domenica 30 settembre 2018

L'ape che fuma pepe


L'ape che fuma pepe
lo stipa nella pipa.
(Toti Scialoja, Versi del senso perso)

Una volta, quando ancora andavo a scuola, ho fatto leggere un nonsense a un compagno di classe, uno di quelli di cui mi fidavo. Avevo da poco scoperto i limericks e mi piacevano molto, così glielo avevo fatto leggere.
- Ma che cosa significa?
- Niente, è un nonsense, cosa vuoi che significhi? Lo dice la parola stessa, "non-sense", un nonsenso.
Ho ripetuto l'esperimento una sola volta, in seguito, molti anni dopo: sempre con lo stesso risultato e la stessa domanda.
- Sì, ma cosa significa?
- Non significa niente, è un nonsense...
Una volta, con una mia carissima amica con cui andavo molto d'accordo (avrei voluto sposarla, per dire le cose come stanno) mi capitò di citare un gioco di parole di Marcello Marchesi, questo: «Anche un cretino può scrivere un saggio, viceversa non è possibile.» Se la prese molto, disse che le avevo dato della cretina, lei aveva scritto un saggio ma io non lo sapevo, né avrei mai accostato il suo nome a quella parola; mi tenne il broncio per un'oretta, poi le cose si aggiustarono ma insomma.
Da allora, evito accuratamente di parlare di limericks e di nonsense con chiunque.



Vango le virgole, rivolto i punti,
col punto e virgola faccio una zappa;
coltivo apostrofi, levo maiuscole,
poi le ripianto ma solo le A;
con le minuscole raccolgo cavoli,
con i tre punti mi fermo qua;
e poi riparto, son uomo colto,
qui vango e semino, farò raccolto.
Ma le parole, si sa, nascon da sole
e vanno e vengono come Dio vuole
come le erbacce lambite dal sole
belle e robuste e ben rigogliose:
ne vengon tante, qui, quando piove.
Costano poco versi e parole
in questa vigna baciata dal sole.
(e, intanto, scappa via una lucertola...)









(le tre immagini, trovate in rete, sono purtroppo senza indicazioni; la fotografia ha una data, è degli anni '20)




venerdì 28 settembre 2018

Si è seduto il vento


...ed ora si è seduto il vento
il tuo sguardo è rimasto appeso al cielo
sugli occhi c'è il sole
nel petto ti resta un pugnale.
Tu no, non scaglierai mai più
la tua lancia per ferire l'orizzonte
per spingerti al di là
per scoprire ciò che solo Iddio sa.
Di te resterà soltanto
il dolore e il pianto che tu hai regalato
... ma il sangue che hai versato
su te è ricaduto -
la tua guerra è finita, vecchio soldato.
(Testo di Vittorio Nocenzi e Francesco Di Giacomo, dal primo 33 giri del "Banco del Mutuo Soccorso", anno 1972)  Per ascoltare, qui



- Ha un testo molto triste, - mi dice Maura, - ma è una bella canzone.
Sono d'accordo, e anzi dire che è triste forse è ancora poco: qui ho omesso la parte iniziale, si tratta della descrizione di un'antica battaglia, con tutto quello che di solito si tace. Ma la guerra è proprio questa cosa qui, e a me fa impressione vedere e ascoltare sempre più persone che non se ne rendono conto. Siamo in pace da quasi 75 anni, in questa parte d'Europa: non era mai successo. A molte persone, anche nei governi europei, sembra una cosa da poco, e io mi chiedo che cosa hanno nella testa, loro e quelli che li mandano al potere. Però, per ora, si è seduto il vento e anche noi possiamo contemplare ciò che rimane di una battaglia del passato: sperando che si possa continuare a coniugare al passato tutto questo scempio. Non è detto che debba andare così, ma ci sono brutti segnali.





