martedì 25 febbraio 2020

Platano


(platanus orientalis, orto botanico di Padova)

Un'altra musica famosa, di quelle che tutti conoscono senza magari sapere che cos'è; nei matrimoni, per esempio, la si esegue spesso all'organo. Le parole più brutte per la musica più bella, così viene spesso definita "Ombra mai fu" (dall'opera "Serse" di Georg Friedrich Haendel): il re Serse riposa all'ombra di un platano, in un momento di quiete. Il testo è davvero bruttino, la musica è uno dei tempi lenti di Haendel, vale a dire un tempo sospeso in cui perdersi, almeno per la durata del brano.

nell'ordine: Kathleen Ferrier,  Sara Mingardo Fritz Wunderlich , e per tromba e organo
recitativo: Fronde tenere e belle del mio platano amato, per voi risplenda il fato. Tuoni, lampi, e procelle non v'oltraggino mai la cara pace, né giunga a profanarvi austro rapace.
aria: Ombra mai fu / di vegetabile / cara ed amabile, / soave più…





sabato 22 febbraio 2020

Bassotti



(senza indicazioni, trovata on line)

Se pensi ai fumetti e dici "bassotti" la riposta, quasi in automatico, è "Banda Bassotti"; ma i Bassotti dei fumetti di Topolino non assomigliano per niente a un bassotto, e chissà di che razza sono, direi piuttosto dei bulldog o dei boxer. Un bassotto vero è invece quello del Signor Bonaventura, che Sergio Tofano si inventò nel 1917; e altrettanto vero, anche nel tratto umoristico di Benito Jacovitti, è Kilometro, bassotto detective e amico fedele di Cip l'arcipoliziotto. Kilometro viene disegnato da Jacovitti alla fine degli anni '60, non è uno dei suoi personaggi più famosi ma me lo ricordo ancora volentieri (i più famosi, per Jacovitti, sono Cocco Bill e Zorry Kid; andando più indietro nel tempo troviamo Pippo Pertica e Palla).


(Jacovitti 1971, corriere dei piccoli)
Il bassotto tedesco classico, "dachshund", non è molto di moda in questi anni, e anche il basset hound suo parente è diventato raro; gli si preferiscono altri cani, magari ingombranti come gli husky e i labrador. Negli ultimi anni, nei dintorni di Milano, si vedono sempre più spesso dei levrieri: il cinodromo ha chiuso, e i cani sono stati dati in adozione. Il levriero è l'esatto opposto del bassotto, a guardarlo bene; ma io qui sopra ho scritto "cani ingombranti" e adesso mi devo correggere perché, ripensando a incontri ravvicinati di qualche anno fa, il bassotto non è un cane piccolo e non lo è nemmeno il basset hound, che può raggiungere ingombri notevoli. Se avete un bassotto, dunque, meglio tenerlo a dieta e fargli fare tanto movimento; ma questo vale per qualsiasi cane, e anche per i padroni a dirla tutta.

 
 

giovedì 20 febbraio 2020

Dev'essere un cammello



(netsuke giapponese, fine '800)
Confesso subito di non aver mai amato molto Frank Zappa, ho avuto per le mani a suo tempo molti dei suoi dischi ma mi sono sempre sembrati musica gradevole o poco più, e non ho mai capito perché passi ancora oggi per un genio. I geni, quelli veri, sarei andato a cercarli e trovarli poco tempo dopo; intanto però mi è rimasto in casa questo 33 giri, direi il suo più famoso. Non so perché mi sia rimasto qui, forse una dimenticanza, comunque sia non mi dispiace riascoltarlo: il titolo è "Hot rats", non hot dogs ma hot rats. L'umorismo tipico di Frank Zappa, non dei più fini; il significato del titolo del brano sul cammello (It must be a camel) mi sfugge, ma è comunque un ascolto che non dispiace.

