martedì 23 gennaio 2018

La scarpa di gomma di Romain

" Avevo quasi nove anni quando per la prima volta m'innamorai. Fui ghermito interamente da una passione violenta e totale che mi avvelenò l'esistenza e rischiò di costarmi la vita.
Lei aveva otto anni e si chiamava Valentina. Potrei descriverla a lungo e fino a perdere la parola, e se avessi la voce non la smetterei di cantare la sua bellezza e la sua dolcezza. Era una brunetta con gli occhi chiari, mirabilmente ben fatta, vestita di bianco e con una palla in mano. 




 Me la vidi apparire davanti nel deposito di legname, nel punto in cui cominciavano le ortiche che coprivano il terreno fino al muro dell'orto vicino. Non posso descrivere l'emozione che m'invase: tutto quel che so è che le gambe mi si fecero di ricotta e che il cuore prese a saltarmi con tale violenza da offuscarmi la vista. Assolutamente deciso a sedurla sull'istante e per sempre, di modo che non vi fosse più posto per un altro uomo nella sua vita, feci come mi aveva detto la mamma e, appoggiandomi con noncuranza ai tronchi di legno, alzai gli occhi verso la luce per soggiogarla. Ma Valentina non era donna da lasciarsi impressionare. Io restai là, gli occhi alzati al sole, fino a che sulla faccia mi scorsero le lacrime; ma la crudele, per tutto quel tempo, continuò a giocare con la palla senza manifestare il minimo segno d'interesse.
Gli occhi mi uscivano dalla testa, tutto stava diventando fuoco e fiamma intorno a me; ma Valentina non mi concedeva neppure uno sguardo.
Del tutto sconcertato da quella sua indifferenza, dal momento che tante signore nel salone della mamma si erano doverosamente estasiate davanti ai miei occhi azzurri, quasi accecato e avendo esaurito fin dal primo colpo, per così dire, le munizioni, mi asciugai le lacrime e, capitolando senza condizioni, le tesi le tre mele verdi che avevo appena rubato dall'orto. Lei le accettò e mi disse, come per inciso:
«Janek ha mangiato per amor mio tutta la sua collezione di francobolli».
È così che ebbe inizio il mio martirio. Nei giorni che seguirono mangiai per Valentina diverse manate di vermi, un considerevole numero di farfalle, un chilo di ciliegie col nocciolo, un topolino e, per finire, posso dire che a nove anni, e cioè molto più giovane di Casanova, feci il mio ingresso tra i più grandi amanti di tutti i tempi compiendo una prodezza amorosa che nessuno, a quanto ne so, è mai sopravvenuto a eguagliare. Mangiai per la mia amata una scarpa di gomma.
 
Qui devo aprire una parentesi.
So benissimo che, quando si tratta delle loro imprese d'amore, gli uomini sono portati a vantarsi. A dar retta a quanto dicono, le loro prodezze virili non hanno limiti, e non vi risparmiano nessun dettaglio.
Perciò non pretendo che mi si creda quando sostengo che, per amore della mia amata, mangiai anche un ventaglio giapponese, dieci metri di filo di cotone, un chilo di noccioli di ciliegie - Valentina mi riforniva, per così dire, il fabbisogno, mangiando la polpa e passandomi i noccioli — e tre pesci rossi, che eravamo andati a pescare nell'acquario del suo professore di musica.
Dio solo sa quante me ne hanno fatte ingoiare le donne nella mia vita; ma non ho mai conosciuto una natura più insaziabile. Era un misto di Messalina e di Teodora di Bisanzio. Dopo quell'esperienza si può dire che ormai sapevo tutto dell'amore. La mia educazione era fatta. Da allora non ho fatto che andare avanti per forza d'inerzia.


La mia adorabile Messalina non aveva che otto anni, ma le sue esigenze fisiche superavano tutto quello che ebbi occasione di conoscere nel corso della mia esistenza. Correva davanti a me nel cortile, mi indicava ora un mucchio di foglie, ora della sabbia, ora un vecchio turacciolo, e io eseguivo i suoi ordini senza ribellarmi, ben contento di poter essere ancora utile. Una volta s'era messa a cogliere un mazzo di margherite, che io vedevo crescerle in mano con apprensione: ma mangiai anche le margherite sotto il suo sguardo attento — lei sapeva già che gli uomini cercano sempre di barare in quei giochi — in cui cercavo invano una luce di ammirazione. Senza concedermi un segno di plauso o di gratitudine, ripartì saltellando per tornare di lì a un momento con alcune lumache che mi tese sul palmo della mano. Io mangiai devotamente le lumache col guscio e tutto.