(disegno di Sergio Toppi, da Alterlinus)
 

mercoledì 26 settembre 2018

Due scoiattoli


I sei morti erano stesi a terra, uno a fianco all'altro. Noi li contemplavamo, pensierosi. Presto o tardi, sarebbe venuto, anche per noi, il nostro turno. Ma il capitano Canevacci era troppo contento. Si era fermato accanto al cadavere del caporale e gli diceva:
- Eh, mio caro, se avessi imparato a comandare la pattuglia, non saresti qui. In servizio di pattuglia, il comandante deve, innanzi tutto, vedere...
Lo interruppe il capitano della 9°. Con un dito sulla bocca e un filo di voce, lo invitava a tacere. Di fronte a noi, nella stessa direzione in cui era caduta la pattuglia, ma più vicino, ci veniva un rumore, come un bisbiglio di persone che bisticcino. Il capitano guardava di fronte. I tiratori scelti puntavano i fucili. Anche il comandante di battaglione ed io ci portammo silenziosamente sulla linea e guardammo.
Il rumore proveniva dal tronco di un grosso abete che i raggi del sole, fra le cime degli altri abeti, illuminavano a tratti. Con salti, due scoiattoli apparvero sul tronco, a qualche metro da terra. Veloci, si rincorrevano, si nascondevano, si rincorrevano ancora e si rinascondevano. Piccoli strilli, come risa mal contenute, salutavano il loro incontro ogni volta che, dalle opposte parti del tronco, si slanciavano a balzi, l'uno verso l'altro. E ogni volta che si fermavano, in un disco di sole riflesso sul tronco, si drizzavan, sulle zampe posteriori e, con le altre zampe, a guisa di mani, sembravano farsi complimenti, carezze e feste. Il sole rischiarava il ventre bianco e i ciuffi delle code, ritti in alto, come due spazzole.
Uno dei tiratori scelti guardò il capitano della 9° e mormorò:
- Tiriamo?
- Sei pazzo?- rispose il capitano sorpreso - Sono tanto carini.
Il capitano Canevacci si avvicinò ai morti allineati.
- Il comandante di pattuglia deve vedere e non essere visto... - disse, riprendendo il sermone al caporale bosniaco.

Emilio Lussu, Un anno sull'altipiano, ed. Einaudi







lunedì 24 settembre 2018

Carpe


I pesci rossi, in fin dei conti, non sono altro che delle carpe.

La carpe
Dans vos viviers, dans vos etangs,
carpes, que vous vivez longtemps!
Est-ce que la mort vous oublie,
poissons de la mélancolie.

La carpa
Nei vostri vivai, nei vostri stagni,
Carpe, come vivete a lungo!
La morte forse vi dimentica,
Pesci della malinconia.

Francis Poulenc, da "Le bestiaire" (versi di Guillaume Apollinaire) Traduzioni di Mario Pasi, da un programma della Scala anni '80  

Per ascoltare, qui

 
(Ohara Shoson, 1939)

sabato 22 settembre 2018

L'arcobaleno


Da casa mia (c'è ancora un po' di bosco, e c'è il torrente che scorre un po' sotto) l'arcobaleno si vede spesso, d'estate dopo il temporale. Ma la bambina è troppo piccola e non lo sa ancora, e quando le diciamo "guarda, c'è l'arcobaleno" lei risponde come fanno spesso i bambini: "Lo so, l'ho già visto". Però, per fortuna, l'arcobaleno non dura un attimo ma resiste per parecchi minuti; così la bambina ha il tempo di voltarsi, di guardare, e di rimanere a bocca aperta, senza parole. Alla fine lo ammetterà: l'arcobaleno è davvero qualcosa di speciale. E' davvero un peccato che di questi momenti si perda memoria, crescendo.




giovedì 20 settembre 2018

Pietre ( II )


Siccome a me piaceva fare teatro nella mia vita quotidiana, nel mio piccolo e secondo le mie limitatissime potenzialità (la mancanza di talento mi impedisce di fare di più, per fortuna direi), un giorno sul posto di lavoro mi metto con la faccia rivolta verso il muro e comincio a fare l'elenco delle cose che non vanno (tante, perfino in modo ridicolo). Il mio giovane collega mi guarda un po' così, forse si preoccupa e allora gli spiego: «Parlo al muro perché il muro non risponde, e in questo è identico ai nostri capi, ma quantomeno il muro non risponde stupidaggini, e in questo è senza dubbio migliore.»


