in casa nostra, poi, il toporagno proprio non ha nessuna intenzione; questa povera vittima si è avvicinato solo perché in questa stagione di insetti non ce ne sono più, e anche le briciole dei croccantini dei gatti diventano un cibo prezioso. Purtroppo per lui, anche molto pericoloso.

(foto trovata on line, senza fonte)




mercoledì 4 dicembre 2019

lunedì 2 dicembre 2019

Barbara Regina Dietzsch















Barbara Regina Dietzsch (1706 -1783, bavarese di Norimberga) nasce in una famiglia di pittori e di artisti; sposò il pittore Nikolaus Matthes e vissero insieme ad Amburgo. Realizzò dipinti di botanica e anche incisioni, che realizzava da sola. Wikipedia in tedesco conclude così: Uno dei suoi recensori si meraviglia di questo perfezionismo poco dopo la sua morte, perché "raramente è uscita dalla città con i suoi fratelli e ha condotto una vita sedentaria, a casa, curando il suo lavoro." (Johann Meusel, Hg., Miscellaneen artistischen Inhalts, 23 H., Erfurt 1785, S. 304). Non c'è molto di più su di lei, peccato; non si finirebbe mai di guardare le meraviglie che ci ha lasciato.




sabato 30 novembre 2019

Maria Sybilla Merian






















Maria Sybilla Merian (Francoforte sul Meno 1647- Amsterdam 1717) è figlia di un incisore ed editore svizzero, Matthaeus Merian, e di Johanna Sybilla Heim, sua seconda moglie. Rimane orfana di padre a tre anni, e sua madre si risposa con il pittore Jakob Marell. Si sposa a 18 anni, anche lei con un pittore, nel 1665. Diventa una valente botanica ed entomologa iniziando a disegnare i bachi da seta e via via appassionandosi alle scienze naturali in un'epoca in cui anche le persone colte seguivano ancora Aristotele secondo il quale i bruchi nascevano dalla putrefazione ed erano bestie immonde. Maria Sybilla Merian pubblica prima un libro di botanica e poi uno sui bruchi, dove nelle tavole mette il bruco, la pianta di cui si nutre, e l'adulto. I libri sono dei capolavori, molto accurati anche da un punto di vista scientifico. Ha due figlie e una vita molto ricca, da romanzo (fate un giro su ww.wikipedia.it, meriterebbe un film o uno sceneggiato tv) che la porterà fino in Suriname dopo aver conosciuto Federico Ruysch, nel 1699. Dalla fauna e dalla flora del Suriname nasce un altro libro, un altro capolavoro ancora oggi molto consultato. In Suriname però si ammala, ed è costretta a tornare in Europa. Il suo ritratto ( qui ) era sulla banconota da 500 marchi, nella Repubblica Federale Tedesca. Qui metto un piccolo campionario delle sue infinite meraviglie.









giovedì 28 novembre 2019

Mary Vaux Walcott
















Mary Morris Vaux (americana 1860-1940) prima che pittrice era una naturalista, botanica e geologa; nata a Philadelphia in Pennsylvania da ricca famiglia quacchera, fin da giovane comincia a fare escursioni e scalate sulle Montagne Rocciose; in Canada una montagna ha il suo nome (Mount Mary Vaux). Pittrice e anche fotografa, collabora con lo Smithsonian Institute e pubblica libri molto belli e molto dettagliati, di grande valore scientifico. Nel 1914, a 54 anni, già famosa, sposa il paleontologo Charles Doolittle Walcott dello Smithsonian Institute. Mary viaggia molto negli Usa e in Canada, e a 75 anni va in Giappone per trovare un'amica che aveva sposato un diplomatico giapponese. Una biografia notevole, per una donna di quel periodo storico; da non perdere i suoi disegni e le tavole dai suoi libri, ne porto qui qualcuna come esempio. (notizie da wikipedia in inglese)





(la foto di Mary Vaux è del 1914, l'anno del suo matrimonio)














martedì 26 novembre 2019

Jesce Sole


In questi giorni un'invocazione al Sole l'abbiamo fatta tutti, anche se è autunno e il sole non sarà certo così "scagliento". Il testo è quasi comprensibile anche a chi non è napoletano, soprattutto se ascoltate e non leggete soltanto. Dedicato a tutti quelli che sono in ansia o che stanno soffrendo in questi giorni di alluvione, dal Piemonte a Matera, da Sarno a Venezia, alla Liguria tutta e a tutti gli altri. Spero che funzioni, magari se lo recitiamo insieme funziona.
(Una sola cosa ancora: masto Giuliano non sono io, ma questo penso che fosse già chiaro fin dall'inizio)
 
