giovedì 20 settembre 2018

Pietre ( II )


Siccome a me piaceva fare teatro nella mia vita quotidiana, nel mio piccolo e secondo le mie limitatissime potenzialità (la mancanza di talento mi impedisce di fare di più, per fortuna direi), un giorno sul posto di lavoro mi metto con la faccia rivolta verso il muro e comincio a fare l'elenco delle cose che non vanno (tante, perfino in modo ridicolo). Il mio giovane collega mi guarda un po' così, forse si preoccupa e allora gli spiego: «Parlo al muro perché il muro non risponde, e in questo è identico ai nostri capi, ma quantomeno il muro non risponde stupidaggini, e in questo è senza dubbio migliore.»


A quel tempo conoscevo già il Tito Andronico, ma forse me ne ero dimenticato:


Lucio: O nobile padre, ti lamenti invano: i tribuni non ti sentono, e tu racconti i tuoi dolori ad una pietra. (...) Mio amato signore, nessun tribuno è qui a sentirti parlare.
Tito: Non importa, ragazzo: se mi sentissero non mi presterebbero attenzione, e se lo facessero non avrebbero pietà di me; e tuttavia devo implorarli, anche se inutilmente. Perciò racconto i miei dolori alle pietre, che se non possono rispondere alla mia pena pure sono in qualche modo meglio dei tribuni, perché non interrompono la mia storia. Quando piango, ai miei piedi esse ricevono le mie lacrime umilmente e sembrano piangere con me; se solo fossero abbigliate di vesti austere, Roma non disporrebbe di tribuni a loro pari. Una pietra è tenera come cera, i tribuni sono più duri delle pietre; una pietra è silenziosa e non offende, i tribuni con le loro lingue mandano uomini a morte.
(William Shakespeare, Tito Andronico, atto 3 scena I, traduzione Alessandro Serpieri, ed.Garzanti 1989)


Che dire, è un pianto antico. Rivolgersi ai sassi, ai muri, o alle pietre che lastricano le strade (come fa Tito Andronico), è un tema sempre presente nella letteratura. Il motivo è sempre lo stesso, le pietre e i muri e i sassi se gli parli non rispondono, ma quantomeno non feriscono e non danno risposte stupide.



Qualche anno dopo, nel 1643, a Venezia va in scena "L'incoronazione di Poppea" di Claudio Monteverdi: nel primo atto Ottone, innamorato di Poppea, è sotto il balcone dell'amata ma ben presto si rende conto che qualcosa non va:

Ottone: (...) son questi i servi di Nerone; ahi dunque agl'insensati venti io diffondo i lamenti. Necessito le pietre a deplorarmi, adoro questi marmi, amoreggio con lagrime un balcone, e in grembo di Poppea dorme Nerone...

(libretto di Francesco Busenello, musica di Claudio Monteverdi) (qui)



Tornando indietro ai tempi in cui c'era ancora Shakespeare, a Mantova nel 1607, Claudio Monteverdi aveva già messo in musica l'Orfeo:

Orfeo: Vi ricorda, o boschi ombrosi, de' miei lunghi aspri tormenti, quando i sassi a' miei lamenti
rispondean fatti pietosi ?
Sono solo tre esempi, ma sono sicuro che scavando un po' se ne troveranno tanti altri, magari in Eschilo o in Sofocle, o nel Mahabharata. Di sicuro, c'è questo: se parlate con i muri, i muri non rispondono; ma, quantomeno, non rispondono stupidaggini. E' già qualcosa, credetemi.


(il dipinto è di Waterhouse, Tisbe e il muro che la separa da Piramo;
Amleto è impersonato da Buster Keaton e poi da Klaus Kinski)

Nessun commento:

Posta un commento