A quel tempo conoscevo già il Tito Andronico, ma forse me ne ero dimenticato:


Lucio: O nobile padre, ti lamenti invano: i tribuni non ti sentono, e tu racconti i tuoi dolori ad una pietra. (...) Mio amato signore, nessun tribuno è qui a sentirti parlare.
Tito: Non importa, ragazzo: se mi sentissero non mi presterebbero attenzione, e se lo facessero non avrebbero pietà di me; e tuttavia devo implorarli, anche se inutilmente. Perciò racconto i miei dolori alle pietre, che se non possono rispondere alla mia pena pure sono in qualche modo meglio dei tribuni, perché non interrompono la mia storia. Quando piango, ai miei piedi esse ricevono le mie lacrime umilmente e sembrano piangere con me; se solo fossero abbigliate di vesti austere, Roma non disporrebbe di tribuni a loro pari. Una pietra è tenera come cera, i tribuni sono più duri delle pietre; una pietra è silenziosa e non offende, i tribuni con le loro lingue mandano uomini a morte.
(William Shakespeare, Tito Andronico, atto 3 scena I, traduzione Alessandro Serpieri, ed.Garzanti 1989)

martedì 18 settembre 2018

Pietre ( I )


Alla fine arrivò alle pietre. 
« Adesso - disse - troverò la mia anima nel mucchio e la ridurrò in mille pezzi con questo martello ». Uscendo aveva preso il martello nella carbonaia.
Poi si mise alla ricerca della propria anima. Ora, si può anche riconoscere l’anima di un altro essere umano, ma non è possibile farlo con la propria. Richard non riusciva a trovarla. Ma per caso s’imbatté in quella di Rachel e la riconobbe (una sottile pietra verde con bagliori di quarzo) perché in quel frangente lei si era staccata da lui. Contro di essa poggiava un’altra pietra, una brutta selce deforme di un marrone screziato. Imprecò: « Distruggerò questa. Dev’esserel’anima di Charles ».
Baciò l’anima di Rachel: era come baciare le sue labbra. Poi prese l’anima di Charles e soppesò il martello: « La sbriciolerò in cinquanta frammenti! ». Si fermò. Aveva degli scrupoli. Sapeva che Rachel amava Charles più di lui ed era costretto a rispettare il patto.

domenica 16 settembre 2018

Il suono dei ricordi


Fa fresco. Io son di sentinella e sbarro gli occhi nel­l'oscurità. Mi sento fiacco, come sempre dopo un'azio­ne, e perciò mi riesce duro restare solo coi miei pen­sieri. In realtà, pensieri non sono, ma piuttosto ricordi, che m'assalgono nella mia debolezza e mi muovono l'anima in guisa strana.
I razzi brillano alti, ed io vedo una chiara notte d'estate: mi trovo nel chiostro del Duomo e guardo i
cespi di rose fiorenti in mezzo al piccolo cimitero, ove sono sepolti i vecchi canonici. Intorno sorgono i grup­pi di pietra delle stazioni del Rosario. Non c'è anima viva; un gran silenzio cinge il rettangolo fiorito, il sole riscalda le grosse pietre grigie, sicché la mia mano po­sandovisi, ne carezza il calore. Sopra il tetto d'ardesia la verde torre della cattedrale si slancia nel pallido e molle azzurro della sera. Tra le colonnette del chio­stro ancora illuminate, si indovina la fresca oscurità che soltanto le chiese sanno dare, e io me ne sto li im­mobile, e penso che a vent'anni saprò le cose mirabili e inquietanti che vengono dalle donne.
Il quadro è così stranamente vicino che mi par di toccarlo, prima che il lampo del prossimo razzo lo fac­cia sparire. 
Stringo il mio fucile e ne rettifico la posizione. La canna è umida; la serro nella mano e ne asciugo 1'umi­dità con le dita.

venerdì 14 settembre 2018

Tigri


Gli esperti dicono che molti dei pittori che disegnarono queste tigri, in realtà, non avevano mai visto una tigre ma soltanto pelli e animali impagliati. Il risultato è comunque qualcosa che colpisce.

