mercoledì 30 gennaio 2019

Fumo e fuoco, giardini e frutteti


Due frammenti di autori diversi, che colpiscono per le descrizioni di qualcosa di apparentemente anomalo. C'è ancora qualcuno, oggi, che usa questi metodi in agricoltura?

1.
Kòvrin arrivo da Pesòckij alle dieci di sera. Trovò Tànja e sua padre, Egòr Semënič, in grande agitazione. Il cielo chiaro, stellato, e il termometro preannunziavano il gelo per la mattina dopo, e intanto il giardiniere Ivan Karlyč era andato in città e non c’era altri di cui fidarsi. A cena si parlò solo del gelo della mattina seguente e fu deciso che Tanja non si sarebbe coricata e all’una sarebbe andata in giardino a vedere se tutto fosse in ordine, ed Egòr Semënič si sarebbe alzato alle tre ed anche prima. Kòvrin passò con Tanja tutta la sera e dopo mezzanotte andò con lei in giardino. Faceva freddo. Nella corte si sentiva già un forte odore di bruciato. Nel frutteto, che era chiamato il giardino commerciale e che dava ad Egòr Semënič migliaia di rubli di prodotto netto ogni anno, si stendeva, proprio a livello della terra, un fumo nero, denso e pungente che, avvolgendo gli alberi, salvava queste migliaia di rubli dal gelo. Gli alberi erano lì in ordine come su di una scacchiera e le loro file erano diritte e regolari come ranghi di soldati; questa regolarità pedantesca e il fatto che tutti gli alberi erano della stessa altezza e avevano corone e rami del tutto eguali rendevano il quadro uniforme e perfino noioso. Kòvrin e Tànja andavano tra le file degli alberi, dove bruciavano delle piccole cataste di letame, di paglia e di ogni specie di rifiuti, e di tanto in tanto incontravano operai che vagavano nel fumo come ombre. Erano fioriti soltanto i susini e alcune specie di meli, ma tutto il giardino affondava nel fumo e solo nei pressi della serra Kòvrin poté respirare a pieni polmoni.
«Già quando ero ragazzo starnutivo qui per il fumo, » disse scrollando le spalle. « Ma ancor oggi non ho capito come questo fumo possa salvare dal gelo. »
«Il fumo sostituisce le nuvole quando mancano, » rispose Tànja.
«E a che servono le nuvole? »
« Col tempo scuro e nuvoloso non si produce il gelo della mattina. »
«Ah , capisco! »

Anton Cechov, da "Il monaco nero" (1894), dal secondo volume dei Racconti nell'edizione tascabile Garzanti, traduzione di Ettore Lo Gatto


2.
E c’era anche un sentiero di terra nera, ben battuto, che si addentrava in mezzo agli alberi. Quando Tiburius vi mise piede, non poté non pensare a quel pazzo del piccolo dottore, che un terriccio così per i suoi rododendri e la sua erica doveva ricavarlo dalla combustione di sostanze diverse, mentre lì si trovava già in natura; senza contare poi che in quel luogo, ai piedi degli alberi, vedeva fiorire un’erica molto più bella di quella coltivata dal dottore nei suoi vasi. Si ripromise di parlargliene, una volta tornato a casa.

Adalbert Stifter, Il sentiero nel bosco, pag.50 ed.Adelphi, traduzione di Margherita Belardetti


(fermo immagine da "Lo specchio" di Andrej Tarkovskij)






lunedì 28 gennaio 2019

Un aneddoto giapponese




Un artista giapponese, incaricato da un americano di fargli un quadro, dipinse in un angolo in basso il ramo di cilegio con pochi fiori e un uccello appollaiato, lasciando tutto il resto bianco. L'acquirente, insoddisfatto, gli chiese di aggiungere qualcosa perchè così gli sembrava troppo vuoto. L'artista rifiutò. Alla pretesa di una spiegazione rispose che se avesse riempito il quadro l'uccello non avrebbe avuto spazio per volare.


