domenica 25 ottobre 2020

Vedute

                                                         da Vincent van Gogh, Lettere a un amico pittore,  ed.  Rizzoli


" Ecco la descrizione di una tela che ho davanti a me in questo momento. Una veduta del parco della casa di salute in cui mi trovo:a destra una terrazza grigia, l'ala di una casa. Qualche cespuglio di rose sfiorite, a sinistra il terreno del parco - ocra rossa - terreno arso dal sole, coperto di aghi di pino caduti.Questo margine del parco è piantato di grandi pini dai tronchi e dai rami ocra rossa, con il fogliame verde rattristato dalla mescolanza di nero. Questi alti alberi si stagliano su un cielo serotino striato di viola su fondo giallo, il giallo verso l'alto vira al rosa, vira al verde. Una muraglia - ancora ocra rossa - sbarra la vista e ne sporge solo una collina violetta e ocra giallo. Ora, il primo albero è un tronco enorme ma colpito dal fulmine e segato. Un ramo laterale tuttavia si slancia altissimo e ricada su una valanga di aghi verde scuro. Questo gigante scuro - come un superbo sconfitto - contrasta, se lo consideriamo come carattere di essere vivente col sorriso pallido di un'ultima rosa che appassisce sul cespuglio di fronte a lui. Sotto gli alberi, panchine di pietra vuote, del bosso scuro, il cielo si specchia - giallo - dopo la pioggia, in una pozzanghera. Un raggio di sole, l'ultimo riflesso, esalta l'ocra scuro fino all'arancione. Delle figurine nere si aggirano qua e là tra i tronchi. Capirai che questa combinazione di ocra rossa, di verde intristito di grigio, di tratti neri che segnano i contorni, suscita un po' quella sensazione di angoscia di cui soffrono sovente alcuni miei compagni di sventura, che si chiama "veder -rosso". E del resto il motivo del grande albero colpito dal fulmine, il sorriso malaticcio verde-rosa dell'ultimo fiore d'autunno contribuiscono a confermare questa idea.



Un'altra tela rappresenta un sole che sorge su un campo di grano ancora verde;

Linee di fuga, solchi che montano in alto nella tela, verso una muraglia e una fila di colline lilla. Il campo è violetto e giallo verde. Il sole è bianco ed è circondato da una grande aureola gialla. In questa tela, per contrasto con l'altra, ho cercato di esprimere calma, una grande pace. Ti parlo di queste due tele, soprattutto della prima, per ricordarti che per dare un'impressione di angoscia, si può cercare di farlo senza puntare direttamente sull'orto di Getsemani storico; che per dare un motivo consolante e dolce non è necessario rappresentare i personaggi del sermone della montagna.





giovedì 22 ottobre 2020

Cavalli


"... ehi, dormite?!" gridò, come faceva di tanto in tanto, ai cavalli, di cui durante tutto il tempo continuava a sorvegliare con la coda dell'occhio le groppe, come un macchinista i manometri. Ma i cavalli tiravano come tutti i cavalli del mondo, e cioè quello di stanga correva con l'innata onestà di una natura semplice, mentre l'altro, il bilancino, poteva apparire a un profano un lavativo di tre cotte che, inarcando il collo a cigno, sembrava non sapesse far altro che ballare su e giù al tintinnio delle sonagliere scosse dai suoi stessi balzi.

Boris Pasternak, Il dottor Zivago, pag.12 ed. Feltrinelli 1998, traduzione Pietro Zveteremich, Maria Olsoufieva, Mario Socrate

(dipinto di Thomas Blinks)



domenica 18 ottobre 2020

Garden song



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( illustrazione di Inga Moore )

venerdì 16 ottobre 2020

Il mostro che ci attende nel buio


(...) quando Elizabeth Vrba passò ad analizzare le ossa dei bovidi trovò che predominavano animali troppo imponenti, come il bubalo, perché un leopardo potesse affrontarli. Doveva essere in azione qualche altro carnivoro più poderoso. Quale?
I candidati principali sono tre, ora tutti estinti, e tutti hanno lasciato i loro fossili nella valle di Sterkfontein;
a. Le iene cacciatrici a zampe lunghe (Hyenictis e Euryboas)_
b. I macherodonti, o felini dai denti a sciabola.
c. Il genere Dinofelis, il "falso dente a sciabola".
I macherodonti avevano muscoli del collo enormi e facevano balzi poderosi; sulle mascelle superiori avevano canini affilati come falci, con il taglio seghettato, che conficcavano nel collo della preda con un colpo all'ingiù. Erano soprattutto adatti ad abbattere grandi erbivori. I loro denti taglienti erano più efficienti di quelli di ogni altro carnivoro, però avevano le mascelle inferiori deboli: così deboli che non riuscivano a finire uno scheletro. Una volta Griff Ewer ipotizzò che i molari della iena, capaci di spezzare le ossa, si fossero evoluti come risposta alle carogne non mangiate che i macherodonti si lasciavano in abbondanza alle spalle.
Ovviamente le caverne della valle di Sterkfontein furono occupate, in un lunghissimo arco di tempo, da varie specie di carnivori. Brain pensò che a portare la una parte delle ossa, soprattutto quelle delle antilopi più grandi, potessero esser stati i macherodonti e le iene, che lavoravano in coppia. Inoltre, responsabili di aver portato nelle caverne alcuni ominidi potevano essere le iene cacciatrici.
Ma veniamo alla terza alternativa. Il Dinofelis era un felino meno agile di un leopardo o di un ghepardo, ma di corporatura molto più robusta. Aveva denti diritti, micidiali come pugnali, dalla forma a metà tra quelli del macherodonte e quelli, poniamo, della tigre moderna. La mandibola si chiudeva con uno scatto possente. Data la sua mole, doveva probabilmente andare a caccia di
soppiatto, e quindi di notte. Forse era maculato, o a strisce. Oppure era nero, come una pantera.
Le sue ossa sono state rinvenute dal Transvaal all'Etiopia: cioè l'ambiente originario dell'uomo.
Nella Stanza Rossa ho tenuto in mano proprio un cranio fossile di Dinofelis; un esemplare perfetto, ricoperto di una patina color melassa. Mi misi ad articolare la mandibola, e mentre la chiudevo mi proposi di guardare dritto tra le zanne. Il cranio fa parte di uno dei tre scheletri completi di Dinofelis - un maschio, una femmina e un 'cucciolo' - che negli anni 1947-48 furono trovati fossilizzati alla Bolt’s Farm, poco lontano da Swartkrans, insieme a otto babbuini e nessun altro animale.

