sabato 30 settembre 2017

Diavolo d'un cane ( II )


Alla lettera, "hound" non è un cane qualsiasi: è un cane da caccia, un segugio, un cane che sa dove è la sua preda. Lo sa sempre, e la scova ovunque sia. Dunque, "hellhound" è un cane infernale, che ti scova in ogni momento, e che sa come farti male. "Hellhound on my trail", il segugio infernale che segue il sentiero della mia vita, è il punto di partenza per Robert Johnson, in uno dei blues più belli mai scritti, fermato su disco nell'anno 1937. L'unica speranza, dice il testo della canzone, è una ragazza che creda in te, con cui stare bene, magari alla vigilia di Natale. La solitudine alla vigilia della festa, terreno di caccia per l'implacabile segugio infernale.


Un clic qui per l'ascolto



Hellhound on my trail


I got to keep movin', I got to keep movin'
Blues fallin' down like hail, blues fallin' down like hail...
And the days keeps on worryin' me
There's a hellhound on my trail.
If today was Christmas Eve, if today was Christmas Eve
And tomorrow was Christmas Day
Aw, wouldn't we have a time, baby?
All I would need my little sweet rider just
To pass the time away (...)




Ma poi, che cos'è il blues? Direi proprio che è questa cosa qui:
« Il blues non è una cosa divertente come pensano tutti, o come pensano i giovani oggi, che prendono una cosa qualsiasi e ne fanno del blues: basta che saltellino qua e là e dicono che quello è blues. Non è così. C'è un solo tipo di blues, e assomiglia a ciò che esiste tra un uomo e una donna che si amano, due persone che siano innamorate una dell'altra, e che si ingannano attraverso l'amore. Ecco, a volte quel tipo di blues può portare a fare cose sbagliate, addirittura a uccidersi l'un l'altro; ed è qualcosa che nasce qui, qui (picchia sul cuore) qui dentro. E' qui che inizia il blues, non da un altro lato ma qui. Questo è il blues.»
Son House, da "The blues" minuto 19 di "Warming by the devil's fire" (regia di Charles Burnett, prodotto da Martin Scorsese). Son House sta parlando di se stesso, fu omicida - per legittima difesa - quando aveva 25 anni.

(la copertina del mio lp di Robert Johnson è opera di Burt Goldblatt)

giovedì 28 settembre 2017

Uroboro


Adesso l'Oceano è un mare o un sistema di mari; per i greci, era un fiume circolare che contornava la terra. Tutte le acque fluivano da esso, ed esso non aveva foce né fonti. Era anche un dio o un titano, forse il più antico, perché il Sonno, nel libro XIV dell’Iliade, lo chiama origine degli dei; nella Teogonia di Esiodo è il padre di tutti i fiumi del mondo, che sono tremila, e la cui lista s’apre con l’Alfeo e col Nilo. Un veglio dalla barba copiosa era la sua personificazione abituale; dopo secoli, l'umanità trovò un simbolo migliore. Eraclito aveva detto che nella circonferenza il principio e la fine sono un solo punto. Un amuleto greco del secolo III, conservato nel Museo Britannico, ci dà l'immagine che meglio può illustrare questa infinitezza: il serpente che si morde la coda, o, come dirà acconciamente Martinez Estrada, «che comincia alla fine della coda ».

martedì 26 settembre 2017

Lucertola


LA LUCERTOLA

Filiazione spontanea della pietra spaccata dove m’appoggio, mi s’arrampica sulle spalle. Immobile come sono, e con un pastrano color sasso, m’ha scambiato per il muro. Dopo tutto, la cosa mi lusinga.