in "La fine della neve" di Ottavio Fatica

(immagine reperita in rete, priva di indicazioni sull'autore )

sabato 26 gennaio 2019

La falda di Milano



Nei primi tempi del digitale terrestre guardavo spesso Rai Storia (oggi non più, la programmazione è di molto peggiorata), che trasmetteva cose interessanti, spesso mai viste o troppo presto dimenticate, incluse le repliche di documentari e servizi tg di anni passati. Tra questi servizi di cronaca replicati (ma per chi non ha mai visto quella trasmissione una replica equivale a una prima visione, sembra ovvio ma vaglielo a spiegare) ne ricordo uno che parlava della falda di Milano, datato a metà anni '70. Milano sorge sopra una grande falda d'acqua, a tutti gli effetti un enorme lago sotterraneo; la stessa cosa capita a molte città e paesi poco a sud delle Alpi, inclusa la zona dove abito io nel comasco. In quella trasmissione ci si preoccupava del calo di livello della falda, un calo vistoso e preoccupante non solo per l'approvvigionamento di acqua potabile ma anche per il pericolo di frane e smottamenti. Oggi invece succede questo: che la falda è tornata a crescere, e in modo così abbondante che bisogna tenere sempre tenere in funzione le pompe per evitare che si allaghino le stazione della metropolitana (soprattutto la linea verde, che porta alla Stazione Centrale). Le due informazioni sono dunque in contrasto fra di loro, e mi immagino già - se solo l'argomento non fosse caduto assai presto nel dimenticatoio - i soliti commenti dei qualunquisti sugli "espertoni" che poi ne sanno meno di noi e che sbagliano le previsioni. Non è così: sono passati quarant'anni, e in questi quarant'anni abbondanti di cose ne sono successe tante. La più visibile, e probabilmente la più importante, è la chiusura delle grandi fabbriche che circondavano Milano, e che pompavano molta acqua dalla falda. Non una cosa da poco: si tratta delle raffinerie di petrolio dei Moratti, dell'Alfa Romeo, delle acciaierie Falck a Sesto. Un'acciaieria ha bisogno di una quantità enorme di acqua, per chi non lo sapesse; e oggi l'acciaieria non c'è più, da molti anni, mentre invece era ancora in piena attività quando fu realizzato quel servizio del telegiornale. Al posto delle raffinerie, a Rho e a Pero, c'è la nuova sede della Fiera di Milano; al posto dell'Alfa Romeo c'è un ipermercato; a Sesto San Giovanni sono in gioco speculazioni edilizie di vario tipo. Insomma, la falda ha tutte le ragioni di crescere, visto che le fabbriche che pompavano acqua sono state chiuse tutte.
Sembrerebbe una favola a lieto fine, allagamento del metrò a parte, se non fosse per un dettaglio non da poco: le falde sotterranee si riempiono con le precipitazioni atmosferiche (acqua e neve) che penetrano nel terreno, e con l'acqua che arriva dalle montagne. In questi anni c'è stata una grande siccità, nevai e ghiacciai si riducono sempre di più; e le precipitazioni atmosferiche non penetrano più nel terreno perché abbiamo asfaltato e cementato quasi tutto, e l'acqua piovana va direttamente nei condotti delle fogne (spesso allagando tutto, perché le "bombe d'acqua" non sono gestibili dai tombini) quindi senza più penetrare nel terreno. Se a questo si aggiunge l'inquinamento del terreno (in Lombardia la cronaca ci ha portato notizie terribili in proposito), non c'è molto da stare allegri. Nell'estate 2017 a Parma (a Parma, in zona Po) è stata razionata l'acqua potabile per mesi, a causa della siccità; qui in Lombardia ho ascoltato al tg dei politici di governo in Regione dire "da noi non c'è problema perché abbiamo la falda". Beh, speriamo che duri la pacchia. Cos'altro dire?