A quei tempi non s'insegnava ancora niente ai ragazzi sul mistero del sesso; e io ero convinto che si facesse all'amore in quel modo. Probabilmente avevo ragione. 

(...)
Ma non c'eravamo ancora. Sentivo che doveva esserci qualche altra cosa che mi 
sfuggiva, qualcosa di essenziale. Il cuore mi batteva molto forte e la baciai sul naso, sui capelli e sul collo, e qualcosa mi mancava sempre di più. sentivo che non era abbastanza, che bisognava andare più lontano, molto più lontano, e finalmente, pazzo d'amore e al colmo della frenesia erotica, mi sedetti sull'erba e mi tolsi una delle scarpe di gomma.
Posò a terra il cerchio e si sedette sui calcagni.
"Mangerò questa per amor tuo, se vuoi".
Se lo voleva! Certo che lo voleva, figuriamoci, era una piccola vera femmina!
Credetti di vedere nei suoi occhi un barlume di ammirazione. Non chiedevo altro. Presi il temperino e cominciai a tagliare la gomma. Lei mi guardava fare.
"La mangi cruda?"
"Sì".
Inghiottii un boccone, poi un altro. Sotto il suo sguardo, finalmente ammirato, mi sentii diventare uomo sul serio. E avevo ragione. Avevo appena finito di fare il mio apprendistato. Intaccai la gomma ancora più profondamente, soffiando un po' tra una boccata e l'altra, e andai così avanti per un bel pezzo, fino a quando il sudore freddo mi coprì la fronte. Continuai ancora un po', serrando i denti, lottando contro la nausea, raccogliendo tutte le forze per resistere sul campo (...). 
Venti anni dopo il mio amore infantile mi ispirò il mio primo romanzo, Éducation européenne , e anche certi passi del Grand vestiaire."
  
da  La promessa dell'alba di Romain Gary    ed. Neri Pozza
traduzione di  Marcello Venturi




Nella prima foto Romain Gary a dodici anni.
Nelle altre foto la statua che rappresenta Romain bambino con una scarpa in mano; la statua, opera dello scultore lituano Roman Kvintas, è ispirata all'episodio che ho riportato e che Gary ha raccontato  ne La promessa dell'alba.
La statua è stata collocata in prossimità dell'abitazione in cui Romain Gary visse dal 1917 al 1923. Si trova all'angolo tra via Basanavičiaus e via Mindaugo, a Vilnius.
In  via Basanavičiaus, nei pressi del numero 16, c'è una targa commemorativa. Originalmente la via si chiamava Grande-Pohulanka, così viene infatti da Gary ricordata ne La promessa dell'alba. Il numero dell'abitato dove Gary è vissuto per pochi anni della sua infanzia dovrebbe essere il 18: stando a quanto viene precisato in  Anime baltiche di Jan Brokken, i civici furono scalati di due numeri quando la via cambiò nome.



4 commenti:

  1. Dovrò segnalare questo tuo post all'amica C., entusiasta lettrice di Gary e viaggiatrice curiosa; non credo che nella sua visita ai Paesi Baltici abbia avuto occasione di vederne la statua.

    RispondiElimina
  2. Ho fatto un bel po' di strada in salita per arrivarci. Ho usato come guida il capitolo del libro di Brokken dedicato a Gary oltre che ciò che lo scrittore franco/lituano ha raccontato nel suo "La promessa dell'Alba", scritto autobiografico appassionato e in molti momenti commovente.
    :-)

    RispondiElimina
  3. Be' che dire, la capacità di seduzione è un dono imperscrutabile di Dio. Certo che dopo essere sopravvissuto a quell'iniziazione Roman Gary non doveva temere più nulla. :-)

    RispondiElimina
  4. Infatti ha attraversato le esperienze più varie e non solo in ambito sentimentale!
    p.s.
    Nel libro di Brokken che ho citato nel post c'è anche un capitoletto dedicato a Arvo, altra "anima baltica":-)

    RispondiElimina