qui per l'ascolto


martedì 18 febbraio 2020

Respirare

(Picasso, 1900)


respirare

Chittaia diri?
Ca si ciauru di pani,
di tavula cunsata a festa?
Ca si meravigghia di passulina,
scoccia daranci zuccarata?
Chittaia fari?
No sai chi facissuru sta ucca,
sti iammi ne to iammi,
i manu ca ti cercunu assitati?
Sugnu ciatu ca sattacca na specchiera,
signami ancora cu li to ita.
(Dario D'Angelo)


Cosa devo dirti?
Che sei fragranza di pane,
profumo di pranzo in un giorno di festa?
Che sei meravigliosa passolina,
buccia d'arancia candita?
Cosa devo farti?
Non lo sai cosa farebbero queste labbra,
queste gambe tra le tue,
queste mani che ti cercano senza sosta?
Sono solo un alito sullo specchio,
segnami ancora con le tue dita.


Dario D'Angelo, dal suo sito "Solo Testo"

qui per sapere cos'è la passolina




domenica 16 febbraio 2020

Suono di passi



Calpestare la sabbia nel mattino rarefatto, timidezza di un esitante solo sole rosso che pare voler chiedere scusa per il disturbo recato alla notte, o per la giornata che porterà. Ecco il mare. Anche se è  prestissimo, evitare con cura le passerelle gli stabilimenti, avvicinarsi alla riva scendendo per uno spicchio selvaggio di spiaggia libera, tra l’ultimo bagno di Pinarella, il 59, e le prime colonie.
Fascino di una spiaggia romagnola dentro un’alba di settembre. I turisti che fino all’altro ieri la
gremivano, come non ci fossero mai stati. Recenti mareggiate hanno depositato un lungo tronco d’albero poco più in là della battigia. Sparuti bagnini al lavoro, come a continuare per riflesso condizionato qualcosa che più non ti riguarda. Gli ombrelloni, tranne quei pochi per coppie di anziani stranieri, già messi a ricovero per l’inverno, e i sostegni, rimasti soli nella piazza, paiono cippi di un sacrario militare.
Fa ancora freddo. Meno male che hai indossato la casacca della tuta che avevi nello zaino. Non hai pensieri. Sei qualcosa di dolente che cammina. Esisti solo come suono dei tuoi passi.

Nicola Pezzoli, Il volo interrotto degli angeli  ( qui )

venerdì 14 febbraio 2020

Serenata sotto la luna


Una serenata, direi così famosa che la conoscono tutti, magari senza sapere che è di Schubert. Il testo, per una volta, non è di quelli memorabili (leggeri scorrono i miei canti nella notte, verso di te; qui nel bosco silenzioso, cara, vieni da me! ...) Non è Heine, e nemmeno Goethe; ne è autore Ludwig Rellstab e direi che può piacere, ma vale qui ciò che si dice da sempre dei libretti d'opera, "con la musica di Verdi anche Francesco Maria Piave diventa Leopardi". Ma qui mi conviene fermarmi, già troppe parole. Buon ascolto.

nell'ordine: Hans Hotter , Jussi Bjoerling, Thomas Quasthoff e Claudio Abbado, Sergej Rachmaninov

 
(Albert Anker, 1887)
Ständchen (Serenade)
(Musica di Franz Schubert, testo di Ludwig Rellstab)
Leise flehen meine Lieder
Durch die Nacht zu dir;
In den stillen Hain hernieder,
Liebchen, komm zu mir!
Flüsternd schlanke Wipfel rauschen
In des Mondes Licht;
Des Verräters feindlich Lauschen
Fürchte, Holde, nicht. 
Hörst die Nachtigallen schlagen?
Ach! sie flehen dich, 
Mit der Töne süßen Klagen 
Flehen sie für mich. 
Sie verstehn des Busens Sehnen,
Kennen Liebesschmerz,
Rühren mit den Silbertönen 
Jedes weiche Herz. 
Laß auch dir die Brust bewegen,
Liebchen, höre mich! 
Bebend harr' ich dir entgegen!
Komm, beglücke mich!

mercoledì 12 febbraio 2020

Quante cornacchie

(Henry Meynell Rheam, 1898)







Quante cornacchie vicino a Winchester: in primavera si sentono crocidare, un suono struggente che si dice "cawing". Quanto vento sulle alture là intorno, come agitata la luce, quanta emotion altrui, quante colline!