(nella foto, l'expo di Milano del 1906)

giovedì 24 gennaio 2019

Matching mole




Il gioco di parole è riservato a chi parla diverse lingue: Robert Wyatt faceva parte dei Soft Machine; in francese Soft Machine si traduce Machine Molle, che letto all'inglese diventa Matching Mole - almeno nelle intenzioni di Wyatt. Dato che in inglese "mole" è la talpa, ecco spiegato il disegno simpatico sulla copertina del primo lp dei Matching Mole, il gruppo che Wyatt fondò dopo aver lasciato i Soft Machine (diventati dei jazzmen troppo seri e seriosi per i suoi gusti): una talpa che sta affrontando il suo avversario in un match di pugilato.


Il disegno è opera dell'ottimo Alan Cracknell; i Matching Mole ebbero vita breve ma solo perché a Wyatt toccò un grave incidente, che lo rese paraplegico. Sui loro due lp ci sono comunque delle piccole perle che sarebbe un peccato dimenticare (qui)
Robert Wyatt riprese presto a fare musica, e da allora non ha mai smesso - per nostra fortuna. Il suo primo lp dopo l'incidente è un altro gioco di parole: "Rock bottom", il fondale roccioso del mare disegnato da sua moglie Alfie per la copertina, oppure "Culo di pietra". Uno scherzo del destino, ma anche sulla sedia a rotelle Wyatt appare sempre sorridente, e disposto a scherzare - come ha sempre fatto, d'altronde.

(qui per Rock bottom)

martedì 22 gennaio 2019

Minou


Minou non l'ho mai presa in mano, e del resto non si è mai fatta avvicinare; viene in giardino, mangia, ma sempre timorosa e pronta a scappare via e a nascondersi. L'ho chiamata Minou perché era piccolina, indifesa, minuscola; mi ci sono affezionato perché il musetto è quasi identico a quella di Ciccetta, sua sorella maggiore di un anno e qualche mese - sorella alla maniera dei gatti di strada, s'intende. Ciccetta, nata nell'estate del 2016, mi si è attaccata subito senza nemmeno che io le facessi caso; Minou - trattata allo stesso modo, nata a settembre 2017 - invece non mi vuole proprio vedere. Me ne farò una ragione: appena può, appena le è fisicamente possibile, Minou (che è così minuta che fa fatica a salire sulle piante e ad arrampicarsi sui tetti) abbandona il mio giardino e se ne va a vivere nella colonia di gatti del parcheggio qui accanto. Per più di un anno la vedo solo da lontano: si è fatta, inaspettatamente, un bel gattone grosso con qualche reminiscenza di persiano (anche in questo simile a Ciccetta, che però d'inverno diventa un persiano vero), e anche la coda, che prima era poca cosa, è diventata una coda maiuscola, lunga e ricca. Minou rimane simpatica anche per alcuni comportamenti sociali: cura i piccoli non suoi (figli della mamma Gatta), è attaccata alla mamma Gatta che continua a passarle la lingua sulla testolina (ormai non più testolina), è a tutti gli effetti un gatto affettuoso e va d'accordo con tutti. Un dettaglio mi incuriosisce: non è mai rimasta incinta, chissà perché. Forse l'essere nata tardi, l'aver affrontato l'inverno, la debolezza di quand'era micetto? 
Poi, a settembre, torna da me e fa compagnia a mamma Gatta; fa tenerezza, alla Gatta abbiamo appena rubato i nuovi piccoli, mamma Gatta si sente sola, Minou le sta vicino. L'altra sera, sembrava che pregassero: sul tetto del garage, intente a prendere un po' di sole, appena scalate l'una rispetto all'altra, entrambe in posa di sfinge.
Infine, d'improvviso, l'altra mattina esco di casa e trovo qualcosa che sconvolge tutta la mia visione della storia: colpo di scena, Minou è un maschio. Inequivocabilmente maschio, non vi dico come lo so ma penso che l'avrete già capito con abbondanza di particolari. Chi l'avrebbe mai detto, la vita è piena di sorprese. Esistono anche maschi gentili, perfino tra i gatti; che esistessero dei gatti capaci di fare il papà lo sapevo già da tempo e ne ho perfino le prove, ma di questo scriverò un altro giorno.