 
Jesce, jesce, jesce Sole
scagliento imperatore
scaniello mio d'argento
che vale quattuciento
Cento cinquanta tutta la notte canta
canta viola lu masto de scola
masto masto mannancienne presto
ca scenne masto Tieste
cu lanza cu spada
cu l'auciello accumpagnata
Sona sona zampugnella
ca t'accatta la vunnella
la vunnella de scarlato
si nun sona te rompo la capa
Nun chiovere
nun chiovere
ca aggia ire a movere
a movere lu grano
de masto Giuliano
Masto Giuliano
manname na lanza
ca aggia ire in Franza
da Franza a Lombardia
dove sta madama Lucia
Nun chiovere
nun chiovere
Jesce, jesce Sole
(dal primo lp della Nuova Compagnia di Canto Popolare, anno 1973)
 
qui per l'ascolto
 
(il sole del disegno viene da un libro del 1905, non meglio definito, trovato in rete)

domenica 24 novembre 2019

La colonna sonora di Milano


(la foto è mia: le colonne di san Lorenzo, 8 febbraio 2017)
Raffaele Calzini, scrittore e giornalista del «Corriere della Sera», scrisse un libro molto bello su Milano: angoli, gente, mestieri e rumori. Il libro è purtroppo esaurito e nessuno lo ristampa.
I suoi rumori si sono perduti, non c'è nemmeno l’ombrellaio, le pianole sono senza asino. Nessuno lancia nella strada un cento lire fasciato in un pezzo di giornale, l’arrotino non serve perché il coltello non più affilato lo ricomperi per pigrizia e ricchezza alla Rinascente.
Un tempo si sentiva il treno la notte e il suono del treno ti faceva dormire. Era come sapere che Milano era circondata da mura, da massicciate imprendibili perché c’era il treno che ci difendeva. Le mura di Lucca fanno ridere se uno pensa ai cavalcavia di Milano.
In cielo c'erano le luci dell’aeroplano, senza suoni, pattuglie stellari che ci proteggevano perché visitavano la notte con fanalini rossi che garantivano il silenzio. Oggi la città è sempre fantastica, anche se le luci e i rumori sono cambiati. Catalogo gli strilli delle ambulanze e delle macchine della polizia. Le croce rosse-bianche fanno uàu-dùm, uàu-dùm, uàu-dùm, le crocerosse-rosse fanno pìufit, pìufit, pìufit, le macchine della polizia uàng-uàng-uàng. Ho anche un autobus triste che passa qui sotto, il 43, sempre solo alle undici di sera, che mi scruta con le sue luci vuote di gente all’interno e mi prega di salire. Io lo guardo, lui aspetta. Non salgo, e allora tristemente, poiché l’orario é l’orario, si alza e si mette in moto con un gràu-toff e prosegue impacciato.
Quando c'è la neve i rumori sono più morbidi e lenti, se c'è il vento gli strilli delle moto che vanno a messa a S. Angelo sono accelerazioni insopportabili. Ma per fortuna a quest'ora non ci sono moto perché hanno paura della strada e rimane soltanto qualche vùm che passa. Una Panda, forse la Uno turbo, o una vecchia Ardea ristrutturata.
Io non posso dormire in campagna. Ho bisogno la mattina dei cigolii delle gru e delle raffiche del martello pneumatico, di un muratore che pesta una lamiera e di un corteo che grida. Anche se da casa mia non sento lo zing di una bicicletta non m’importa. Se lo sento vuol dire che c’è tramontana e che alzandomi vedrò il Monte Rosa.