Gan-Ku, fine '800

mercoledì 12 settembre 2018

Un faro nel bosco



foto da wikipedia



L'autore del brano ( qui ) è Patrick Watson, nato in California ma canadese d'adozione. Ha cominciato a lavorare come analista dell'acqua per poi dedicarsi alla musica.
Forse dell'acqua il sound delle sue canzoni conserva qualcosa.


lunedì 10 settembre 2018

Furibondo spira il vento


Non servono poi tante parole, per fare musica.

Furibondo spira il vento
e sconvolge il cielo e il suol
Tal adesso lʹalma io sento
Agitata dal mio duol

G. F. Handel (1685-1759) dall'opera "Partenope", HWV 27
versi di Silvio Stampiglia

qui nell'esecuzione di Marilyn Horne con I Solisti Veneti diretti da Claudio Scimone
qui nell'esecuzione di Nathalie Stutzmann


(dipinto di Carl Larsson, 1895)


sabato 8 settembre 2018

Uragano

Da "Tifone" di J. Conrad
Traduzione di Alda Politzer
ed. Mondadori



...una improvvisa recrudescenza d'oscurità piombò sulla notte, scendendo davanti ai loro occhi come qualche cosa che si potesse toccare. Era come se tutte le luci del mondo, già velate, si fossero spente.
(...) 
Il lieve balenio d'un lampo guizzò tutt'attorno come se si scaricasse in una caverna...in una nera, segreta camera del mare, con un pavimento di creste spumeggianti.
Sinistro e tremolante, svelò per un attimo una massa di nuvole basse, a brandelli, l'oscillare veemente della lunga sagoma della nave, le forme nere degli uomini bloccati sul ponte di comando, con le teste sporte in avanti, come pietrificati nell'atto di dare cornate. Su tutto questo discese palpitante 
l'oscurità, e allora, finalmente, giunse la cosa vera.

giovedì 6 settembre 2018

Mostro d'amore

"Monstre affreux, monstre abominable", dice il troiano Antenore al mostro marino che sta per affrontare (e che verrà poi sconfitto da Dardano); e fin qui non c'è niente di strano, sono più o meno le stesse parole che ognuno di noi dice normalmente ad un mostro marino quando lo incontriamo nella nostra vita quotidiana. Più strani i versi successivi: "ah, l'amour est encore plus terrible que vous." Si può notare che Antenore dà del voi al mostro (segno di rispetto: un mostro marino va trattato con le dovute maniere), ma soprattutto ci sta dicendo che l'amore è ancora più terribile del mostro, e questo può sembrare bizzarro, ma poi, se ci si ripensa, mica poi tanto. L'amore paragonato all'incontro con un mostro marino, insomma; e ogni tanto mi viene da pensare che è vero, soprattutto se si è molto giovani (ma non solo) e non si sa ancora quale sarà la risposta dell'amato o dell'amata.




martedì 4 settembre 2018

Lay, Lady, Lay


Lay Lady Lay mi piace e non  perché tenda a identificarmi nella lady a cui viene chiesto di lasciarsi andare da un Bob Dylan che, con una voce dal timbro caldo, quasi tenorile, promette alla donna di far brillare i colori che ha nella mente, proprio tutti, a partire probabilmente dall’ottone lucente del letto  su cui la Lady dovrebbe stendersi e rimanere while the night is still ahead.


