mercoledì 30 maggio 2018

Lo stagno

dipinto di Robert Bateman
Mi chinai a raccogliere una primula. Niente da fare, troppa pancia. Mi accoccolai e ne feci un mazzetto. Per fortuna no c'era nessuno a vedermi. Le foglie erano come arricciate, a forma di orecchio di coniglio. Mi alzai e posi il mazzolino di primule sul cancello. Poi, d'impulso, mi sfilai la dentiera e le diedi un'occhiata. Se avessi avuto uno specchio mi sarei guardato da capo a piedi, sebbene sappia perfettamente che figura faccio. Un quarantacinquenne grasso in abito grigio a spina di pesce un po' liso e bombetta in testa. Sulla fronte porto scritto: " Moglie, due figli, casa nei sobborghi". Faccia rossa e occhi di un celeste acquoso. Lo so, non avete bisogno di dirmelo. Ma la cosa che mi colpì mentre davo un'occhiata alla protesi prima d'infilarmela in bocca di nuovo, fu che non me ne importava nulla. Neppure i denti finti importano. Sono grasso, sì. Sembro il fratello mal riuscito di un contabile, sì. Nessuna donna verrà più a letto con me, se non la pago, lo so. Ma vi dico che non me ne importa. Non voglio donne, non voglio nemmeno tornar giovane. Soltanto essere vivo. Ed ero vivo nel momento in cui guardavo le primule e la brace rossa sotto la siepe. E' una sensazione interna, una sensazione pacifica, che tuttavia mi brucia come una fiamma. 
Giù, oltre la siepe, lo stagno era coperto di lenti palustri, tanto simili a un tappeto che a non conoscerle si sarebbe potuto pensare che fossero terra ferma e camminarci sopra. Mi chiedevo perchè mai siamo tutti così sciocchi. Perchè, invece delle stupidaggini in cui buttiamo il nostro tempo, non andiamo a passeggio " guardando" le cose? Quello stagno, per esempio: tutto ciò che contiene, tritoni, bisce, coleotteri, friganee, mignatte, e Dio sa quanti altri esseri che si riescono a vedere soltanto al microscopio. Il miracolo della loro vita, laggiù sott'acqua. Tutta un'esistenza si potrebbe passare ad osservarle, dieci esistenze; e non si verrebbe a capo neppure di quell'unica pozza d'acqua. E, per tutto il tempo, quella specie di senso di miracolo, quella strana fiamma dentro di noi. E la sola cosa che valga la pena di possedere e noi non la vogliamo. Ma io la voglio. Almeno così pensavo in quel momento.


George Orwell, Una boccata d'aria, ed. Mondadori
Traduzione di Bruno Maffi

domenica 27 maggio 2018

Scegliete una femmina!


E per finire vi darò ancora un buon consiglio che deriva dal mio gusto personale e che quindi potete accettare o rifiutare a vostro piacere; se appena è possibile, scegliete una femmina! Naturalmente due volte all’anno, quando è in calore, essa vi procura un mucchio di seccature, e, se per combinazione non si ha in casa un maschio della stessa razza, quasi immancabilmente prima o poi ci si troverà fra i piedi una cucciolata di bastardi per cui è difficile trovare una sistemazione, se non li si vogliono sopprimere. Però tutti i conoscitori concorderanno sul fatto che chiunque ama il cane per le sue qualità d’animo debba preferire la femmina al maschio. In certi periodi in casa nostra ad Altenberg c'erano quattro cagne: la mia pastore tedesco Tito, la piccola chow di mia moglie, la bassotta Kathi di mio fratello e una bulldog, appartenente a mia cognata. Solo mio padre possedeva un maschio, che aveva un bel da fare a tener lontano dal nostro giardino i corteggiatori non graditi. Una volta due delle cagne, la chow Pygi I e la bassotta, erano in amore, ma poiché non c’era da temere che si lasciassero coprire da un partner indesiderabile (Pygi era assolutamente fedele al nostro maschio Bubi, e per la minuscola bassotta non esisteva un compagno possibile in tutto il circondario), permettemmo che ci accompagnassero in una passeggiata lungo il Danubio. Io ero, sì, abituato ad essere seguito anche da cani non nostri, ma quando fui fuori del paese rimasi colpito dalle dimensioni della muta che ci veniva dietro: contando i cani vidi che, oltre ai nostri cinque, c’erano sedici altri maschi, e quindi eravamo scortati dalla bellezza di ventuno animali!
Ciononostante credo che il mio consiglio sia giusto: una femmina è molto più fedele di un maschio, i moti del suo animo sono molto più complessi, ricchi e sottili, e nella maggior parte dei casi, a parità di condizioni, essa è anche più intelligente. Io, che mi lusingo di conoscere bene molti animali, sono profondamente convinto che fra tutte le creature non umane quella che maggiormente si avvicina all’uomo per il comportamento sociale, per la finezza dei sentimenti e per la capacità di una vera amicizia, cioè l’animale più nobile dal punto di vista umano, sia una buona cagna; ed è ben strano che in inglese questo nome sia divenuto uno degli epiteti più insultanti!