(Giovanni Gandini, "Caffè Milano", Edizioni Scheiwiller / All'insegna del pesce d'oro, 1987 pag.68-70)

venerdì 22 novembre 2019

Paura del buio


(Borowski 1897 Berlino)
Se ogni neonato ha il desiderio di muoversi in avanti, il passo successivo è scoprire come mai non gli piace star fermo. Dopo aver ulteriormente approfondito le cause di ansietà e di collera nei bambini piccoli, il dottor Bowlby è arrivato alla conclusione che il complesso legame istintivo fra madre e figlio, gli strilli di allarme del bambino (molto diversi dai piagnucolii di freddo, fame o malessere), la 'misteriosa' capacità della madre di udirli, la paura che il bambino ha del buio e degli estranei, il suo terrore per gli oggetti che si avvicinano rapidamente, le sue invenzioni di mostri da incubo dove non ce ne sono - insomma tutte le sconcertanti "fobie" che Freud cercò senza successo di spiegare - si potevano in realtà motivare con la costante presenza di predatori nella casa primordiale dell'uomo. Bowlby cita i Principi di psicologia di William James: «Nell'infanzia la maggiore fonte di terrore è la solitudine». Un bambino solo, che scalcia e strilla nel suo lettino, non sta necessariamente mostrando i primi segni della Pulsione di Morte o della Volontà di Potenza o dell’«impulso aggressivo» a rompere i denti al fratello; queste sono cose che magari si sviluppano in un secondo tempo. No. Il bambino strilla perché - se trasferiamo il lettino in mezzo ai rovi dell'Africa - o la madre torna entro pochi minuti o una iena lo mangerà.
Sembra che ogni bambino abbia un’immagine mentale innata della "cosa" che potrebbe attaccarlo: al punto che qualunque "cosa" lo minacci, anche se non è la "cosa" reale, innescherà una sequenza prevedibile di comportamenti difensivi. La prima tattica difensiva sono gli strilli e i calci; così la madre deve esser preparata a combattere per il figlio, e il padre a lottare per entrambi. Di notte il pericolo raddoppia, perché di notte l'uomo non ci vede ed è proprio di notte che i grandi felini vanno a caccia. E sicuramente questo grande dramma manicheo - la luce, le tenebre e la Bestia - è il nocciolo della condizione umana.
Chi visita il nido di un ospedale è spesso stupito dal silenzio. Eppure, se la madre ha davvero abbandonato il figlio, l'unica possibilità che lui ha di sopravvivere è di tenere la bocca chiusa.

(Bruce Chatwin, Le vie dei canti, pag.244 traduzione di Silvia Gariglio, ed.Adelphi 1991)




mercoledì 20 novembre 2019

Nei boschi

illustrazione di A.Sanna

...Mi colpì specialmente il viaggio di Chris McCandless, raccontato da Jon Krakauer in Into the Wild. Forse perché Chris non era un filosofo dell’Ottocento ma un ragazzo della mia epoca, che a ventidue anni aveva lasciato la città, la famiglia, gli studi, un futuro brillante concepito secondo i canoni della società occidentale, ed era partito per un vagabondaggio solitario che sarebbe terminato in Alaska, con la morte per fame. Quando la storia divenne nota molte persone giudicarono la sua scelta idealistica, una fuga dalla realtà se non proprio una pulsione suicida. Io sentivo di capirla e dentro di me la ammiravo. Chris non fece in tempo a scrivere un libro, forse non ne aveva nemmeno l’intenzione, così non sapremo mai come la pensava lui. Ma amava Thoreau e ne aveva adottato il manifesto: «Andai nei boschi perché volevo vivere secondo i miei principi, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, per vedere se fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, di non avere vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, né fare pratica di rassegnazione prima del necessario. Volevo vivere profondamente e succhiare tutto il midollo della vita, vivere in modo vigoroso e spartano e distruggere tutto ciò che non era vita, falciarlo via con ampie bracciate radenti al suolo, chiudere la vita in un angolo e ridurla ai suoi minimi termini. E se si fosse rivelata miserabile, volevo trarne tutta la genuina miseria e mostrarla al mondo; se invece fosse stata sublime, volevo conoscerla con l’esperienza e renderne conto nella mia narrazione»

