giovedì 27 gennaio 2022

Rapsodia op.53, Brahms

                                                                                                                     Dal blog L'opera al cinema 


(...) Ad uno ad uno, nel buio, si avvicinano i fantasmi che sono i nostri compagni. La nostra squadra è una buona squadra: abbiamo un certo spirito di corpo, non ci sono novellini maldestri e piagnucolosi, e fra noi corre una ruvida amicizia. Al mattino, fra noi, è usanza salutarsi con etichetta: buongiorno Herr Doktor, salute a Lei signor Avvocato, come ha passato la notte signor Presidente? Le è piaciuta la prima colazione? Arrivò Lomnitz, antiquario di Francoforte; arrivò Joulty, matematico di Parigi; arrivò Hirsch, misterioso affarista di Copenaghen; arrivò Janek l’Ariano, gigantesco ferroviere di Cracovia; arrivò Elias, nano di Varsavia, rozzo, matto e probabilmente spia. Da ultimo come sempre, arrivò Wolf, farmacista di Berlino, curvo adunco ed occhialuto, mugolando un motivo musicale. Il suo naso giudaico fendeva l’aria torbida come la prua di una nave: lui lo chiamava, in ebraico, "Hutménu", "il nostro sigillo".

- Ecco che viene l’incantatore, l’ungitore delle scabbie, - annunciò cerimoniosamente Elias: - Benvenuto fra noi, Eccellenza Illustrissima, Hochwohlgeborener. Ha dormito bene? Quali sono le notizie della notte? Hitler è morto? Sono sbarcati gli inglesi?

Wolf prese il suo posto nella fila; il suo mugolio andò crescendo di volume, si arricchì e colorò nei toni, ed alcuni fra i suoi compagni riconobbero le battute finali della Rapsodia op. 53 di Brahms. Wolf, quarantenne, uomo chiuso e dignitoso, viveva di musica: ne era compenetrato, motivi sempre nuovi si inseguivano dentro di lui, altri sembrava aspirarli estraendoli dall’aria del campo, attraverso il suo celebre naso. Secerneva musica come i nostri stomaci secernevano fame: riproduceva con accuratezza (ma senza virtuosismi) i singoli strumenti; ora era violino, ora flauto, ora era direttore d’orchestra e tutto accigliato dirigeva se stesso.

Qualcuno ridacchiava e Wolf (Wolef, se pronunciato alla maniera yiddisch) accennò stizzito di fare silenzio: non aveva ancora finito. Cantava intento, curvo in avanti, con gli occhi al suolo; in breve, accanto a lui, spalla contro spalla, si formò un crocchio di quattro o cinque compagni, nella sua stessa posizione, come se attingessero calore da un braciere ai loro piedi. Wolf da violino si fece viola, ripetè tre volte il tema in tre varianti gloriose, e poi lo estinse in un ricco accordo finale. Si applaudì discretamente da solo: altri si unirono all’applauso, e Wolf si inchinò con gravità. L’applauso si spense, ma Elias continuò a battere le mani con violenza, gridando: - Wolf, Wolef! Viva Wolef, Rognawolef. Wolef è il più in gamba di tutti, e sapete perché?

Wolf, ritornato alle dimensioni di un comune mortale, guardava Elias con diffidenza.

- Perché ha la scabbia e non si gratta! - disse Elias. - E questo è un miracolo: benedetto sii Tu, Signore Iddio nostro, Re dell’Universo. (...)

Wolf saltò indietro, cercando simultaneamente di respingere Elias: ma questi, che era più basso di Wolf di tutta la testa, spiccò un balzo e gli si avvinghiò al collo: tutti e due crollarono a terra, nel fango nero; Elias era di sopra, e Wolf boccheggiava mezzo soffocato. Alcuni cercarono di interporsi, ma Elias era forte, e stava abbarbicato all’altro con braccia e gambe, come un polipo. Wolf si difendeva sempre più debolmente, tentando di colpire Elias con calci e ginocchiate sferrati alla cieca.

