martedì 13 agosto 2019

I soffi esitanti



Così, con tutte le luci spente, la luna tramontata e una pioggerellina che tamburellava sul tetto, cominciò un diluvio di tenebra immensa. Sembrava che niente potesse sopravvivere all'inondazione, alla profusione di tenebra che, insinuandosi nelle serrature e nelle fessure, penetrava attraverso le persiane, entrava nelle camere, inghiottiva qui una brocca e un catino, là un vaso di dalie rosse e
gialle, lì gli angoli vivi e la struttura massiccia di un cassettone. Non solo i mobili erano scomparsi: non era rimasto quasi più nulla del corpo e della mente da cui si potesse dire «E' lui» oppure «E' lei». A volte una mano si levava come per afferrare qualcosa o difendersi da qualcosa, oppure qualcuno gemeva, o rideva forte come scherzando con il nulla. Niente si muoveva in salotto o nella sala da pranzo o sulle scale. Solo attraverso i cardini arrugginiti e il legno gonfio di salsedine, certi soffi, staccati dal corpo del vento (dopo tutto la casa cadeva a pezzi), si insinuavano dagli angoli e si avventuravano all'interno.



Quasi si potevano immaginare, mentre entravano in salotto e si chiedevano, stupiti, giocherellando con un pezzo di carta da parati, resisterà ancora per molto, quando si staccherà? Poi sfiorando leggeri le pareti, passavano oltre pensosi come se chiedessero alle rose rosse e gialle sulla carta da parati se sarebbero appassite, e interrogando (con calma, perché avevano tempo a disposizione) le lettere strappate nel cestino della carta straccia, i fiori, i libri, che ora erano aperti e chiedendo loro Erano amici? Erano nemici? Quanto avrebbero resistito? Così, con una luce a caso che li guidava da una stella scoperta, o da una nave vagante, o dal Faro stesso, con l‟impronta pallida sulle scale e sulla stuoia, quei piccoli soffi salivano le scale e si facevano strada fino alle porte delle camere. Ma qui dovevano arrestarsi. Qualunque altra cosa può morire e scomparire, quello che c'è lì è immutabile. Qui si poteva dire a quelle luci scivolose, a quei soffi esitanti che alitavano e si curvavano sul letto, qui non potete né toccare né distruggere. Al che, stanchi, spettrali, come se avessero avuto dita leggere come piume e della stessa consistenza delle piume, avrebbero guardato, una volta, gli occhi chiusi e le dita intrecciate, e ripiegando le vesti con gesto stanco, sarebbero scomparsi.

 (...)


E così, facendosi strada, frugando, andarono alla finestra delle scale, nelle camere della servitù, tra le scatole in soffitta; e scendendo, sbiancarono le mele sul tavolo della sala da pranzo, stropicciarono i petali delle rose, esaminarono il quadro sul cavalletto, spazzarono la stuoia e soffiarono un po‟ di sabbia sul pavimento. Alla fine desistettero, cessarono insieme, si riunirono insieme, sospirarono insieme; tutti insieme emisero una raffica di gemiti senza scopo, cui rispose una porta della cucina; si spalancò; nessuno entrò; e si richiuse con un tonfo.
Così, con la casa vuota e le porte chiuse e i materassi arrotolati, quei soffi dispersi, avanguardie di grandi eserciti, irruppero, spazzarono nude tavole, morsero e soffiarono, senza incontrare niente in camera da letto o in salotto che resistesse loro validamente, ma solo brandelli che si staccavano, legno che scricchiolava, nude gambe di tavoli, pentole e porcellane già incrostate, annerite, spaccate.
Quello che era stato usato e poi lasciato —un paio di scarpe, un berretto da caccia, qualche gonna scolorita e le giacche nell'armadio —solo quello manteneva la forma umana e nel vuoto indicava come un tempo era stato pieno e animato; come un tempo le mani si erano date da fare con ganci e bottoni; come un tempo lo specchio aveva ospitato un volto; aveva ospitato un mondo cavo nel quale una figura si era voltata, una mano era comparsa, la porta si era aperta, i bambini erano entrati di corsa scontrandosi; ed erano tornati nuovamente fuori. Ora, giorno dopo giorno, la luce proiettava, come un fiore riflesso nell'acqua, la sua immagine chiara nel muro di fronte. Solo le ombre degli alberi, volteggiando nel vento, rendevano omaggio sulla parete, e per un momento offuscavano lo stagno in cui si rifletteva la luce; oppure gli uccelli, volando, facevano muovere una macchia vellutata sul pavimento della camera.Così regnavano bellezza e quiete, e insieme plasmavano la forma della bellezza stessa, una forma da cui la vita si era staccata; solitaria come uno stagno di sera, lontano, visto dal finestrino del treno, che svanisce così in fretta che lo stagno, pallido nella notte, a malapena viene privato della sua solitudine, anche se visto. La bellezza e la quiete si dettero la mano nella camera, e tra le brocche velate e le sedie coperte da lenzuola, perfino l'intrusione del vento e il naso soffice delle brezze marine appiccicose, che frusciavano, trapestavano, chiedendo e richiedendo —«Svanirete? Morirete?» —disturbava appena la pace, l'indifferenza, l'aria di vera integrità, come se la domanda che ponevano non necessitasse della risposta: rimarremo.