P. Cognetti, Il ragazzo selvatico, ed. Terre di Mezzo

lunedì 18 novembre 2019

Ricky

«Ricky!» grida la gazza (o era un merlo indiano?) e Ricky accorre subito, povera anima, ma dov'è il suo padrone? La gazza (o il merlo indiano) era così brava che aveva imparato perfino il fischio per chiamare il cane, e anche il fischio era così perfetto che Ricky accorreva ma non trovava nessuno. 
E' un ricordo di tanti anni fa, metà anni '60: io ero un bambino e Ricky era un cane molto bello, un setter tricolore di proprietà di un amico di famiglia, una persona che mi ha insegnato tante cose e che ho poi colpevolmente trascurato nella mia adolescenza. Si sa, quando hai quattordici o quindici anni ti insegnano che interessarsi alla vita degli animali e delle piante è una scemenza, che sono cose da bambini: e invece non era vero, ma quando me ne sono accorto erano passati tanti anni (troppi) ed era ormai tardi per rimediare.
Il padrone di Ricky era un ex cacciatore (a pesca sul lago ci andava ancora, negli anni '60 aveva ancora un senso andarci), con grande competenza in fatto di animali e di natura, come erano i cacciatori di una volta; per questo e per altri motivi Ricky era un cane buono e affidabile, impossibile da dimenticare. Il padrone di Ricky era anche un allevatore di canarini, che teneva quasi come liberi in un grande spazio sotto l'appartamento dove abitava; e anche questo era uno spettacolo da sogno, per un bambino. La gazza (o il merlo indiano?) era in una grande voliera vicina all'ingresso di casa, e anch'io ho ascoltato quel "Ricky" e quel fischio. La mia confusione tra gazza e merlo indiano dipende non tanto dal tempo che è passato, ma dal fatto che ci sono stati entrambi, e sia il merlo indiano che la gazza sono capaci di imparare e ripetere parole e suoni, ancora meglio dei pappagalli. Non c'è nemmeno bisogno di perdere tempo a insegnarglielo, imparano tutto da soli e in fretta - anche se voi magari preferireste di no, perché a questo mondo, noi umani, non è che diciamo ad alta voce soltanto il nome del nostro cane; ma su questo preferirei sorvolare, nessuno è perfetto.




Ho cercato a lungo su internet una foto adatta, ho fatto fatica a trovarla e cercandola ho scoperto che il concetto di "setter" è in realtà molto vago: digitando "setter", o anche "setter tricolore", escono foto di cani molto diversi tra di loro, spesso così diversi da far dubitare dell'attribuzione del nome. Mi è già capitato altre volte, e a dirla tutta ormai sulle razze canine e feline comincio a nutrire serissimi dubbi. La foto qui sopra, comunque, si avvicina molto al mio ricordo di Ricky; è il più bel setter che ho trovato in rete, e l'immagine viene dal sito www.tuttogreen.it


sabato 16 novembre 2019

Nell'infanzia di Pablo



( fonte )
Ode alla lucertola                                                                         qui il testo in lingua originale 

Presso l’arena
una
lucertola
dalla coda coperta di sabbia.

Sotto
una foglia
la sua testa
di foglia.

Da qual pianeta
o bragia
fredda e verde,
sei caduta?
Dalla luna?
Dal freddo più lontano?
O dallo
smeraldo
accesero i tuoi colori
in un rampicante?

Del tronco
tarlato
sei
vivissimo
germoglio,
freccia
del suo fogliame.
( fonte )

Nella pietra
sei pietra
con due piccoli occhi
antichi:
gli occhi della pietra.

Vicino
all’acqua
sei
fango taciturno
che scivola.
Vicino
alla mosca
sei il dardo
del dragone
che annichila.

E per me,
l’infanzia,
la primavera
presso
il fiume
pigro,
sei
tu!

Lucertola
fredda, piccola
e verde;
( fonte )

sei una remota
siesta
vicino alla frescura,
con i libri chiusi.

L’acqua corre e canta.
Il cielo, in alto, è una
corolla di calore.

Pablo Neruda

da Poesie, a cura di G. Bellini,
Nuova Accademia, Milano, 1960

giovedì 14 novembre 2019

La luna di Bilbao


Quella vecchia luna di Bilbao, non la dimenticherò presto: proprio come un grande palla, quella vecchia luna di Bilbao, che sorgeva presso le dune mentre nel saloon della spiaggia ci si cullava con un ritmo dei tempi andati. Avremmo potuto cantare tutta la notte, e io posso ancora ricordare che erano le più belle, le più belle, le più belle notti di tutti i tempi. Non c'era vernice sulla porta, l'erba cresceva sul pavimento, ma c'era tanta amicizia su quella spiaggia di Bilbao, quella vecchia spiaggia di Bilbao...