(Jules Renard, Storie naturali, pag.48 ed. Fabbri 2001, traduzione di Aldo Gabrielli)

(illustrazione di Lydekker, 1895)

domenica 24 settembre 2017

I cani sanno leggere

Certo, imparare a leggere non serve proprio a nulla, quando l'odore della carne ti solletica le narici anche a distanza di un chilometro. Nondimeno, se abitate a Mosca e un minimo di cervello in zucca ce l'avete, volere o non volere imparerete a leggere senza nessun bisogno di andare a scuola. Su quarantamila cani moscoviti solo un idiota integrale non sa compitare la parola «salame». Pallino aveva cominciato il suo studio in base ai colori. Aveva appena quattro mesi quando tutta Mosca era stata tappezzata di certe insegne color verdeazzurro con sopra scritto "MSPO-spaccio carni". Ripeto, tutto questo è inutile perché la carne si individua all'odore. Una volta però era successo un gran pasticcio: lasciandosi guidare da un azzurro carico, Pallino, il cui odorato era stato ridotto a zero dal puzzo di benzina di un'automobile, invece che in una macelleria era andato a finire nel negozio di accessori elettrici dei fratelli Polubizner, in via Mjasnickaja. Dai fratelli Polubizner era stato accolto a colpi di filo elettrico, che scotta quasi quasi come la frusta di un cocchiere.
Proprio questo momento cruciale dev'essere considerato come il primo giorno di scuola di Pallino. Appena raggiunto il marciapiede, il cane si era reso conto che «azzurro» non significa sempre «carne» e, stringendosi la coda fra le zampe posteriori e ululando per il dolore cocente, s'era ricordato che su tutte le macellerie le scritte cominciano con uno strano affare colorato simile a uno slittino, situato subito a sinistra. Poi le cose andarono meglio. La «A» la imparò alla Genepesca, all'angolo della via Mochovaja, e poi la «C» (gli era più comodo affrontare la parola «Pesca » da dietro, perché in genere dall'altra parte c'era sempre una guardia). Le mattonelle di ceramica che tappezzavano gli angoli di Mosca significavano sempre e immancabilmente «Formaggio ». Il nero becco da samovar con cui cominciava la parola gli ricordavano l'ex proprietario Cičkin, le montagne di formaggio rosso tipo olandese, quelle belve dei commessi che odiano tanto i cani, la segatura per terra e il «backstein» dal lezzo nauseabondo. Se suonavano la fisarmonica - sempre meglio di «Celeste Aida » - e c’era odore di salsicce, le prime lettere sulle insegne bianche si sistemavano comodamente nelle parole «non pro...». Voleva dire «non pronunciare parole oscene e non dare mance». Qui a volte scoppiavano di punto in bianco zuffe violente, la gente si pigliava a pugni sul muso e, più raramente, a colpi di tovagliolo o a calci. Se nelle vetrine erano appesi dei prosciutti e, sotto, facevano bella mostra di sé dei mandarini, allora... gau-gau... ga...stronomia. Se c'erano bottiglie scure con dentro un brutto liquido... V-i-vi-vini... Già Ditta Fratelli Eliseev.
Lo sconosciuto che si era portato dietro il cane fino alla porta del suo lussuoso appartamento al piano nobile suonò il campanello e l'animale concentrò tutta la sua attenzione sul grosso biglietto da visita, nero a lettere d'oro, appeso accanto all'ampia porta a vetri ondulati, di un colore rosato. Riuscì subito a leggere le prime tre lettere: pi-erre-o, pro. Ma poi seguiva una schifezza complicata, un vero rebus (...)
(Mikhail Bulgakov, Cuore di cane, capitolo II, edizione BUR 1975, traduzione di Giovanni Crino)
(fotografia di Robert Doisneau, Parigi 1953)

mercoledì 20 settembre 2017

Cardellino


Nei tempi antichi viveva in Irlanda un nobile uomo della casata dei Fitzgerald. Il suo nome era Gerald, ma gli Irlandesi, che avevano sempre avuto molta considerazione per la sua famiglia, lo chiamavano Gearoidh Iarla, il Conte Gerald. Aveva un grande castello, o meglio una fortezza, a Mullaghmast; e ogni volta che il governo inglese si provava a recare un torto alla sua patria era sempre pronto a prenderne le difese. Oltre a essere un valoroso condottiero in battaglia e abilissimo nell’usare ogni tipo d’arma, era esperto in magia nera ed era capace di assumere qualunque forma volesse. Sua moglie sapeva di questo potere e spesso gli chiedeva di farla partecipe di qualcuno dei suoi segreti, ma mai il Conte aveva voluto accontentarla. Lei insisteva soprattutto per vederlo sotto qualche strana sembianza, lui però continuava a rimandare con un pretesto o l'altro. Ma non sarebbe stata donna se non avesse avuto perseveranza. Il marito infine l’avvertì che se si fosse spaventata anche solo un po' mentre lui si trovava fuori dalla sua forma naturale, non gli sarebbe più stato possibile riacquistarla prima che molte generazioni di uomini fossero andate sotto terra. «Oh! Non sarebbe stata la moglie adatta per Gearoidh Iarla se avesse potuto spaventarsi facilmente. Se solo lui l’avesse accontentata in questo suo capriccio, avrebbe visto quant'era coraggiosa!»