In realtà ho acquisito nozione  del significato del testo solo pochi giorni fa; come mi succede spesso,
faccio passare in secondo piano il contenuto dinanzi a una musica che trovo attraente, che mi incanta e quella di Lay, Lady, Lay ha questi requisiti.
Il brano è del 1969 e avrebbe dovuto essere il leitmotiv della colonna sonora di Un uomo da marciapiede. Forse per un ritardo nella consegna nel pezzo, John Schlesinger, il regista del film, si orientò per Everybody’s talking di Harry Nilsson, un’altra meravigliosa canzone che ha in comune con il brano di Dylan il potere di generare un sentimento indefinito e, proprio per questo,  piacevolissimo da provare.



Un clic qui per ascoltare il brano



domenica 2 settembre 2018

I gatti di Milano

Ci sono meno gatti. Spaventati dalle strade di notte non si avventurano, vestiti di nero, ad attraversare la strada per terrorizzare macchine solitarie. Tre certosini che abitano nel ridotto del Tumbùn-de-San-Marc temono gli agguati e l'accalappiagatti ben sapendo che la loro razza, prediletta da fotomodelle e pubblicitari, è ormai rara.
I milanesi come in ogni Milano del mondo si dividono in chi ama i gatti e in chi non li può soffrire.
Io sono neutrale come l’ispettore Derrick, senza indulgere a «micino, micio, micino» e senza spaventarmi per due sgraffi su una tempia. Non condivido il vecchio detto lombardo «guardàss dai gatt saràa dent in d'ona stanza» perché anche il gatto rimasto chiuso in casa, in un castello o dietro un balcone di gerani non vede l’ora di rifare amore e amicizie, di avere qualcuno con cui parlare. A chi dice «miao, mau» se non all’uomo? Ai suoi simili canta e civetta di gioia o dolore ma il «miao» lo serba per la casa e la famiglia in cui vive.


Ho uno zio di Rozzano che ha due gatti: una soriana riscattata da una sezione socialista dell’Arco della Pace e Cipria, figlia di frontalieri sardi imparentati con Veronica Lake. La gatta socialista è una pentita di gran lusso, incerta se scegliere bocconcini « tris-menu» o pasti bilanciati e arricchiti già pronti per « il consumo a temperatura ambiente». Cipria è una lince bianco-nera-arancio che agguanta le spalle a tradimento ma non smentisce il detto «vèss lèst come un gatt de marmo» per la sua rotonda pigrizia, l’indolente predilezione per divani, angoli teneri e sculture d’autore che lo zio tiene in giardino, simili ai preziosi graniti informali delle piazze milanesi. Rozzano è la pista per Pavia, città dai gatti cauti, incerti se salutare o tirare diritto, se acquistare fegatini alla Esselunga o cuccarli a un cane schizzinoso. Ma i due gatti di mio zio hanno imparato dal Cherubini che «insegnà ai gatt a röbà el lard» è un modo di dire superato dal neoriflusso. Oggi i gatti si allacciano il tovagliolo intorno al collo e battendo le posate sul tavolino dicono soffiando: « E' già l’una e mezza!». Poi ben grassi e nutriti corrono a prendere a pugni moschini e farfalle. Il loro grande amico è il piccione ma ogni volta che lo invitano a giocare lui storce la testa e trova una scusa. Perdere un piccione non è grave ma perdere un gattino sì. Se vi capita fate un annuncio sul giornale, la città è piena di amorevoli signore che vi daranno un consiglio. Chiamatelo quando è notte fonda, dicono, e i rumori spenti. Sentirete allora il miagolio lontano del micio sperduto e riuscirete a salvarlo. C'è anche la possibilità che il gatto scomparso sia al bar.

Giovanni Gandini, "Neutrale sui gatti" da "Caffè Milano", Edizioni Scheiwiller / All'insegna del pesce d'oro, 1987 ; pag. 25-26
(Giovanni Gandini, libraio milanese, è stato l'ideatore ed editore del mensile "Linus")

(il disegno è di Louis Wain; la cartolina postale qui è sopra è una Rotograph del 1915)