domenica 30 agosto 2020

I've known rivers


THE NEGRO SPEAKS OF RIVERS
I've known rivers:
I've known rivers ancient as the world
and older than the flow of human blood in human veins.
My soul has grown deep like the rivers.
I bathed in Euphrates when dawns were young.
I built my hut near the Congo and it lulled me to sleep.
I looked upon the Nile and raised the pyramids above it.
I heard the singing of the Mississippi
when Abe Lincoln went down to New Orleans,
and I've seen its muddy bosom
turn all golden in the sunset.
I've known rivers:
Ancient, dusky rivers.
My soul has grown deep like the rivers.
(Langston Hughes, 1901-1966)

Ho conosciuto fiumi: ho conosciuto fiumi antichi come il mondo e più vecchi del flusso di sangue umano nelle vene umane. La mia anima è diventata profonda come i fiumi. Mi sono bagnato nell'Eufrate quando le albe erano giovani. Ho costruito la mia capanna vicino al Congo e ne sono stato cullato fino al sonno. Ho guardato il Nilo e vi ho innalzato alte piramidi. Ho udito il canto del Mississippi quando Abe Lincoln scese fino a New Orleans, e ho visto il suo seno fangoso farsi tutto d'oro nel tramonto. Ho conosciuto fiumi: fiumi antichi, oscuri. La mia anima è diventata profonda come i fiumi. 
(traduzione di Giovanni Zanmarchi, dal volume "Da Frost a Lowell - Poesia americana del '900" a cura di Sergio Perosa, edizioni Accademia 1979)

(Frederick Edwin Church, 1857, Niagara Falls)

venerdì 28 agosto 2020

Una mosca shakespeariana


Marco colpisce il piatto con un coltello.
TITO: A cosa dai colpi, Marco, con il tuo coltello?
MARCO: A ciò che ho ucciso, mio signore: una mosca.
TITO: Maledizione, assassino! tu uccidi il mio cuore. I miei occhi sono sazi di spettacoli di violenza: un atto di morte commesso sugli innocenti non si addice al fratello di Tito. Vattene, vedo che non sei fatto per la mia compagnia.
MARCO: Ahimè, mio signore, ho ucciso solo una mosca.
TITO: «Solo?» e se quella mosca aveva un padre e una madre? Come stenderà le fragili ali dorate
ronzando per l'aria lamentosi fatti? Povera mosca innocente, con la graziosa melodia del suo ronzio era venuta qui a rallegrarci, e tu l’hai uccisa.
MARCO: Perdonami, signore: era una brutta mosca nera come il Moro dell'imperatrice, e perciò l'ho uccisa.
TITO: Oh! Oh! Oh! Perdonami allora per averti rimproverato, perché hai fatto un atto misericordioso. Dammi il coltello, infierirò su di lei illudendomi che sia il Moro venuto qui apposta per avvelenarmi. Questo è per te, e questo è per Tamora. Ah, marrano! Ma spero che non siamo caduti così in basso da non poter uccidere, insieme, una mosca che ci viene davanti a somiglianza d’un Moro nero come il carbone.
MARCO: Ahimè, pover’uomo! il dolore l'ha così sconvolto che prende ombre false per sostanze vere.
TITO: Su, sparecchiate. Lavinia, accompagnami; verrò nella tua stanza a leggere con te tristi storie accadute in tempi passati. Vieni con me, ragazzo: la tua vista è giovane, leggerai tu quando la mia comincerà ad annebbiarsi.
Escono.
(William Shakespeare, Tito Andronico, finale atto terzo, traduzione di Alessandro Serpieri, ed. Garzanti 1989)

Quando ho letto per la prima volta Tito Andronico, tanti anni fa, ho trovato questa pagina e non credevo ai miei occhi. Possibile che Shakespeare abbia scritto questa cosa? Oltretutto, Tito Andronico è un dramma di una crudeltà inaudita, con torture, mutilazioni, stragi, violenze; in questo contesto, trovare qualcuno che si commuove per una mosca (sia pure per pochi istanti) è davvero singolare. Mi sono tenuto le mie perplessità per anni, pensando che si tratta di un dramma giovanile e che i manoscritti di Shakespeare sono, come insegnano gli esperti, pieni di inserti e di improvvisazioni degli attori. Poi mi è capitato di vedere questa scena interpretata da Anthony Hopkins, nel film del 1999, e ho capito che a un grande interprete è possibile rendere alla grande anche pagine come questa. La regista Julie Taymor si prende qualche libertà e fa interpretare la parte che qui spetta a Marco (un adulto) a un bambino, nipote di Tito. Così, la faccenda della mosca diventa un affare tra nonno e nipote e tutto riesce a diventare credibile (francamente, io pensavo che l'avrebbero tagliata).
Il Moro, per chi non conoscesse la tragedia, è un personaggio importante. Un cattivo a tutto tondo, ma il suo discorso sulla sua provenienza è memorabile e anticipa Shylock (Il Mercante di Venezia).