Così una bella sera d’estate mentre stavano seduti nel grande salone, egli volse il viso dall’altra parte, mormorò alcune parole e, in un batter d’occhio, era bell'e che sparito e un grazioso cardellino svolazzava per la stanza. La moglie, per quanto si ritenesse coraggiosa, ne fu un po' spaventata ma seppe controllarsi abbastanza bene, soprattutto quando l’uccellino andò a posarsi sulla sua spalla, sbatté le ali, appoggiò il beccuccio alle sue labbra e cinguettò la più bella melodia che mai si fosse udita. La bestiola si mise a disegnar cerchi per la stanza, giocò a rimpiattino con la sua dama, volò in giardino, tornò indietro, si posò sul suo grembo come addormentato e balzò via di nuovo.
Quando il gioco era durato abbastanza da soddisfare entrambi, spiccò un altro volo all’aperto; ma, parola mia, non ci mise molto a tornare. Volò dritto in seno alla sua donna e, l’attimo seguente, un falco rapace si precipitava dietro di lui. La donna diede uno strillo acuto, sebbene non ce ne fosse bisogno, perché il terribile uccello - entrato come una freccia - andò a sbattere contro un tavolo con tale violenza che la vita gli schizzò fuori. Dal corpo scosso dai tremiti della bestia la dama volse lo sguardo al luogo dove, un attimo prima, aveva visto il cardellino: ma non posò mai più gli occhi né sul cardellino né sul Conte Gerald.
Una volta ogni sette anni il Conte cavalca per la grande pianura del Kildare su un destriero dagli zoccoli d’argento che, al tempo in cui sparì, erano spessi mezzo pollice: quando questi zoccoli saranno diventati sottili come l’orecchio di un gatto, egli sarà restituito alla società dei viventi, combatterà una grande battaglia contro gli Inglesi e regnerà sull’Irlanda per quarant’anni. Assieme ai suoi guerrieri dorme ora in una lunga caverna sotto il Forte di Mullaghmast. Nel mezzo della caverna si allunga una tavola: il Conte sta al posto d’onore e i suoi soldati, vestiti delle loro armature, siedono ai due lati con la testa appoggiata sul piano. I cavalli, sellati e imbrigliati, stanno ritti ai loro posti dietro i padroni, su entrambi i lati; e quando il giorno verrà, il figlio del mugnaio che nascerà con sei dita per mano suonerà la sua tromba, e i cavalli scalpiteranno e alzeranno nitriti, e i cavalieri si sveglieranno e monteranno sui loro destrieri per andare a combattere.
In una notte che si ripete ogni sette anni, mentre il Conte cavalca per la grande pianura del Kildare, l’accesso può esse visto da chiunque si trovi a passare di lì. Circa cento anni fa un mercante di cavalli che, un poco ubriaco, era fuori sul tardi, vide la caverna illuminata e vi entrò. Le luci, il silenzio e la vista degli uomini con l’armatura lo intimorirono non poco ed egli ridivenne sobrio. Le mani cominciarono a tremargli e una briglia gli cadde sul pavimento. Il suono del morso echeggiò per tutta la lunga caverna, e uno dei guerrieri che stava vicino a lui sollevò leggermente la testa e, con una voce fonda e roca, disse: - E già ora? - L’uomo ebbe la presenza di spirito di rispondere: - Non ancora, ma lo sarà presto, - e il pesante elmo ricadde sulla tavola. Il mercante di cavalli usci più in fretta che poté, e io non ho mai sentito di altri cui sia capitata una simile avventura.
L’ultima volta che Gearoidh Iarla è riapparso, gli zoccoli del cavallo erano sottili come una moneta da sei penny.

