Da "giulianocinema"
Fotogramma di "Nosferatu", Phantom der Nacht (1979) Scritto e diretto da Werner Herzog
Nella storia del cinema, il film con il maggior numero di gatti è senza ombra di dubbio “L’Atalante” di Jean Vigo (1934): nella chiatta che naviga lungo la Senna ce ne sono così tanti che si meriterebbero un censimento, e un giorno di questi lo farò per davvero, perché è una di quelle imprese titaniche che prima o poi vanno pur affrontate. Ma, appunto per questa sua caratteristica, “L’Atalante” si merita un discorso a parte.
Oggi invece comincio da queste due fiere pericolosissime, autentici guardiani della soglia, che danno inizio ad un film che probabilmente le anime sensibili non hanno mai visto; e quindi sto rendendo loro un servizio per il quale mi saranno grate.
Il film è “Nosferatu” di Werner Herzog (1978), e il ritratto con il quale stanno giocando è quello di Isabelle Adjani, molto somigliante.
Fotogrammai di "Nosferatu", Phantom der Nacht (1979) Scritto e diretto da Werner Herzog
Nel film i gattini esauriscono qui la loro parte (complimenti per la recitazione) e non li vedremo più; il ritratto di Isabelle giocherà invece un ruolo importante nello svolgimento della vicenda, e chi conosce la storia se lo ricorderà.
Del resto, il gatto non è soltanto un tenero batuffolo di pelo, e chi ci vive insieme ha avuto le sue esperienze in proposito; in questo senso, l’accostamento con un’altra belva, come il vampiro, ci può stare. (...)
Questo gattino molto piccolo, quasi un neonato, viene da “L’eterna illusione” di Frank Capra (
You can’t take it with you, 1938) ed ha una funzione molto importante: il fermacarte.
Si tratta di uno dei film più divertenti di Capra, il gattino abita in una simpatica “casa di matti” dove tutti sono decisamente eccentrici: qui vediamo la signora Penny Sycamore (l’attrice si chiama Spring Byington) mentre sta scrivendo un importantissimo romanzo, e un fermacarte le è assolutamente indispensabile. Il gattino svolge egregiamente la sua funzione, recita benissimo, e solo alla fine della sua scena si lascia sfuggire un “miao” che sa tanto di richiesta d’aiuto: ma è così piccolo che ci può stare, e anzi funziona benissimo.
L’altro gattino, che sembra un suo gemello, è svedese e recita in “Hets” (“Spasimo”, “Tormento”) un film del 1944 di Alf Sjöberg, che ha la caratteristica di essere stato scritto da Ingmar Bergman, al suo debutto assoluto nel mondo del cinema. Bergman scrive soggetto e sceneggiatura, e forse anche questo gattino è dovuto ad una sua invenzione (ma non è detto, sono piccole furbizie che si sono sempre fatte). Si tratta di un gattino molto fortunato, che avrà fatto sospirare d’invidia molti spettatori: è infatti nello stesso letto con Mai Zetterling, giovanissima e molto carina. Il film è drammatico, somiglia un po’ a “L’attimo fuggente” di Peter Weir e un po’ a “M” di Fritz Lang; e la parte del gattino non finisce qui, e anzi gli spetta ancora spazio nel finale, dove andrà a rappresentare la speranza, e la vita che continua.
Un terzo gatto lo prendo non dal cinema ma da un documentario della TSI (Svizzera Italiana) su Philip Glass e su Bob Wilson, realizzato nel 1992 per una ripresa dell’opera “Einstein on the beach”. L’ho registrato tanti anni fa, mi capita spesso di rivederlo, è molto buffo e mi coglie sempre di sorpresa. Eccolo qua in sequenza: il gatto non c’è, il gatto c’è, il gatto si guarda in giro e decide che va tutto magnificamente e si può continuare il sonnellino. Sul pianoforte, naturalmente: e dove, se no?