PS: non ho trovato on line il momento esatto del film con Hopkins, per questo motivo il fotogramma qui sopra è tratto da "Mystery train" di Jim Jarmusch (notare il fermacarte in mezzo alla scrivania)

lunedì 24 agosto 2020

Traiettorie

opera di Alberto Giacometti (1947 )
 Nel suo studio di rue Hippolyte-Maindron, non lontano dal cimitero di Montparnasse, Alberto Giacometti contemplava uno dei suoi primi omini filiformi. Investito dell'alito vivifico dell'arte, l'omino di bronzo presunse immediatamente di andarsene per i fatterelli suoi: ma quando capì che i suoi piedi erano imprigionati in un basamento ne dedusse odio mortale al suo artefice, contro il quale, distraendo materia dalle guance, esplose uno sputo metallico che assotigliò uteriolmente la sua testolina. Allibito, Giacometti si chinò quel tanto da schivare il proietto, che continuando nel proprio impeto perforò una parete, e poi un'altra, e poi un albero, e poi tutto quello che incontrò nella sua orbita intorno alla terra senza mai rallentare, orbita dopo orbita finchè un giorno della primavera seguente, in Spagna, non penetrò nel collo di George Orwell. Solo allora, avendo assaggiato il sangue di un uomo giusto, il bolo si placò, e ritornò materia inerte, inconoscibile segno di rancore che fu.
Michele Mari, Tutto il ferro della torre Eiffel, ed.Einaudi

venerdì 21 agosto 2020

Patty la gatta




Vicino al laboratorio c'erano delle villette, con giardini, e anche un po' di bosco; forse è da lì che veniva la gatta, una bella gatta più che domestica, affettuosissima, che in laboratorio si trovava benissimo e che restò in nostra compagnia per un paio d'anni. La mia collega Mariella la prende subito in consegna, la battezza Patty, le porta da mangiare; noi tutti, a partire dal Capo (il dottor Gigi) la assecondiamo. E' davvero una bella gatta, ma presto ci accorgiamo che ha un difetto: è una vera e propria fabbrica di micetti, ne fa sei alla volta e sono tutti belli come lei. La mia collega ne è contentissima, trova casa a ognuno di loro, vorrebbe portarsene via uno ma per il momento non può, disdetta. Quanti micetti ha partorito Patty in quei due anni? Difficile tenerne il conto, direi almeno diciotto (tre parti da sei). Non è che non si lavorasse, in laboratorio: il lavoro andava avanti lo stesso, Patty non stava sui banconi tra le beute e le bottiglie dei reagenti, sapeva come comportarsi e appariva solo quando era sicura di non dare fastidio - o meglio, quando non c'era confusione (i gatti detestano la confusione e il via vai di persone). So bene che ci sono molti capi (e anche molti sottoposti) convinti che se si parla e si scherza non si lavora: ma è un'idiozia, ci sono molti lavori dove si può chiacchierare e perfino leggere il giornale senza per questo rallentare il lavoro. Per esempio, in laboratorio, gran parte delle analisi erano di questo tipo: inietto il campione nel gascromatografo, e poi il gascromatografo impiega mezz'ora per completare l'analisi. Oppure: preparo l'occorrente per un numero di saponificazione, e poi il tutto deve bollire con refrigerante a ricadere per un'ora. Di tempo quindi ne avanza, sia per fare pulizia e preparare i reagenti che per dare una grattatina sulla testa a Patty.

