Da "Works" ( edizione ampliata ) di Vitaliano Trevisan
" In più, anzi soprattutto, ed è un altro comune fraintendimento, si crede, anzi si dà per scontato, che chi scrive voglia comunicare, abbia cioè un qualcosa, un oggetto, che ha necessità di essere comunicato, ovvero, volendo parlare con lingua diritta, di essere venduto; e ancora, procedendo nella addizione, in negativo, si dà per scontato che il vero oggetto che l’autore vuole comunicare, al di là dell’oggetto libro e attraverso esso, sia in realtà l’autore medesimo. Anche questo è, purtroppo, del tutto normale, ma, in questo caso, qualcosa da aggiungere forse c’è. Comunicazione!, parola chiave dei tempi nostri attorno a cui ruota un insieme di rispettabili professionisti che fanno della contraffazione semantica una scienza. Se i cosiddetti "professionisti della comunicazione" comunicassero in modo semplice e chiaro non avrebbero alcuna ragione d’essere; lo stesso per i vari corsi di laurea, più o meno specialistici, e anche essi proliferanti, in scienze della comunicazione, dove tutto si insegna meno che a comunicare in modo chiaro e diretto, semmai il contrario. Ne escono giovani mostri addestrati a complicare e a manipolare il linguaggio, qualsiasi linguaggio, in modo tale che, allo stato attuale, ogni vera genuina umana conversazione, ovvero una pratica di relazione non contaminata dal germe della comunicazione, che non voglia perciò sempre necessariamente imporre (vendere) all’altro un oggetto, una verità, una sensazione, un’opinione, una visione del mondo eccetera, dove chi parla o scrive, voglia semplicemente esprimersi, è ormai praticamente impossibile, a partire da quella con se stessi. Non c’è dunque di che stupirsi se, nella produzione libresca, degli ultimi ultimi decenni, il novecentesco (cosiddetto) "flusso di coscienza" sia stato sostituito da quell’insopportabile, insostenibile, illeggibile "flusso di comunicazione", oltretutto interiore. Comunicare se stessi a se stessi, cioè vendersi e comprarsi da sé! Spesso inconsciamente. Altrettanto spesso consciamente. Più spesso ancora, come per un sacco di altre cose, si sa ma ci si rifiuta di sapere. Ci basti dire, per chiudere con questa triste e penosa digressione, che allo stato attuale lo scrivere, il pubblicare, l'andare in scena eccetera, non sono affatto un fine, ma un mezzo, uno degli elementi che concorrono a una più complessa e per definizione, subdola strategia di comunicazione, ovvero di marketing, di cui l’autore, che si crede un marchio, è un marchiato, è al tempo stesso oggetto e soggetto. La critica, quando non addormentata, non aiuta, anzi al contrario, si affanna a fabbricare adeguate teorie che arrivano al punto da considerare la strategia di vendita, ovvero il packaging artistico intellettuale, spessissimo disgustosamente corretto (prugna?), come opera in sé, trasformando così il contenitore in contenuto. Del resto, in un’epoca quale la nostra, in cui tutto si trasforma inesorabilmente in merce, non deve stupire che anche per le teorie letterarie artistiche esista un florido quanto asfittico mercato."