Konrad Lorenz, Consigli per la scelta di un cane, da "L'anello di re Salomone" (traduzione di Laura Schwarz, ed. Adelphi)

(la foto è di Henri Cartier Bresson, 1953)




(William Merritt Chase, 1898)



venerdì 25 maggio 2018

Le ali dei gabbiani

acquarello di Betty Moore


La sua compagnia doveva piacere a Macario. La cercava di spesso; qualche sera gli usò anche la gentilezza di andarlo a prendere all’ufficio.

Ad Alfonso non sfuggì la causa di quest’affetto improvviso. Lo doveva alla sua docilità e, pensò, anche alla sua piccolezza. Era tanto piccolo e insignificante, che accanto a lui Macario si trovava bene. Non si compiacque meno di tale amicizia. Le cortesie, anche se comperate a caro prezzo, piacciono. Non disistimava Macario. Per certe qualità ammirava quel giovine tanto elegante, artista inconscio, intelligente anche quando parlava di cose che non sapeva.

Macario possedeva un piccolo cutter e frequentemente invitò Alfonso a gite mattutine nel golfo. Nella sua vita triste, quelle gite furono per Alfonso vere feste. In barca gli era anche più facile di dare il suo assenso alle asserzioni di Macario e in gran parte non le udiva. Si trovava ancora sempre alla conquista della solida salute che gli occorreva, riteneva, per sopportare la dura vita di lavoro a cui faceva proponimento di sottoporsi, e gli effluvi marini dovevano aiutarlo a trovarla.

martedì 22 maggio 2018

Inventare un animale


(...) I Centauri sono creature affascinanti, portatrici di simboli multipli ed arcaici, ma della loro fisica impossibilita si era già accorto Lucrezio, ed aveva cercato di dimostrarla con un argomento curioso: a tre anni di età il cavallo è nel pieno delle sue forze mentre l’uomo è bambino, e «spesso cercherà in sogno il capezzolo» da cui è appena stato slattato; come potrebbero convivere due nature che non "fluorescente pariter", e che del resto non ardono degli stessi amori? In tempi più recenti, e in un bel romanzo fantascientifico, P. J. Farmer ha messo in rilievo le difficoltà respiratorie dei Centauri classici, e le ha risolte fornendo loro un organo supplementare "simile a un mantice, che inspirava aria attraverso un’apertura simile a una gola"; altri hanno insistito sul problema dell'alimentazione, facendo notare che una piccola bocca umana sarebbe stata insufficiente a permettere il passaggio del molto foraggio necessario per nutrire la parte equina.
Si direbbe insomma che la fantasia umana, anche quando non si trova davanti a problemi di verosimiglianza e di stabilità biologica, esiti ad intraprendere vie nuove e preferisca ricombinare elementi costruttivi già noti. Se si riesamina il bellissimo "Manuale di zoologia fantastica" di Borges, si stenta a trovarvi un solo animale veramente originale come disegno: non ce n'è uno che si avvicini neppure vagamente alle incredibili soluzioni innovative che si trovano ad esempio in certi parassiti, quali la zecca, la pulce, l'echinococco (...)

Primo Levi, da "L'altrui mestiere" pag.90, Inventare un animale



(Antoine Verard, 1494)


sabato 19 maggio 2018

I temporali di Rossini



Qui da me, in Lombardia, di questi tempi ogni sera c'è un temporale; e c'è anche da averne paura ma per oggi preferiscono parlare di musica, i temporali in musica sono tanti e si può cominciare da Gioacchino Rossini.