Patty aveva scelto uno di noi in particolare, il Capo. Si sa che le gatte scelgono un membro della famiglia, e sicuramente il dottor Gigi meritava quest'attenzione, ma c'era anche un dettaglio non secondario: il Capo era l'unico di noi che lavorava da seduto, davanti al pc o davanti a carteggi vari, oppure al telefono. Di conseguenza, Patty era sempre sulle ginocchia del Capo - cosa che procurò qualche problema al dottor Gigi, ma anche lui non è che non stesse facendo nulla, non è che stesse coccolando "invece di lavorare", ma lavorava coccolando la gatta. Oggi, quando si fa home working, è normale che sui monitor compaiano i gatti e anche i bambini; si lavora e ci sono in giro i figli e gli animali di casa, ogni tanto fanno capolino, ma negli anni '90 certe cose non si potevano nemmeno immaginare e credo che questo lavorare con la gatta sulle ginocchia abbia causato qualche problema nella carriera di Gigi. Vallo a spiegare al dottor Biribò e al Direttore di Stabilimento, che puoi anche rispondere al telefono con la gatta accanto. La cosa, piacevolissima, andò avanti per un paio d'anni; poi la mia collega decise di portare a casa Patty, che - come fanno spesso i gatti - appena arrivata lì se ne andò via e non fu più ritrovata. Rimane un bel ricordo, anche e soprattutto pensando a come era il mondo del lavoro trent'anni fa e a come è ridotto oggi, con il precariato e tutto il resto - quello che sapete e vedete anche voi, non sto a dilungarmi.

lunedì 17 agosto 2020

Ieri è oggi

 La notte ci accampammo sull’isola e accendemmo un fuoco ai bordi della spiaggia. parlammo a lungo alla luce del falò; le ombre danzavano nella macchia alle nostre spalle, il cielo pallido, disseminato di stelle, si distendeva sopra di noi come un lago immenso, e la nostra barca si cullava tranquilla sull’ancora, seguendo il ritmo della marea.
Provai ad esprimere ad Arnie qualcosa di quello che sentivo, su me stesso, e sul mondo. “ Sappiamo così poco”, iniziai, “ e c’è così tanto da sapere. Viviamo solo per ciò che possiamo toccare o assaggiare, vediamo solo quello che è sotto il nostro naso. Lassù, sopra di noi, ci sono sistemi solari più grandi del nostro; e interi universi in una goccia d’acqua. E il tempo scorre senza fine ovunque. Questa terra, quest’oceano, questo piccolo frammento di vita, non ha alcun significato per se’... Ieri è vero tanto quanto oggi; solo che noi ce lo dimentichiamo.”
fotogramma del film "Il ritratto di Jenny"
Arnie sbadigliò: “ Sì “ disse, “ È così. Ora dormiamo. “

Robert Nathan, Ritratto di Jennie, ed. Atlantide
Traduzione di Simone Caltabellotta

Qui il film diretto da e ispirato al romanzo di Nathan
Qui la canzone di Jenny

giovedì 13 agosto 2020

Fine della notte


«Ogni notte e ogni mattina
nascono alcuni al soave diletto
nascono alcuni all'infinita notte.
ogni notte e ogni mattina
nascono alcuni alla rovina
nascono alcuni al soave diletto,
nascono alcuni all'infinita notte...»

(William Blake, 1789)
Questo è William Blake (1757-1827), con una traduzione presa al volo da "Dead man", il film di Jim Jarmusch.


 Due di questi versi, nell'originale inglese (Some are born to sweet delight, some are born to the endless night) li ho ritrovati ascoltando Jim Morrison. Il film di Jarmusch, strano e affascinante, è probabilmente ispirato proprio da Jim Morrison, dal testo e dalla musica oltre che dalla dizione; raccomando a tutti la visione del film (però serve pazienza) e metto qui sotto i due testi, per chi avesse voglia di ragionarci sopra

qui per Jim Morrison
qui per Jim Jarmusch

End Of The Night (The Doors, 1967)

Take the highway to the end of the night
End of the night, end of the night
Take a journey to the bright midnight
End of the night, end of the night
Realms of bliss, realms of light
Some are born to sweet delight
Some are born to sweet delight
Some are born to the endless night
End of the night, end of the night
End of the night, end of the night
Realms of bliss, realms of light
Some are born to sweet delight
Some are born to sweet delight
Some are born to the endless night
End of the night, end of the night
End of the night, end of the night


William Blake, 1757-1827, da “Auguries of Innocence”

Every night and every morn
Some to misery are born,
(William Blake 1805 - Resurrection)
Every morn and every night
Some are born to sweet delight.
Some are born to sweet delight,
Some are born to endless night.
We are led to believe a lie
When we see not thro' the eye,
Which was born in a night to perish in a night,
When the soul slept in beams of light.
God appears, and God is light,
To those poor souls who dwell in night;
But does a human form display
To those who dwell in realms of day.





lunedì 10 agosto 2020

sabato 8 agosto 2020

Un gatto inglese


(Henriette Ronner Knip)