William Butler Yeats, L’incantesimo di Gearoidh Iarla; da "Fiabe irlandesi", pag.373-374 ed. Einaudi 1981, traduzioni di Maria Giovanna Andreolli e Melita Cataldi.

(il cardellino prigioniero è di Karel Fabritius, anno 1654)

sabato 16 settembre 2017

Erbabianca


Si conta e si racconta a lorsignori che c’era una volta e c’era un Re e una Regina. La Regina ogni figlio che faceva era una femmina. Il Re, che desiderava un maschio, s’arrabbiò e disse: - Se fai un’altra femmina, te l'ammazzo. La povera moglie, angustiata, finì per mettere al mondo proprio un’altra femmina, ma così bella come non se n'erano mai viste. Per timore che il marito gliel’ammazzasse, disse alla comare:
- Se la prenda vossignoria, questa creatura, e ne faccia quel che meglio crede.
La comare la prese e si disse: «Che posso fare io d’una bambina? » e andata in aperta campagna, la pose su un cespuglio d’erba bianca.
In quella campagna stava un eremita. Nella sua grotta l’eremita aveva una cerva che stava nutrendo i cerbiattini appena nati. Ogni giorno, la cerva usciva per cercarsi da mangiare. Quella sera, quando la cerva tornò nella grotta, i cerbiattini cercarono di succhiare il latte, ma le mammelle della cerva erano vuote e i cerbiattini restarono a bocca asciutta. Lo stesso si ripeté il giorno dopo, e il giorno dopo ancora: i cerbiattini stavano morendo di fame. L’eremita, che ne aveva compassione, si mise dietro alla cerva, e vide che il latte andava a darlo a una bambina che stava in un cespuglio d’erba bianca. L’eremita prese in braccio la bambina, e se la portò nella grotta. Disse alla cerva:
- Nutriscila qua,e dividi il tuo latte tra lei e i tuoi cerbiatti -.

giovedì 14 settembre 2017

Sì dolce è 'l tormento

particolare di un dipinto di Benozzo Gozzoli
Claudio Monteverdi  mette in musica un testo di Carlo Milanuzzi e dà vita a una composizione di grande suggestione , Si dolce è 'l tormento

Qui l'interpretazione di Anne Sofie Von Otter e qui la riscrittura di Paolo Fresu e Uri Caine


Sì dolce è 'l tormento
Ch'in seno mi sta,
Ch'io vivo contento
Per cruda beltà.
Nel ciel di bellezza
S'accreschi fierezza
Et manchi pietà:
Che sempre qual scoglio
All'onda d'orgoglio
Mia fede sarà.


La speme fallace
Rivolgam' il piè.
Diletto né pace
Non scendano a me.
E l'empia ch'adoro
Mi nieghi ristoro
Di buona mercé:
Tra doglia infinita,
Tra speme tradita
Vivrà la mia fè.

Per foco e per gelo
Riposo non hò.
Nel porto del Cielo
Riposo haverò.
Se colpo mortale
Con rigido strale
Il cor m'impiagò,
Cangiando mia sorte
Col dardo di morte
Il cor sanerò.

Se fiamma d'amore
Già mai non sentì
Quel riggido core
Ch'il cor mi rapì,
Se nega pietate
La cruda beltate
Che l'alma invaghì:
Ben fia che dolente,
Pentita e languente

Sospirimi un dì.

