giovedì 12 marzo 2020

L'Alberòn




L'Alberòn era tra il cimitero e il campo sportivo di Tomo, enorme e con radici che affioravano. Stava aggrappato sull'orlo del rilievo lungo la strada che da Tomo va a Porcen, in solitudine, intorno solo prato.
Era un cumulo davati agli occhi di verdi forati da luci azzurre. Il tronco, cinque metri di circonferenza.  Corteccia grigio-bruna e muschio a macchie. Tre rami, come alberi normali. In su, una cascata di rami e rametti barocchi. Foglie pesanti. La chioma, quindici, venti metri. Qualche ramo dei più alti ingrigito, scortecciato da frustate di fulmine.
(...)
L'erba intorno era sempre bassa, pestata da quelli che andavano a sedersi sotto. C'era odore di secco e si aveva una vista lunga, ombreggiata da un deposito antico di anni.
Per la maggior parte di quelli di Tomo l'Alberòn era Alberòn e basta. Secondariamente era un olmo.

Matteo Melchiorre, Requiem per un albero
Ed. Spartaco

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