(Karel Zeman, Il barone di Munchhausen, 1962)

Questa famosa canzone viene da "Happy end", 1929, testo di Bertolt Brecht, musica di Kurt Weill, soggetto di Elisabeth Hauptmann (con lo pseudonimo Dorothy Lane). Scritta dopo il successo di "L'opera da tre soldi", è sempre una storia di gangsters che wikipedia in inglese paragona a "Guys and dolls"; la trama è molto complicata e l'opera ebbe poco successo, il che è strano perchè contiene molta bella musica. Bella e famosa: oltre a "Bilbao song", troviamo "Surabaya Johnny", "Matrosen tango" (tango dei marinai), e molto altro. "Happy end" fu comunque ripresa più volte, nel dopoguerra, ed ebbe successo anche a Broadway. (quello che riporto qua sopra è un mio riassunto del testo, chiedo venia per la scarsa qualità).
qui e qui per gli ascolti
(nel primo link, Christopher Lloyd prima dello zio Fester e di "Ritorno al futuro"; nel secondo, Gisela May nell'originale in tedesco)

martedì 12 novembre 2019

Mondo bagnato


- Mondo bagnato! - dice Ciccetta, e accetta di farsi un po' asciugare.
- Mondo bagnato! - dice Aramis, e se ne torna a casa, al caldo.
- Miao - dice Mamma Gatta, e non aggiunge altro perché lei è abituata e l'inverno non le fa paura.
Eh sì, piove. Piove da tre giorni, e Ciccetta sembra volermi chiedere di farla smettere; ma io non sono così potente da far smettere di piovere. Forse lei lo credeva, o lo sperava, vedendomi così grande e grosso. Chissà. Per intanto, lascio un po' aperta la porta del garage: a misura di gatto, quel tanto che basta.

 

domenica 10 novembre 2019

Indian summer


Quello che per noi è l'estate di san Martino, per gli americani è l'estate indiana, "Indian summer". E' già autunno inoltrato e fa freddo, ma arriva comunque una bella giornata di sole; nel tempo ci ho fatto caso, e capita spesso. Non sempre, si sa: ma anche questo fa parte della normalità.

"Indian summer" è anche il titolo di una bella canzone dei Doors, da "Morrison Hotel". Il testo non dice niente di speciale, una semplice dichiarazione d'amore che sottintende un ricordo; ma è comunque un bell'ascolto, che scalda l'anima.  (qui)
 Indian Summer
(Jim Morrison, Robby Krieger)
I love you the best
Better than all the rest
I love you the best
Better than all the rest
That I meet in the summer
Indian summer
That I meet in the summer
Indian summer
I love you the best
Better than all the rest
(da "Morrison Hotel")

(l'immagine è degli anni '30, non ho trovato indicazioni sull'autore)

venerdì 8 novembre 2019

Nel retino di Nabokov


Con esche fatte di melassa e birra svaporata, un retino delicato e un barattolo con fondo di ovatta imbevuto d'etere, lo scrittore russo-americano Vladimir Nabokov andò come un bambino a caccia di farfalle per tutta la vita.


"Come una farfallina, ho svolazzato, svolazzato un po' e sono morto" diceva il protagonista del romanzo Bambocciata di Konstantin K. Vaginov.
 Una passione profonda, e anche, in alcuni periodi, un divertente modo per guadagnarsi il pane. Nel 1941, trasferitosi da poco con la famiglia negli Stati Uniti, ricevette dapprima l'incarico di riordinare la collezione di lepidotteri del Museo di Storia naturale di New York e, l'anno successivo, dopo un incontro con il professor Nathan Banks, direttore del dipartimento di Entomologia del Museo di Zoologia comparata di Harvard, ricevette l'incarico come "research fellow", sia pure a tempo parziale, presso quell'Università, di risistemare le collezioni esistenti.
(...)

Nabokov diviene un "cacciatore" anche in letteratura, attira nella sua rete così come le farfalle colorate lo catturano e si fanno catturare: " ciò che davvero conta in letteratura è samanstvo, vale a dire la capacità che l'oggetto letterario ha di incantare, di sedurre a sé il proprio lettore, di catturarlo all'interno dei labirinti del processo stesso della scrittura". Nel momento in cui Nabokov si apprestava a esordire nel campo della prosa, aveva compreso che "nell'arte, come nella scienza pura, il particolare è tutto".
Quando negli anni Cinquanta, Nabokov abbandonò il Museo di Zoologia e si dedicò all'insegnamento della letteratura, le farfalle entrarono anche lì:
" Nel mio corso di letteratura cerco di identificare la farfalla notturna che volteggia intorno alla lampada nella scena del bordello nell' Ulisse. E ci sono tre farfalle in Madame Bovary, una nera, una gialla e una bianca".
 Ma la scoperta più sensazionale di Nabokov è quella che la farfallina nel trittico di Bosch , Il giardino delle delizie, è un esemplare femminile della specie, comune in Europa, denominata Manila jurtina, "classificata da Linneo 250 anni dopo che il nostro pittore l'acchiappò in un prato fiammingo per collocarla nel suo Inferno..."