Niente sembrava in grado di rompere quell'immagine, corrompere quell'innocenza o disturbare il manto fluente di silenzio che, settimana dopo settimana, nella stanza vuota, tesseva nella sua trama le grida cadenti degli uccelli, le navi che suonavano le sirene, il ronzio e il brusio dei campi, l‟abbaiare di un cane, il grido di un uomo, e li ripiegava intorno alla casa in silenzio. Solo una volta un‟asse si ruppe sul pianerottolo; una volta nel mezzo della notte con un boato, con uno strappo —come dopo secoli di sottomissione una pietra si stacca dalla montagna e precipita di schianto a valle —una piega dello scialle si allentò e oscillò avanti e indietro. Poi la pace calò di nuovo; e l‟ombra tremò; la luce si chinò alla sua stessa immagine in adorazione sulla parete della camera; quand'ecco che la signora McNab, squarciando il velo del silenzio con mani che erano state nel catino del bucato, frantumandolo con scarponi che avevano calpestato la ghiaia, entrò, come le avevano detto di fare, per aprire tutte le finestre e spolverare le stanze.

Virginia Woolf, Gita al faro, ed. Bompiani
traduzione di Luciana Bianciardi

Le immagini rappresentano ambienti della Monk's house di Virginia Woolf

4 commenti:

  1. "Così regnavano bellezza e quiete, e insieme plasmavano la forma della bellezza stessa, una forma da cui la vita si era staccata; solitaria come uno stagno di sera, lontano, visto dal finestrino del treno, che svanisce così in fretta che lo stagno, pallido nella notte, a malapena viene privato della sua solitudine, anche se visto."
    Romanticismo, decadentismo, modernismo - e anche femminismo, perché un uomo non scriverebbe mai così.
    Ho letto Gita al faro molti anni fa e mi aveva fatto una grande impressione - più di Orlando e anche di Mrs.Dalloway. Quello che apprezzo soprattutto di Woolf è la capacità di far rivivere le atmosfere.
    Grazie per averci offerto questa immersione - più rinfrescante di una piscina, almeno per me:-)

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  2. La seconda parte di Gita al faro è splendida. È un elemento di raccordo tra la prima e la terza; la Woolf qui rende tangibile il trascorrere del tempo attraverso la descrizione del modo in cui la casa e e i suoi arredi cambiano, pur immobili, per l’effetto dell’abbandono. Sono pagine davvero bellissime. Il tema affrontato in Gita al faro è in effetti quello del tempo e del suo trascorrere inesorabile. A questo primo motivo si intreccia strettamente quello della creazione artistica che, coadiuvata dalla memoria, può ritrarre e dunque cristallizzare gli attimi, i “momenti d’essere”, per usare una espressione della Woolf.
    Grazie per esserti fermata un po’ qui ! Un caro saluto!

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  3. Cristallizzare i "momenti d'essere" attraverso l'arte e la memoria doveva essere all'epoca una necessità sentita. Anche Proust fa sostanzialmente la stessa cosa, e in modo diverso i surrealisti e tutti quelli affascinati dall'epifania dell'istante e nell'istante. Adesso l'ansia di arrestare l'attimo si è parecchio smorzata. Siamo diventati meno estatici e più discorsivi, è un fatto.

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  4. L'impressione è che anche il tempo ( compreso quello della scrittura ) oggi sia un mezzo o un mero oggetto di consumo..o di guadagno. La Woolf, Proust, Mann cercano, come osservi tu, nel tempo della loro scrittura, rivelazioni. Si avverte, leggendo le loro opere, di entrare nel Tempo più che in un tempo. Penso che ciò renda i loro scritti classici in cui non è difficile rintracciare i caratteri peculiari, universali della condizione umana. Forse il senso di vicinanza, sorpresa e gratitudine che si prova leggendo le loro opere può derivare anche da questo.

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