martedì 11 dicembre 2018

No tav, sì tav


A Torino, metà novembre, c'è stata la "marcia dei trentamila" per dire sì alla TAV; l'altro ieri, sempre a Torino, una folla forse anche superiore per dire di no alla TAV. Se ne è parlato molto ma secondo me manca nei commenti un dettaglio fondamentale. Si tratta, di fatto, di un contrasto fra città e campagna, o città e montagna. Non c'è dialogo: gli abitanti della Val di Susa e delle altre zone interessate dai lavori vorrebbero difendere l'ambiente in cui vivono (il cantiere durerà vent'anni), i cittadini ribattono che le infrastrutture, lo sviluppo, eccetera. Dato che di mezzo c'è il cemento, vincono senz'altro i cittadini che nel cemento vivono fin dalla nascita e non conoscono altro modo di vivere (tranne la domenica, il week end quando si va a sciare, a fare il pic nic, o al mare). Oltretutto, il cemento rende soldi, l'ambiente intatto no. Mi piacerebbe che si parlasse di queste cose, invece si risponde sempre con questioni puramente economiche. Mi metto nei panni di uno della mia età che abita in Val di Susa: il cantiere durerà vent'anni, e si sa che vent'anni in Italia possono diventare anche trenta o quaranta. Esistono anche opere incompiute e lasciate lì come sono, gli esempi purtroppo sono tanti. In queste condizioni, una persona sopra i cinquanta difficilmente potrà tornare a fare una passeggiata in quelle zone.

 
Due altre considerazioni prima di chiudere: in questo ambito possono rientare anche i "gilet gialli" francesi, perché la loro protesta (clamorosa) nasce da tasse sull'automobile e la benzina. Guai a toccare l'automobile, insomma. Su un mio piano strettamente personale, la marcia dei 30 mila mi ricorda quella dei 40mila della Fiat, sempre a Torino, che di fatto pose fine al potere contrattuale degli operai; prima contro gli operai, oggi contro l'ambiente. Come finì quella marcia, degli anni '70? Quali furono i risultati? Oggi a Torino di fatto la Fiat non c'è più. Chiusa Mirafiori, chiuso il Lingotto, la nuova FCA ha sede in Olanda. Ma molti di quei quarantamila fecero in tempo ad andare in pensione, beati loro. E chissà come sarà la Val di Susa, fra quarant'anni.

(nell'immagine, dal Saint Louis Dispatch del 1910, una previsione sul futuro - cioè oggi)

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