lunedì 17 giugno 2019

Lucania






Si può ritornare nella propria terra in molti modi, non solo cambiando cinque volte treno per raggiungere Matera, la città in cui sono vissuta per tanti anni, ma anche, più piacevolmente, occupandosi di un libro che è insieme un diario di viaggio, un percorso letterario in prosa e in versi, un documento storico-etnologico, un reportage fotografico sulla mia terra d’origine, la Lucania.

Un libro che è tante cose, dunque; d’altronde, il suo autore, Nicola d’Imperio
è tante persone: è medico, pittore, scrittore, escursionista.

“ La Lucania a piedi dallo Ionio al Tirreno” è il resoconto di un viaggio “lento”, a piedi, che ha impegnato l’autore e alcuni amici per otto giorni, dal 7 al 14 agosto 2010, ma è soprattutto il ricongiungimento con l’ambiente originario e dunque con un paesaggio concreto e mitico allo stesso tempo.




Quest’ultimo aspetto si rivela nei racconti in corsivo che l’autore sapientemente inserisce nell’ordito del libro e che gli consentono di recuperare leggende, figure ancestrali della tradizione lucana, dai briganti che strappano e mordono il cuore delle loro vittime, e le altrettanto feroci brigantesse, ai monacelli, fantasmi bambini, con tanta voglia di giocare, a un’entità che genera ancora oggi inquietudine, il lupomn; il termine “Lucania” deriva, dice l’autore, da lupo e il lupomn altro non è che il lupo mannaro, un uomo che, di notte, subendo il fascino della luna di cui è innamorato, si trasforma.
La luna è una componente importante del paesaggio lucano; si tratta proprio di una luna silenziosa, di leopardiana memoria, una luna che si staglia luminosa in un paesaggio remoto, fatto di distese interrotte da rilievi levigati dal tempo, immoti





In un passo molto bello, Nicola D’Imperio parla anche di un’altra luce, quella dell’alba trattenuta dall’elemento più tipico e caratteristico della Lucania, l’argilla; questa restituisce il colore – che ha conservato – dell’alba quando quel momento è ormai scomparso, trascorso.
Il paesaggio lucano conserva – e forse proprio per questo è antico, enigmatico, silenzioso. E’ un paesaggio malinconico perché del tempo serba memoria.
Il tempo trascorso è palpabile anche nei calanchi fratturati, erosi, scabri ; nei paesi -distanti tra loro anche cento chilometri - arroccati sui rilievi con una torre svettante, quasi il Medioevo non fosse mai finito; nel suono delle fontane e in quello del pascolo, in quello dei campanacci delle secche mucche podoliche che l’autore definisce “ solitarie, silenziose, schive ma con grandi occhi umidi che si fanno leggere dentro”; nei ciottoli dei fiumi che portano il segno delle piene improvvise e ricorrenti.



Qui un' intervista all'autore

( il post  è già comparso qualche anno fa nel mio vecchio blog )


2 commenti:

  1. Il viaggio spesso e sinonimo di una ricerca o del ritrovare certe radici che ci appartengono e che magari avevamo dimenticato. Certo, cambiare cinque volte treno non è mica male...
    un saltuone e alla prossima

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  2. Ha qualcosa di mitico, ancora, il viaggio in treno dal Nord al Sud. Una volta viaggiavo di notte ed aveva sempre un effetto straniante svegliarsi all'alba e ritovare un paesaggio ( e soprattutto una luce ) tanto diverso da quello che ci si era lasciati alle spalle.

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