Dei temporali di Rossini, il più famoso è nell'ouverture dal "Guglielmo Tell": direi che lo conoscono tutti, anche senza sapere che è di Rossini. (qui) minuto 2:48 Toscanini,


Ma con i temporali Rossini si è divertito molto anche prima del "Guglielmo Tell": ne troviamo uno in "La pietra del paragone" (qui) , poi nel "Barbiere di Siviglia" (qui), e nella "Cenerentola" (qui) .


Sono molto famosi anche i temporali di Vivaldi (dalle Quattro Stagioni) e di Beethoven (dalla Sinfonia n.6), ma la stagione è solo all'inizio e ci sarà tempo di parlarne ancora.


(Giorgione, dettaglio da "La tempesta")

giovedì 17 maggio 2018

Opossum



(opossum, illustrazione del 1826)

Tra gli animali che abitano in quella zona ci sono cervi di diversi tipi, conigli, leoni, orsi e tanti altri animali selvatici; tra questi ne scorgemmo uno che porta i propri figli in una specie di borsa nella pancia, e lì li custodisce fintanto che sono piccoli, ossia finché non sanno procurarsi da soli il cibo. Se per caso si allontanano alla ricerca di cibo, la madre, anche se compare un uomo, non fugge se prima non li ha messi al sicuro in quella sua borsa.

(da "Naufragi" di Alvar Nunez Cabeza de Vaca, pag.23 edizione Einaudi 1989)

martedì 15 maggio 2018

rose cinesi e frutti di agazzino


L'orario del treno li strappò inesorabilmente dalla bella, amata Helstone,  la mattina dopo. Se n'erano
andati. Avevano scorto la parte finale della canonica lunga e bassa, ricoperta per metà da rose cinesi e da frutti di agazzino – sembrava più familiare che mai, col sole mattutino che luccicava sulle finestre, ciascuna appartenente a una benamata stanza. Ancor prima di essersi sistemati sulla carrozza mandata da Southampton per portarli in stazione, se n'erano andati per non fare più ritorno. Una fitta al cuore spinse Margaret a sforzarsi di guardare fuori per afferrare l'ultimo scorcio della vecchia torre della chiesa, dalla curva dove sapeva di poterla vedere al di sopra del mare di alberi della foresta; ma anche il padre se ne ricordò, e in silenzio riconobbe che lui aveva più diritto di lei a quell'unico finestrino dal quale si riusciva a vedere. Si appoggiò all'indietro e chiuse gli occhi, le lacrime sgorgarono, dopo essere rimaste qualche istante a brillare sulle ciglia che facevano ombra, prima di rotolare lentamente giù per le guance e cadere, inosservate, sul suo vestito. 


Elisabeth Gaskell, Nord e Sud,   ed. Jo March ( qui )
Traduzione di Laura Pecoraro