domenica 20 gennaio 2019

Sinfonia Leningrado


Cauto, Šostakovič aprì l'involto. Per alcuni secondi fissò il contenuto, immobile; quindi si alzò di scatto dallo sgabello. " Carta pentagrammata!" gridò, sollevandola sopra la testa. " E quanta! In nome del cielo, dove l'ha rimediata? Di questi tempi sarebbe più facile trovare la fine dell'arcobaleno! "
Elias avvampò. " La metto da parte dai tempi delle lezioni di composizione al Conservatorio. Sa, scrivere non è mai stato il mio forte". (...)
" Potrebbe trattenersi ancora un minuto?" gli chiese Šostakovič , radioso. " Un paio di giorni fa ho finito un'opera... il primo movimento, almeno ". Ma non aspettò la risposta di Elias. Afferrò alcuni fogli che aveva lasciato accanto al pianoforte, a cui si avvicinò con lo sgabello. Quindi tenne per un momento le mani sospese sopra la tastiera e poi cominciò a suonare.
Mentre le note si levavano a costruire un solido muro, Elias rimase immobile (...). Šostakovič muoveva le labbra, e pestava sui tasti quasi fossero fatti d'acciaio, anziché d'avorio. Di tanto in tanto le sue mani si sovrapponevano. La sinistra scavalcava la destra, per poi tornare al suo posto.
Il tema della marcia crebbe di volume, e il piano prese a tremare. I fogli balzarono via dal leggio e volarono in aria. Ma Šostakovič non stava più guardando lo spartito; il suo viso quasi toccava la tastiera, gli occhiali sospesi sulla punta del naso. Poi, nel bel mezzo di una frase ripetuta selvaggiamente, si fermò. L'unico suono rimasto era l'acciottolio dei piatti proveniente dal soggiorno.
Il compositore si tirò su gli occhiali e raddrizzò la schiena, il respiro affannoso. " Poi verrà un assolo di fagotto. Una sorta di elegia. Ma non rende, al pianoforte."
Finalmente Elias potè abbandonare quella sedia. Aveva le dita rosse e piene di solchi, a forza di stringere il legno.
" E'... Oh, è... " Ma d'un tratto la stanza divenne confusa; svelto si strofinò gli occhi. " E' una sinfonia?"
" Si,, anche se all'inizio non lo sapevo. Ho cominciato a lavorarci durante le prime settimane dell'avanzata tedesca".
" Una sinfonia di guerra. Per Leningrado."

da Sinfonia Leningrado di Sarah Quigley - ed. Neri Pozza -


Nel Giugno 1941 l’esercito tedesco entra in URSS e dal settembre 1941 Leningrado è sotto assedio. Šostakovič chiede di essere inviato al fronte ma la sua domanda viene respinta; il musicista viene però impiegato nel corpo dei pompieri per difendere i tetti del Conservatorio dalle bombe incendiarie.

Šostakovič procrastina il momento in cui raggiungere i principali artisti già sfollati in zone più sicure. Sta scrivendo una nuova composizione e vuole rimanere nella sua città. E’ così che nella città assediata prende forma la Settima sinfonia. Šostakovič termina di scriverla a Kuybyshev dove viene eseguita per la prima volta.


soldato acquista biglietti per la 7° sinfonia 

Il 9 Agosto 1942 la Settima risuona anche nella Sala della Filarmonica di Leningrado, eseguita dai musicisti dell’Orchestra della Radio diretti da Karl Eliasberg. Verranno sistemati degli altoparlanti nella periferia della città, rivolti verso i soldati tedeschi, per far sentire loro che Leningrado continua a vivere. L’opera diventa il simbolo della resistenza sovietica.