Per fortuna di Wolf, arrivò il Kapo, somministrò salomonicamente pedate e pugni ai due aggrovigliati al suolo, li separò e mise tutti in fila: era l’ora di partire in marcia per il lavoro. L’incidente non era di quelli memorabili, ed infatti fu presto dimenticato, ma il nomignolo Rognawolf ( "Krätzewolf ") aderì tenacemente al personaggio, incrinandone la rispettabilità, ancora molti mesi dopo che della scabbia era guarito, ed esonerato dalla carica di ungitore. Lui lo portava male, soffrendone visibilmente, e contribuendo così a non lasciarlo svanire.

 

Venne infine una timida primavera, ed in uno dei primi periodi di sole ci fu un pomeriggio di domenica senza lavoro, fragile e prezioso come un fiore di pesco. Tutti lo passarono dormendo, i più vitali scambiandosi visite da baracca a baracca, o studiandosi di rammendarsi gli stracci e di attaccarsi i bottoni con filo di ferro, o limandosi le unghie contro un ciottolo. Ma da lontano, coi capricci del vento tiepido e odoroso di terra umida, si sentiva venire un suono nuovo, un suono così improbabile, così inatteso, che tutti levarono il capo per ascoltare. Era un suono esile come quel cielo e quel sole, e veniva di lontano sì, ma dall’interno del recinto del campo. Alcuni vinsero la loro inerzia, si misero in caccia come segugi, incrociando con passo impedito e con le orecchie tese: e trovarono Rognawolf, seduto su una pila di tavole, estatico, che suonava il violino. Il "suo sigillo" vibrava teso al sole, i suoi occhi miopi erano perduti al di là del filo spinato, al di là del pallido cielo polacco. Dove avesse trovato un violino era un mistero, ma i veterani sapevano che in un Lager può capitare tutto: forse l’aveva rubato, forse noleggiato per pane.

Wolf suonava per sé, ma tutti quelli che passavano si fermavano ad ascoltare con un’espressione golosa, come di orsi che fiutino il miele, avidi timidi e perplessi. A pochi passi da Wolf stava Elias, sdraiato con la pancia al suolo, e lo fissava quasi incantato. Sul suo volto da gladiatore ristagnava quel velo di stupore contento che si nota qualche volta sul viso dei morti, e fa pensare che veramente abbiano avuto, per un istante, sulla soglia, la visione di un mondo migliore.

(Primo Levi, Il nostro sigillo, da "Lilit e altri racconti", edizione Einaudi 1981, pagine 30-34)


qui per la Rapsodia op.53 di Brahms


... Ist auf deinem Psalter,

Vater der Liebe, ein Ton

seinem Ohre vernehmlich

so erquicke sein Herz!

(...)

(è sul Tuo libro dei salmi, Padre dell'Amore, un tono percettibile alle sue orecchie; dunque rianima il suo cuore! Apri lo sguardo offuscato sulle migliaia di fonti vicino all'assetato, nel deserto.)

(testo di Wolfgang Goethe, da Harzreise im Winter)


2 commenti:

  1. Goethe, Brahms, Primo Levi...i riferimenti che hai preso rendono questo post così bello e interessante che le parole sembrano inutili.

    Siamo nel giorno in cui dobbiamo ricordare un dramma enorme e una guerra in Europa che ha portato 50 milioni di morti (la fonte è il Tribunale di Norimberga) fra entrambi i contendenti (e di questi 20 milioni di morti solo in Russia, iù tutti gli altri). Ricordare in modo che un dramma del genere non si ripeta mai più.

    Sai, allargando il discorso, ci sarebbe da riflettere sul fatto che il Franchismo in Spagna, il Nazismo, il Fascismo, il Collaborazionismo Francese e il Comunismo non sono nati in America, in Sud America o nel terzo mondo. Tutti questi "ismi" sono nati in Europa, tutta roba pesante e drammatica...

    Un salutone e la scelta musicale è veramente molto bella

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  2. È una pagina bellissima È tratta da un racconto compreso in una raccolta poco nota di Levi che Giuliano mi ha fatto scoprire.
    Ho riportato un post che Giuliano aveva pubblicato in uno dei suoi blog.
    La musica e il suo potere rasserenante anche nella miseria e nella costrizione di un lager: un micromiracolo!
    Grazie e buona serata 👋🤗

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