(Luigi Meneghello, Il dispatrio, pag120 ed. BUR 2007)




lunedì 10 febbraio 2020

sabato 8 febbraio 2020

La febbre è un furetto

(Nishiyama Hoen, 1804-1867)

Christine Lavant
 
Si sente odor di neve

Si sente odor di neve, resta appeso 
il sole ai vetri come un frutto rosso;
se questa febbre scrollo via di dosso 
diventerà un furetto, e sarà preso,    
e chi vi scalda poi, dita gelate?
I re cantori vanno per le strade
e dalle mie sorelle certamente.
La mia tristezza cresce giornalmente,
però non quanto basta a essere pia.
Prendere il frutto rosso nella mia
stanza vorrei, e annuserei la buccia,
giusto per dirmi che sapore ha il cielo.
Il furetto s’acquatta a bruciapelo,
sguscia via dal vicino e s’incantuccia,
tanto in un groppo mi si stringe il cuore.
Chissà se il cielo scende dalle alture
quando si è troppo deboli a salire.
Il frutto l’hanno già fatto sparire…
Però nella mia stanza si sta bene,
e caldi più che neve su un pomario.
Del cranio mi fa male un emisferio
soltanto; poi nel sangue va e viene
il sonno con un fiore, e su e giù in me
lui canta le carole dei tre re.
 
Da: Die Bettlerschale (La scodella del mendicante), Salzburg 1956, traduzione di Elena Grammann
qui per saperne di più



giovedì 6 febbraio 2020

Central Park in the dark


(John Atkinson Grimshaw, 1873)

"Central Park in the dark" di Charles Ives è del 1906, una breve composizione che include anche suoni e rumori ambientali. E' un notturno, all'inizio quasi impercettibile, una passeggiata in Central Park dove a un certo punto il silenzio e i suoni sommessi vengono interrotti da una musica improvvisata, da cabaret o da festa di strada; poi torna il silenzio, camminando ci siamo portati lontani e la musica si attenua, cessa quasi d'improvviso. In tutto, poco più di sette minuti. Metto qui sotto il link, ma fate attenzione perchè all'inizio si sente poco o niente. Charles Ives (1874-1954) è il primo grande compositore americano ed è davvero una personalità fuori dagli schemi consueti. In primo luogo per la sua professione: lavorava nelle assicurazioni e la musica per lui era solo una grande passione. L'avere un introito assicurato gli garantì libertà assoluta nelle sue composizioni, sia nelle Sinfonie più consone al repertorio normale di un'orchestra che in altri brani più sperimentali. In "Central Park in the dark", Ives mette in musica rumori e canti della notte, nel Central Park di New York; in "The gong on the hook and ladder" (1911) c'è la trascrizione, in poco più di due minuti, della parata dei pompieri sulla Main Street; in "The unanswered question", forse il suo capolavoro, c'è la domanda senza risposta, una meditazione profonda e inquietante sulla nostra vita. Lontanissimo dai futuristi e dalle macchine intonarumori di quel periodo, Ives fa vera musica, ed in modo particolarissimo e personale. Erano gli anni in cui Stravinskij cominciava ad affermarsi, e Schoenberg iniziava il suo percorso dodecafonico; ma Ives c'era già, e ad altissimi livelli.
ne ho scritto qualcosa qui  , tanto tempo fa