martedì 12 settembre 2017

Corvi

Dormii tutto il resto di quella notte, e dimenticai, ma quando mi svegliai era ancora tempo notturno.
Ceneri fredde avvolgevano, nel ghiaccio dei monti, la Sicilia, e il sole non si era levato, non si sarebbe più levato. Era notte senza la calma della notte, senza il sonno; per l'aria volavano corvi; dai tetti, dagli orti partiva ogni tanto uno sparo.
- Cos'è? - chiesi a mia madre.
- Mercoledì, - mia madre rispose.
Essa era tranquilla, di nuovo con la sua coperta sulle spalle, con gli scarponi da uomo ai piedi, ma d’umor chiuso, negata a parlare.
- Oggi riparto, - le dissi.
Mia madre si strinse nelle spalle; seduta con sul capo la cenere che avvolgeva la Sicilia.
- Ma che cos’è? - gridai.
Mi alzai e uscii sul pianerottolo, e mia madre lentamente mi seguì. Era come se mi sorvegliasse.
«Pam! » fece un fucile.
- A che tirano? - io chiesi.
Mia madre s`era fermata sulla porta e guardava in alto, dove volavano i corvi.
- A loro? - chiesi io.
- Sì, a loro, - mia madre rispose.
Di nuovo scoppiò una fucilata, e lacerò la cenere dell'aria, i corvi gracchiarono invulnerabili.
- Ridono, - io osservai.
- Non t’è passata la sbornia? - disse mia madre.
La guardai; essa era lì, ripeto, come se mi sorvegliasse.
- Avevo la sbornia? - chiesi.
- Non lo sai nemmeno? - disse mia madre. - Sei tornato preciso come tuo padre quando tornava con la sbornia. Nero. E sei andato a gettarti sul mio letto, mi hai fatto dormire sul sofà.
Scoppiò un’altra fucilata.
- Io non capisco che vi succede, - mia madre continuò. - Tuo nonno cantava e scherzava quando aveva bevuto.
Una quarta fucilata si alzò da un orto, una quinta seguì, ma i corvi volavano sempre invulnerabili per l’alta cenere del cielo, e non cambiavano mai traiettoria, e gracchiavano, ridevano.
- Perché questi corvi? - esclamai.
Ora mia madre era diventata attenta, guardava aspettando che qualcuno degli uccelli cadesse.
- Ma davvero tirano a loro? - io le chiesi.
Una sesta, una settima fucilata fallirono, e mia madre si stizzì.
- E' inutile. Non li pigliano, - disse.
Rientrò in casa e tornò di corsa con una doppietta, si mise a sparare anche lei.
«Pam! Pam!»
Ma nulla alterò l'irraggiungibile volo dei corvi.
- Ridono - io osservai.
«Pam! Pam! Pam!» mia madre rispose.
Allora si alzò una voce di grassa donna dal piede della scaletta e portò un annuncio a mia madre, le gridò, fra gli spari e i corvi: - Madre fortunata!

(Elio Vittorini, da Conversazione in Sicilia, pag.320-322 ed. Rizzoli 1999)
(disegno di Albert Weisgerber, inizi '900)

domenica 10 settembre 2017

Les adieux, l'absence, le retour



La stazioncina era deserta, a quell'ora. Uscii nel piccolo spazio che la fronteggiava. Era un giardinetto con due palme e due panchine, limitato da una siepe di pitosfori che mandavano un forte profumo. Oltre la siepe si intuiva il mare. Il terreno era cosparso di sabbia e di ciottoli di mare. Era proprio una stazioncina della Riviera come l'avevo sempre immaginata. Vidi passare un treno a tutta velocità. Era diretto in Francia, non c'era dubbio, e la Francia era oltre le luci del golfo. (...) 

Mi sedetti su una panchina di legno, proprio sotto una palma, e guardai in alto. C'era una luna all'ultimo quarto, ed era bianca come il latte. Cercai in un altro angolo del cielo, e vidi una stella che mi era cara. Allungai le gambe, appoggiai la testa allo schienale e rimasi a fissare il cielo.
La musica arrivò dal fondo della piccola discesa costeggiata dai pitosfori. La riconobbi, era una melodia di Beethoven intitolata Les adieux, l'absence, le retour ( qui ).

Vidi venire avanti uno strano individuo. Portava una marsina spiegazzata, un cilindro bianco, e imbracciava un violino. Era scalzo. Arrivò davanti a me e si tolse educatamente il cappello. Buonasera, disse, benvenuto in questa stazioncina della Riviera dove forse lei sognava di arrivare un giorno. Mi chiese il permesso e si sedette accanto a me.