lunedì 12 ottobre 2020

Umano, troppo umano

Nietzsche esce dal suo albergo a Torino. Vede davanti a sé un cavallo e un cocchiere che lo colpisce con la frusta. Nietzsche si avvicina al cavallo e, sotto gli occhi del cocchiere, gli abbraccia il collo e scoppia in pianto. Ciò avveniva nel 1889 e a quel tempo anche Nietzsche era già lontano dagli uomini. In altri termini, proprio allora era esplosa la sua malattia mentale. Ma appunto per questo mi sembra che il suo gesto abbia un significato profondo. Nietzsche era andato a chiedere perdono al cavallo per Descartes. La sua pazzia (e quindi la sua separazione dall'umanità) inizia nell'istante in cui piange sul cavallo. È questo il Nietzsche che amo, così come amo Tereza sulle cui ginocchia riposa la testa di un cane mortalmente malato. Li vedo l'uno accanto all'altra: entrambi si allontanano dalla strada sulla quale l'umanità, ''signora e padrona della natura'', prosegue la sua marcia in avanti. 
 
Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere, ed. Adelphi
Traduzione di Giuseppe Dierna
 


( l'illustrazione è di Quint Buchholz )

sabato 10 ottobre 2020

La vita attuale


La vita attuale è inquinata alle radici. L'uomo s'è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l'aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio altre forze. V'è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande ricchezza... nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci guarirà dalla mancanza di aria e di spazio?

(Italo Svevo, La coscienza di Zeno, pagina 479 edizione Dall'Oglio 1976)

(fotogramma da "Stalker" di Andrej Tarkovskij)




martedì 6 ottobre 2020

Possibilità

Illustrazione di Quint Buchholz


I personaggi non nascono da un corpo materno come gli esseri umani, bensì da una situazione, da una frase, da una metafora, contenente come in un guscio una possibilità umana fondamentale che l'autore pensa nessuno abbia mai scoperto o sulla quale ritiene nessuno abbia mai detto qualcosa di essenziale.Ma non si dice forse che un autore non può parlare che di se stesso?
Guardare impotenti nel cortile, senza sapere che cosa fare; sentire l'ostinato brontolio della propria pancia nell'attimo dell'esaltazione amorosa; tradire e non potersi fermare sulla bella strada dei tradimenti; alzare il pugno nel corteo della Grande Marcia; esibire il proprio umorismo davanti ai microfoni nascosti della polizia; tutte queste situazioni le ho conosciute e vissute io stesso, e tuttavia da nessuna di esse è sorto un personaggio che sia me stesso col mio curriculum vitae. I personaggi del mio romanzo sono le mie proprie possibilità che non si sono realizzate. Per questo voglio bene a tutti allo stesso modo e tutti allo stesso modo mi spaventano: ciascuno di essi ha superato un confine che io ho solo aggirato. E' proprio questo confine superato (il confine oltre il quale finisce il mio io) che mi attrae. Al di là di esso incomincia il mistero sul quale il romanzo si interroga. Un romanzo non è una confessione dell'autore, ma un'esplorazione di ciò che è la vita umana nella trappola che il mondo è diventato.

Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere, ed. Adelphi
Traduzione di Giuseppe Dierna
 

venerdì 2 ottobre 2020

Gandalfo


Non sono mai stato un fan del Signore degli Anelli, però ho voluto ugualmente guardare i film e quando il vecchio Gandalf (non ricordo più in quale episodio) si rivolge alla bella Elfa, ancora giovane, ricordando i bei tempi in cui erano giovani insieme, non ho potuto non pensare al rapporto che esiste tra noi e gli animali. Forse Tolkien ha avuto un cane, ho pensato, e ha scritto questa pagina pensando a lui. Capita anche a me in questi giorni con la gatta Ciccetta, "se tu sapessi quanto sono vecchio io..." mi capita di dirle, soprattutto quando l'artrosi si fa sentire, e lei ovviamente non capisce, magari socchiude un po' gli occhi (è il sorriso dei gatti, fateci caso se non ci avete mai pensato), ma per lei è davvero come se uno di noi stesse chiacchierando con Garibaldi, o con Napoleone. Il tempo scorre in maniera differente: per un cane o per un gatto il primo anno di vita corrisponde a venti dei nostri, poi per un po' è come se si fermasse, poi inevitabilmente torna a farsi sentire e vedere. Quando prendiamo un cane o un gatto in casa, sappiamo già che avremo molti anni felici, ma non tanti come con un umano; ed è una riflessione triste, da bambini si correva insieme, poi a un certo punto non è più possibile. Ma questa è la nostra vita, che ci riserva comunque dei momenti meravigliosi, sia con gli animali che con le persone. Il tempo, per qualche momento, scorre dunque uguale per noi e per loro.


(la vignetta viene da La Settimana Enigmistica)