qui per l'ascolto




martedì 4 febbraio 2020

La doppia felicità di Blitz

Elsa Morante

La primavera dell’anno 1942 avanzava, intanto, verso l’estate. Al posto delle molte lane, che lo facevano sembrare un fagottello cencioso, adesso Giuseppe fu rivestito da Ida di certi antichissimi calzoncini e camiciole già appartenuti al fratello, e malamente adattati per lui. I calzoncini, addosso a lui, facevano da pantaloni lunghi. Le camiciole, ristrette alla meglio sui lati, ma non accorciate, gli arrivavano fin quasi alle caviglie. E ai piedi, per la loro piccolezza, bastavano ancora delle babbucce da neonato. Cosí vestito somigliava a un indiano.
Della primavera, lui conosceva soltanto le dóndini che s’incrociavano a migliaia intorno alle finestre dal mattino alla sera, le stelle moltiplicate e più lucenti, qualche lontana macchia di geranio, e le voci umane che echeggiavano nel cortile, libere e sonore, per le finestre aperte. Il suo vocabolario si arricchiva ogni giorno. La luce, e il cielo, e anche le finestre, si chiamavano tole (sole). Il mondo esterno, dall’uscio d’ingresso in fuori, per essergli sempre interdetto e vietato dalla madre, si chiamava no. La notte, ma poi anche i mobili (giacché lui ci passava sotto) si chiamavano ubo (buio). Tutte le voci, e i rumori, opi (voci). La pioggia, ioia, e così l’acqua, ecc.
Con la bella stagione, si può immaginare che Nino sempre piú spesso marinasse la scuola, anche se le sue visite a Giuseppe in compagnia degli amici oramai non erano piú che un ricordo lontano. Ma una mattina di sereno meraviglioso, apparve inaspettato a casa, vispo e fischiettante in compagnia del solo Blitz *; e come Giuseppe, spuntando da sotto qualche ubo, al solito gli muoveva incontro, lui gli annunciò, senz’ altro: "Ahó, maschio, annàmo! Oggi si va a spasso! ".
E così detto, con azione immediata, si issò Giuseppe a cavalluccio sulle spalle, volando come il ladro Mercurio giù per la scala, mentre Giuseppe, nella tragedia divina della infrazione, mormorava in una sorta di cantilena esultante: «No… No… No…» Le sue manucce stavano chiuse quietamente dentro le mani del fratello; i suoi piedini, dondolanti nella corsa, pendevano sul petto di lui, cosí da avvertirne la violenza del respiro, fremente nella libertà contro le leggi materne! E Blitz veniva dietro, sopraffatto dalla sua doppia felicità amorosa al punto che addirittura, disimparando il passo, rotolava come un rimbambito giù per i gradini. I tre uscirono nel cortile, attraversarono l’androne; e nessuno, al loro passaggio, si fece a chiedere a Nino: «Chi è questo pupo che porti?» quasi che, per un miracolo, quel gruppetto fosse diventato invisibile.

 
Elsa Morante, La storia
Ed. Einaudi

*Blitz è un cane

domenica 2 febbraio 2020

Neve



(Dublino 1965, Mac Weeney)
Fuori era ancora buio. Nell'aria senza vento la neve cadeva più fitta della vigilia. I grossi fiocchi lanuginosi scendevano pigramente e a poca distanza da terra restavano ancora esitanti se posarsi o no al suolo. Quando dal vicolo uscirono sull'Arbàt, era già più chiaro. La nevicata velava tutta la strada d'una bianca cortina che scivolava giù agitando e impigliando nelle gambe dei passanti i suoi lembi frangiati, così da far perdere la sensazione di procedere, quasi che i piedi anziché avanzare restassero a muoversi sempre nello stesso punto. Per strada non c'era anima viva. I partenti del vicolo Sivcev non incontrarono nessuno. Presto però, tutto coperto di neve, come passato in pasta liquida, li raggiunse un vetturino con una rozza imbiancata allo stesso modo. Per una somma favolosa, ma che in quegli anni non valeva un soldo, li fece salire tutti con la roba in carrozza. Solo Jurij Andreevic preferì raggiungere a piedi la stazione, libero da pesi e bagagli.

Boris Pasternak, Il dottor Zivago, pag.174 ed. Feltrinelli 1998, traduzione Pietro Zveteremich, Maria Olsoufieva, Mario Socrate