Antonio Tabucchi, Per Isabel , ed. Feltrinelli
                                 Un mandala





venerdì 8 settembre 2017

Falco, mio falco


Voce del falcone: (con dolore)
Ma come posso non piangere?
Ma come posso non piangere?
La donna non getta ombra,
l'Imperatore deve diventare pietra!
(Hugo von Hofmannstahl, da "La donna senz'ombra" di Richard Strauss)




L'Imperatore va a caccia e ferisce una gazzella, che si rivelerà essere una donna giovane e bella: un inizio davvero da favola. Ma l'opera non inizia così, tutto questo è già successo e quando si apre il sipario noi siamo più avanti, molto più avanti, prossimi alla tragedia. Potrà acquistare forma umana la giovane donna, che nel frattempo ha sposato l'uomo che l'aveva ferita? Il falco dell'Imperatore, dato per perduto, ritorna con questo messaggio: se la donna non trova l'ombra, cioè se esce definitivamente dal mondo degli spiriti, l'Imperatore verrà punito e diventerà pietra. Qui comincia "La donna senz'ombra", e ciò che segue è la storia della ricerca della natura umana, cioè dell'ombra (e della maternità). Per fare questo, la donna dovrà uscire dal palazzo, scendere tra gli umani, mischiarsi a loro.
Ce ne è abbastanza per innamorarsi di quest'opera, anche perché la musica è molto bella. A me è andata bene, nel 1986 ho trovato sulla mia strada Wolfgang Sawallisch che, alla Scala di Milano, mi ha condotto per mano in uno dei testi più complessi mai scritti: « La donna senz'ombra ha fama di essere uno dei libretti più difficili che si conoscano, oltre che uno dei più belli; ed è una fama giustificata. (Roberto Calasso, dal programma di sala 1985-86) »


La donna senz'ombra (Die Frau ohne Schatten) è stata scritta fra il 1914 e il 1917, la prima rappresentazione è del 1917, in tempo di guerra. Forse questo è stato il vero difetto di Richard Strauss (grandissimo musicista): vivere in un mondo da favola mentre il mondo intorno a lui faceva tutt'altra scelta.
dalla Premessa di Hugo von Hofmannstahl:
Durante una battuta di caccia l'Imperatore delle isole del Sud Ovest ferisce al collo una gazzella bianca, che si trasforma in una giovane donna, bellissima: la figlia del Re degli Spiriti. La sposa, ma dopo il matrimonio la donna perde il magico potere di trasformarsi in animale. D'altra parte, non è ancora un vero essere umano: le manca l'ombra e non è madre. due manifestazioni che hanno lo stesso significato. Intanto, il Re degli Spiriti è in collera con la figlia e manda segretamente dei messaggeri, che vengono ricevuti dalla nutrice; i due sposi ignorano questi fatti e godono del loro amore. Stanno insieme durante la notte e si dividono durante il giorno; l'Imperatore va a caccia e l'Imperatrice resta sola con la nutrice. Una mattina, sopra il padiglione solitario del giardino dove l'Imperatrice vive lontana da ogni estraneo, volteggia un falco. E' il falco preferito dall'Imperatore, che si era perso da quella battuta di caccia e con cui aiuto era stata catturata la gazzella bianca. Il suo minaccioso e triste richiamo suona all'orecchio dell'Imperatrice come una voce umana: «Il tempo è presto scaduto e ancora la donna è senz'ombra, così l'Imperatore dovrà trasformarsi in pietra.» L'Imperatrice comprende bene il significato del messaggio: lei ha lasciato il mondo dei demoni ma l'amore che l'Imperatore nutre per lei è soltanto gelosia e lussuria, non può farla entrare nella sfera degli esseri umani. Lei resta fra due mondi: uno non la lascia andare, l'altro non l'accetta ancora. Però la maledizione non colpirà lei ma suo marito, colpevole d'egoismo. Lei capisce e si spaventa, ma nello stesso momento trova la forza e il coraggio di affrontare la minaccia: così vuole conquistarsi l'ombra a costo di qualsiasi sacrificio.
Qui comincia l'opera. Buon ascolto, non è facile ma ne vale la pena. PS: le immagini per forza di cose saranno sempre un po' goffe; nessuna messa in scena può valere la forza del vostro immaginario. Nel caso, chiudete gli occhi e ascoltate la musica. ( un clic qui )
Die Stimme des Falken:
(klagend)
Wie soll ich denn nicht weinen?
Wie soll ich denn nicht weinen?
Die Frau wirft keinen Schatten,
der Kaiser muss versteinen!