domenica 13 maggio 2018

Gatto falso, cane bugiardo


Una delle tante idiozie assurte a dignità proverbiale, e contro le quali la scienza vanamente si batte, è l’opinione che i gatti siano falsi. E' escluso che il gatto si sia procacciato questa fama per il modo circospetto con cui si accosta alla preda, perché anche le tigri e i leoni usano la stessa identica tattica. D’altra parte al gatto non si rimprovera di essere sanguinario, benché, al pari di quegli altri animali feroci, anch'esso uccida la preda mordendola. Non conosco alcun comportamento specifico del gatto per cui lo si potrebbe definite “falso”, magari a torto, ma con una qualche plausibilità. Sulla faccia di pochi animali il conoscitore può in ogni momento leggere così chiaramente lo stato d’animo come del gatto: si capisce sempre ciò che gli passa per la testa, e sempre si può sapere quel che ci si deve attendere da lui il prossimo istante.
Come è inconfondibile la sua espressione di fiduciosa cordialità, quando volge all'osservatore il suo musetto liscio con le orecchie dritte e gli occhi bene aperti, come si traduce immediatamente nella mimica dei muscoli del muso ogni ondata di eccitazione, ogni moto di paura o di ostilità! Nel gatto che ha mantenuto i colori della forma selvatica la striatura del muso rende ancor più evidenti i lievi movimenti della pelle, aumentando cosi l'intensità espressiva della mimica, ed è questa una delle ragioni per cui io preferisco a tutti gli altri il gatto tigrato, che ha ancora i colori della forma selvatica: basta un minimo cenno di diffidenza, ancora ben lontano dalla paura, e i suoi occhioni innocenti si fanno un po’ lunghi e obliqui, le orecchie abbandonano la loro posizione eretta e “affettuosa”, e non occorrerebbero neppure le sottili variazioni della postura e le oscillazioni della punta della coda per avvertirci del suo cambiamento di umore. E come sono espressivi i gesti di minaccia del gatto, come si differenziano radicalmente secondo l'oggetto cui essi si rivolgono, secondo che si tratti di un uomo amico che si e preso un po’ troppa confidenza, o di un vero, temuto nemico. Ma sono anche molto diversi se si tratta di una minaccia puramente difensiva, oppure se il gatto, sentendosi superiore all’avversario, gli annuncia la sua intenzione di aggredirlo. E non manca mai di farlo: a parte gli esemplari psicopatici, infidi e folli, che tra i gatti di razza molto selezionata non sono più frequenti che tra i cani di pari condizioni, il gatto non graffia e non morde mai senza prima aver messo seriamente e chiaramente in guardia l'offensore, e anzi di solito, subito prima dell’attacco, si assiste a un improvviso aggravamento dei gesti di minaccia, che già erano andati facendosi sempre più decisi. E' come se il gatto volesse in questo modo notificare un ultimatum: «Se non la smetti immediatamente, sarò costretto mio malgrado a passare alle rappresaglie! » .
Di fronte alle minacce di un cane, o in genere di un grosso animale da preda, il gatto notoriamente risponde inarcando la schiena: la gobba, assieme al pelo arruffato del dorso e della coda (che viene tenuta un po’ obliqua), lo fanno apparire al nemico più grosso di quanto non sia in realtà, tanto più che esso offre un poco il fianco all’avversario, in un atteggiamento che è simile a quello di “imposizione” di alcuni pesci. Le orecchie sono appiattite, gli angoli della bocca tirati indietro, il naso arricciato. Dal petto della bestia sale un lieve brontolio metallico che suona terribilmente minaccioso, e che di tanto in tanto, mentre si fanno più profonde le increspature del naso, si trasforma in quel caratteristico “soffiare”, fatto di sbuffi emessi a fauci spalancate e con i canini bene in evidenza. (...)
Konrad Lorenz, Gatto falso, cane bugiardo , da "L'anello di re Salomone" (traduzione di Laura Schwarz, ed. Adelphi)


(le tre immagini erano in rete, purtroppo senza indicazioni;
quella con la macchina per scrivere è datata 1910)

venerdì 11 maggio 2018

Una musica in sogno




"...Un ritmico girovagare di congas che scivola dentro il frangersi dell’oceano sulla riva. La scelta non è di quelle casuali. Come sostenuto da Hassell, infatti, la sua musica può essere vista come un continuo ondeggiare tra poli opposti, un continuo entrare e uscire da un quadro immaginario, in cui - aggiungiamo noi - i colori sono i suoni e le linee le dimensioni spirituali della mente... "

Francesco Nunziata ( qui )

Qui per l'ascolto

martedì 8 maggio 2018

Salticidae


Si dice "ragni saltatori" e uno pensa chissà che cosa; invece sono piccolini, non fanno la tela, vivono per terra e ogni tanto anche sulle piante. Capita di trovarseli anche in casa (arrivano dal balcone), ma non sono pericolosi. O meglio: non sono pericolosi perché sono piccoli. Per saltare, infatti, saltano; e corrono, caspita come corrono, sono velocissimi. Ogni volta che li vedo e che ci penso, e che magari vedo qualche loro fotografia ingrandita, ringrazio il Signore che ha fatto me così grosso e loro così piccoli. Fossero stati grandi anche quanto un cane o un gatto, non avremmo avuto scampo. Invece mangiano insetti, quindi la cosa non ci tocca e magari lavorano anche per noi. Non che siano brutti: è vero che hanno otto occhi, ma l'aspetto complessivo è aggraziato, non è una tarantola insomma. Recenti scoperte hanno anche messo in luce il loro talento musicale, da percussionisti: picchiettano per terra con le zampe davanti e sembra proprio che abbiano talento e fantasia nelle variazioni (ovviamente, per sentire questa musica non basta l'orecchio umano... sono così piccoli).
I ragni saltatori ("Salticidae", ne esistono quasi seimila specie diverse) li vedo sempre quando uso l'annaffiatoio nell'orto: io bagno e allago, loro scappano dall'inondazione (per loro è un'inondazione vera e propria, la piena del Nilo, il crollo di una diga, forse anche uno tsunami) e io mi diverto a inseguirli con il getto d'acqua, a imitazione della proverbiale "nuvola dell'impiegato" che ti segue ovunque vai. Ma poi mi fermo subito, il ragno è velocissimo ed è ormai fuori dalla zona dove ho seminato e l'acqua, si sa, è preziosa e non va sprecata. Tanto, so già che li troverò qui anche domani. Il divertimento è solo rinviato ed è, oltretutto, assolutamente innocuo sia per me che per loro.