Avrei però resistito e sopportata l’Inghilterra per quei sei mesi che mio padre e l’Olivi volevano 
infliggermi acciocché studiassi il commercio inglese (in cui intanto non m’imbattei mai perché pare si faccia in luoghi reconditi) se non mi fosse toccata un’avventura sgradevole. Ero andato da un libraio a cercare un vocabolario. In quel negozio, sul banco, riposava sdraiato un grosso, magnifico gatto angora che proprio attirava le carezze sul soffice pelo. Ebbene! Solo perché dolcemente l’accarezzai, esso proditoriamente m’assaltò e mi graffiò malamente le mani. Da quel momento non seppi più sopportare l'Inghilterra e il giorno appresso mi trovavo a Parigi.
Augusta, Alberta e anche la signora Malfenti risero di cuore. Ada invece era stupita e credeva di aver frainteso. Era stato almeno il libraio stesso che m’aveva offeso e graffiato? Dovetti ripetermi, ciò ch'è noioso perché si ripete male. Alberta, la dotta, volle aiutarmi: - Anche gli antichi si lasciavano dirigere nelle loro decisioni dai movimenti degli animali.
Non accettai l’aiuto. Il gatto inglese non s’era mica atteggiato ad oracolo; aveva agito da fato!
Ada, col grandi occhi spalancati, volle delle altre spiegazioni: - E il gatto rappresentò per voi l’intero popolo inglese?
Com’ero sfortunato! Per quanto vera, quell’avventura a me era parsa istruttiva e interessante come se a scopi precisi fosse stata inventata. Per intenderla non bastava ricordare che in Italia dove conosco e amo tanta gente, l'azione di quel gatto non avrebbe potuto assurgere a tale importanza? Ma io non dissi questo e dissi invece:
- E' certo che nessun gatto italiano sarebbe capace di una tale azione.

(Charles Burton Barber)

Ada rise a lungo, molto a lungo. Mi parve persino troppo grande il mio successo perché m'immiserii e immiserii la mia avventura con ulteriori spiegazioni.
- Lo stesso libraio fu stupito del contegno del gatto che con tutti gli altri si comportava bene. L'avventura toccò a me perché ero io o forse perché ero italiano. It was really disgusting e dovetti fuggire.
(...) La piccola Anna che fino ad allora era rimasta immota ad osservarmi, a gran voce si diede ad esprimere il sentimento di Ada. Gridò:
- E' vero che è pazzo, pazzo del tutto? (...) E' pazzo! Parla coi gatti! Bisognerebbe subito procurarsi delle corde per legarlo!

(Italo Svevo, La coscienza di Zeno, pag. 98 edizione Dall'Oglio 1976)




mercoledì 5 agosto 2020

Andromeda


Il drago non godette mai di miglior salute né di più eccellente disposizione d’animo della mattina in cui Perseo lo uccise. Si dice che Andromeda commentasse poi la circostanza con Perseo: si era alzato sereno, molto ben disposto, eccetera. Quando lo riferii a Ballard, si lamentò che questo particolare non figurasse nei classici. Lo guardai e gli dissi che anch’io ero i classici.

Samuel Butler, Note-books.
a pag.37 di "Racconti brevi e straordinari" a cura di Adolfo Bioy Casares e Jorge Luis Borges (ed. FMR 1973, traduzioni di Gianni Guadalupi)

(Arnold Boecklin, 1873, Angelica e Ruggiero)



sabato 1 agosto 2020

Riflessi


foto di André Kertesz
 Ancora più adulto, e in modo ben più strano, mi avevano fatto sentire durante la cena gli effetti di luci e ombre nel finestrone della sala da pranzo. Specchiato di semi profilo mentre masticavo dei rösti di patate o bevevo acqua e vino da un calice a gambo lungo, stupivo nel vedere la mia faccia da bambino espatriato incorniciata in una sottile barba nera che mi faceva sembrare un soldato di Agamennone, o un filosofo ateniese, e più vecchio di almeno sei anni. Il me stesso filosofo ateniese del futuro mi incuriosiva talmente che non riuscivo a staccargli  lo sguardo di dosso. Non vedevo l’ora che le mie guance diventassero davvero capaci di produrre un così onorevole ornamento. Alla fine Martina apri di poco il finestrone scorrevole per far entrare l’aria fresca della sera, e il me filosofo adulto, reso possibile da delicatissimi equilibri vetro-molecolari, svanì. Immaginai fosse tornato nel futuro ad aspettarmi. Anche se io a pensarci bene, non avevo mai avuto nessuna intenzione di diventare un filosofo ateniese, né tantomeno un soldato di Agamennone.

Nicola Pezzoli, Irrenhaus, KDP