F.M. Cataluccio; Immaturità, ed. Einaudi ( qui )

( I disegni sono di Vladimir Nabokov )





mercoledì 6 novembre 2019

Orchidea


Da S. Remo il grossista Garibaldi rifornisce di fiori Felice detto «orchidea». Felice questa sera aveva i baffi, il cappellino da partigiano finlandese. «Scrivi orchidea perché tutti sanno che offrivo le orchidee, mai mi sono presentato a una festa senza orchidee. Hai scritto orchidea? fai vedere se l’hai scritto... ». Gran ballerino, cliente dell’Apollo Dancing voce bassa, gentiluomo lombardo (mai sentito parlare dei Brioschi di Ascanio Sforza, famiglia di lavandé quando il bucato profumava di campagna?) il Felice intercala il suo parlare con «guarda». Guarda, se ho la gastofobia è perché sono rimasto chiuso in ascensore e l’ultima volta che sono stato per monti e al rifugio Brioschi che si chiama come me, sopra S. Pellegrino.
 Ho sempre lavorato intorno ai fiori per esempio la Clatea, l’orchidea vera che metti in quelle scatole trasparenti che vedi al cinema quando Bogart le regala alla sua donna del « ganster» e lei toglie il nastro e dice «oh, che meravigliosa orchidea!». Ecco, quella lì è una Clatea! Pero mi interessano il Cinvicium cioè l’orchidea a grappoli e il Deudronium delle isole del Brasile, che è uno stelo con tutti i fiori violacci. Nella mia vita una bella scopa d`assi e poi dopo vado a ballare, ma lasciami almeno i miei fiori! Vieni in Corso Garibaldi dal Piccin Elio che è il re dei bonsai perché i giapponesi sono più bravi degli olandesi, come dire gli spaghetti inventati dai cinesi. Dei bonsai ci si innamora: il «Kiro-Kiro» del Giappone ne ha uno di almeno 700 anni e dicono che il suo nonno dei nonni l’ha preso piccino dove c'è il vulcano. Ah, beh, se parliamo di rose è diverso, guarda, a me le rose mi piacciono però ti dico, guarda, che la Gloria di Roma non c'è più e neanche la Mayland. Rimane la Regina Rossa come la mamma cattiva di Biancaneve che però ha la testa grossa e lo stelo non la tiene più. D’accordo, dopo se vuoi ci metti dei fili di ferro ma non è come quando sta su da sola. Dopu me piàsen i «Spaider», una specie di margherite a spicchi, e gli Indianapolis con i pon-pon. Il Delfinum el me pias perché ha la pannocchia e l'Agerpantis sembra un bastone verde con un fiore bianco azzurro (ciuffo di fiori a stellette). No, il Fior di Loto no! è quello che per farlo aprire in negozio devi tirar giù i petali che così la gente controlla se ci sono tutti. Neanche la Bocca-di-leone con quella spiga rossiccia che dopo due giorni cade. Guarda, ti dico io cosa devi prendere per far contento a chi gliela regali. Sai cosa? Una bella Pianta-del-fumo larga più di un metro e vien giù con le foglie a forma di lingue che assorbono gli odori, ti dico io, credici se fumi. Il Felice è un mio amico romantico di piante tropicali e di fiori recisi, ed è bravissimo. L’ho visto allestire un terrazzo in una sola mattinata fumando come un dannato e «guarda, alla svelta perché poi, ore sei, c'è il liscio all'Apollo! ».
(Giovanni Gandini, da "Caffè Milano", Edizioni Scheiwiller / All'insegna del pesce d'oro, 1987, pag.124)

(Giovanni Gandini, libraio ed editore milanese, fondatore della Milano Libri, ideatore e direttore del mensile Linus)