(altre foto sul sito www.lucianabartolini.net )

domenica 6 maggio 2018

Il Paese d'Oro



«Non andare fuori, all'aperto. Ci può essere qualcuno di guardia. Siamo al sicuro, se siamo al di qua dei rami.»
Stavano all'ombra di certi arbusti di noccioli. La luce del sole, filtrata da innumerevoli foglie, era ancora calda sui loro volti. Winston diede un'occhiata fuori, nel campo che si stendeva oltre i cespugli, e qualcosa gli parve tornare alla memoria. Gli sembrava d'averlo già veduto. Un vecchio pascolo consunto, con un sentiero in mezzo che vi correva a zig zag e le tane delle talpe, sparse qua e là. Sull'orlo frastagliato, al lato opposto, i rami dell'olmo si agitavano a una brezza leggera, e le foglie lustreggiavano debolmente come una densa massa di capelli di donna. In qualche luogo non troppo lontano doveva esserci un ruscello, con certe macchie verdi nel fondo, dove nuotavano i pesciolini. «C'è un ruscello, qua vicino, da qualche parte?» disse con un sottilissimo bisbiglio. «Certo. C'è un ruscello.


venerdì 4 maggio 2018

Orchi e limoni


E' risaputo che tutti gli orchi vivono a Ceylon, e che tutte le loro vite stanno in un solo limone. Un cieco taglia il limone con un coltello e tutti gli orchi muoiono.

"Il redentore segreto", da Indian Antiquary, I (1872)
pag. 19 da "Racconti brevi e straordinari"
a cura di Adolfo Bioy Casares e Jorge Luis Borges (ed. Franco Maria Ricci 1973, traduzioni di Gianni Guadalupi)

 (foto trovata su internet senza indicazioni)

mercoledì 2 maggio 2018

La luna (Tommaso Landolfi)




L'amico e io non possiamo patire la luna: al suo lume escono i morti sfigurati dalle tombe, particolarmente donne avvolte in bianchi sudari, l’aria si colma d’ombre verdognole e talvolta s'affumica d’un giallo sinistro, tutto c'è da temere, ogni erbetta ogni fronda ogni animale, una notte di luna. E quel che è peggio, essa ci costringe a rotolarci mugolando e latrando nei posti umidi, nei braghi dietro ai pagliai; guai allora se un nostro simile ci si parasse davanti. Con cieca furia lo sbraneremmo, ammenoché egli non ci pungesse, più ratto di noi, con uno spillo. E, anche in questo caso, rimaniamo tutta la notte, e poi tutto il giorno, storditi e torpidi, come uscissimo da un incubo infamante. Insomma l’amico ed io non possiamo patire la luna.
Ora avvenne che una notte di luna io sedessi in cucina, ch'è la stanza più riparata della casa, presso il focolare; porte e finestre avevo chiuso, battenti e sportelli, perché non penetrasse il filo dei raggi che, fuori, empivano e facevano sospesa l'aria. E tuttavia sinistri movimenti si producevano entro di me, quando l'amico entrò all'improvviso recando in mano un grosso oggetto rotondo simile a una vescica di strutto, ma un po’ più brillante. Osservandola si vedeva che pulsava alquanto, come fanno certe lampade elettriche, e appariva percorsa da deboli correnti sottopelle, le quali suscitavano lievi riflessi madreperlacei simili a quelli di cui svariano le meduse.
- Che è questo? - gridai, attratto mio malgrado da alcunché di magnetico nell’aspetto e, dirò, nel comportamento della vescica.
- Non vedi? Son riuscito ad acchiapparla... - rispose l’amico guardandomi con un sorriso incerto.
- La luna! - esclamai allora. L’amico annuì tacendo.
Lo schifo ci soverchiava: la luna fra l’altro sudava un liquido ialino che gocciava di tra le dita dell’amico. Questo però non si decideva a deporla. (...)

(Tommaso Landolfi, Il racconto del lupo mannaro, dal volume "Il mar delle blatte", 1939)
(dipinto di Remedios Varo, 1958)