(dipinto di Andrew Wyeth, 1948)

mercoledì 6 settembre 2017

Il giardino segreto di Wim Mertens


Wim Mertens è un pianista e compositore fiammingo, autore anche di colonne sonore per il cinema ( ha scritto per Peter Greenaway ) e il teatro. Ho sentito per la prima volta qualcosa di suo molti, molti anni fa, non ricordo più in quale circostanza. Comprai anche un disco, Vergessen; lo ascoltai con sorpresa, stupore forse perché all’epoca ( anni Ottanta ) quel tipo di musica, vicina a quella minimalista, era ancora appannaggio di pochi e non aveva molta possibilità di diffusione. Mi piaceva la reiterazione dei motivi, con piccoli scarti, minime variazioni. Nella dimensione estatica penso si entri così, tutto sommato, accedendo al circolo creato da suoni che ritornano continuamente su se stessi. 




Interessante la risposta che Mertens dà a una domanda posta durante un’intervista; a proposito del modo adottato da alcuni per definire le sue composizioni, considerate “meditazioni”, “filosofia della musica” .
Mertens afferma:

"La musica va sempre più in là della filosofia perché lavora con mezzi impalpabili, mentre la filosofia usa le parole per descrivere cose che nella musica esistono già. Inoltre la musica ha delle regole ma, anche, vie di fuga che le permettono di abbattere gli steccati."  ( fonte )


La precisazione di Mertens mi ha fatto pensare a una illuminante considerazione di Elémire Zolla sull’insufficienza della parola e, dunque, indirettamente, sulla qualità più elevata di altre espressioni che di parole sono prive, come quelle musicali. Zolla osserva ( vado a memoria ) che la parola è un povero mezzo e che con chi di parola è privo, per esempio un animale, la comunicazione per l'uomo è molto più intima. Per entrare in una dimensione comunicativa con qualcosa o qualcuno diverso da noi bisogna "imitarne" il suono, il ritmo, l'essenza.



Lascio qui un link a Often a bird, uno dei brani di un album di Mertens, Jardin clos.






Il secondo video di cui riporto il link ( un clic qui ) ha come tema musicale sempre Often a bird ma il brano si lega a una serie di immagini che rimandano alla sequenza di Fibonacci e dunque alla sostanziale unità del tutto.





Nell'ultimo video ( un clic qui ) uno dei brani del primo disco che ascoltai di Mertens. Anche qui c'è qualcosa che cresce e poi si ritira; a me ricorda il movimento di un'onda o di un respiro.




lunedì 4 settembre 2017

Luccio


IL LUCCIO
Immobile, all'ombra d'un salice, è il pugnale nascosto nella cintura del vecchio bandito.

(Jules Renard, Storie naturali, pag.64 ed. Fabbri 2001, traduzione di Aldo Gabrielli)


(Giappone, periodo Edo)

sabato 2 settembre 2017

walk to the Paradise garden



A Village Romeo and Juliet è il titolo di un dramma lirico del compositore inglese Frederick Delius. L’opera, sulla falsariga del celebre dramma di Shakespeare, narra la storia di due innamorati, Sali e Vreli, e contiene un intermezzo sinfonico ( qui ), il cui titolo,  Walk to the Paradise Garden, viene adottato da William Eugene Smith per un suo celebre scatto, quello che riprende i suoi figli, Pat e Juanita,  che si avviano verso una radura.



William Eugene Smith rcconta così la foto:

"While I followed my children into the undergrowth and the group of taller trees – how they were delighted at every little discovery! – and observed them, I suddenly realized that at this moment, in spite of everything, in spite of all the wars and all I had gone through that day, I wanted to sing a sonnet to life and to the courage to go on living it….
Pat saw something in the clearing, he grasped Juanita by the hand and they hurried forward. I dropped a little farther behind the engrossed children, then stopped. Painfully I struggled — almost into panic — with the mechanical iniquities of the camera….
I tried to, and ignore the sudden violence of pain that real effort shot again and again through my hand, up my hand, and into my spine … swallowing, sucking, gagging, trying to pull the ugly tasting serum inside, into my mouth and throat, and away from dripping down on the camera….
I knew the photograph, though not perfect, and however unimportant to the world, had been held…. I was aware that mentally, spiritually, even physically, I had taken a first good stride away from those past two wasted and stifled years."



 ( qui qualcosa su W.E. Smith )