Il primo movimento, Allegretto, nella parte iniziale, ”parla del popolo che vive una vita pacifica e felice" Nella parte centrale “ la guerra irrompe improvvisamente nella vita pacifica” ma Šostakovič non vuole costruire " un episodio naturalistico con tintinnare di sciabole, esplosioni..." ma comunicare l'impatto emotivo della guerra. E’ così che prende forma un tema di marcia meccanico, ostinato.
" Il secondo e il terzo movimento non hanno un programma definito: si tratta di una musica lirica incaricata di ridurre la tensione. Shakespeare sapeva bene che non si può tenere l'uditorio in tensione per tutto il tempo ".
" Il terzo movimento è un Adagio patetico, il centro drammatico dell'intero lavoro.” 
Il quarto movimento, Allegro non troppo, porta verso la conclusione liberatoria, passando attraverso momenti drammatici che vanno attenuandosi nella parte centrale del movimento dove prevale il tono malinconico del compianto funebre. Prende forma dunque il crescendo conclusivo dove ricompare il primo tema del movimento.
n.b. in corsivo le considerazioni di Šostakovič

Qui una guida all'ascolto della settima sinfonia


Eliasberg mentre dirige l'orchesta radiofonica 


Qui un video sull'assedio di Leningrado. Al min.5.30" le immagini di Šostakovič mentre compone la 7° sinfonia e del direttore d'orchestra Eliasberg che la esegue durante l'assedio.

Qui la celebre marcia della settima sinfonia


"… ogni nota che esce dalla nostra penna è un progressivo investimento nella possente edificazione della cultura. E tanto migliore, tanto più meravigliosa sarà la nostra arte, tanto più crescerà la nostra certezza che nessuno mai sarà in grado di distruggerla. "

Dmitri Šostakovič alla radio di Leningrado, 16 Settembre 1941

venerdì 18 gennaio 2019

La gazza ladra

(da "Guida agli uccelli d'Europa", Muzzio editore)
(il verde sulla coda della gazza è un difetto di stampa, si tratta sempre di nero)

Le gazze qui vicino fanno un gran baccano, ga-ga-ga-ga, sembrano non voler smettere e chissà che cosa hanno da dire: forse una protesta?
So che a molti le gazze non piacciono, avranno le loro ragioni (sono un po' parenti di corvi e cornacchie, anche se da loro molto diverse) ma devo dire che dal punto di vista estetico la gazza mi piace, è bella da vedere così snella ed elegante, con la coda lunga e le piume bianche e nere che sembrano quasi un'uniforme. Guardando le gazze chiassose (chissà cosa avranno da dire, mentre le guardo cerco di capire ma non ci riesco) mi sono tornate alla memoria un paio di cose e le scrivo qui anche per scaricarle - magari dopo non ci penso più, è un sistema che uso spesso.

mercoledì 16 gennaio 2019

L'apparizione di un mostro marino



Corriamo, fuggiamo dal mostro spietato! Chi, perfido fato, più crudo è di te?
(Pietro Metastasio, riveduto da Caterino Mazzolà, Idomeneo finale atto II)

L'apparizione di un mostro marino: di solito si usano pieni orchestrali, effetti speciali, tuoni e fulmini, mare in tempesta. Nel suo "Idomeneo", Mozart usa la strada opposta: alla notizia dell'approssimarsi del mostro, la spiaggia di Creta d'improvviso si vuota, tutti corrono via e regna improvviso il silenzio. E' un effetto notevole, non so come venga in disco ma l'ho ascoltato alla Scala nel dicembre 1990 sotto la direzione di Riccardo Muti, e posso assicurarvi che fa impressione. ( qui nella versione diretta da Colin Davis).
E' un finale d'atto, in calando invece che in concertato o con gli strumenti a ribattere sulla dominante; si tratta infatti di una tragedia privata prima che pubblica. Il Re di Creta, Idomeneo, come nelle fiabe, pur di tornare salvo in patria (dalla guerra di Troia) ha offerto in sacrificio agli dèi la prima persona che avrebbe trovato sulla spiaggia al suo ritorno. E questa persona è inaspettatamente suo figlio, Idamante. Un dramma umano e una vicenda che ricordano molto quella di Alceste, che si offre alle divinità infere al posto dell'amatissimo marito, e che sarà salvata solo dall'intervento di Apollo (o di Ercole, secondo altre fonti). Alceste è protagonista di un'opera di Gluck, e a Gluck deve molto la prima grande opera di Mozart, appunto Idomeneo. Ma Idomeneo è anche un'opera molto personale, il non ancora venticinquenne Amadé ha appena iniziato un percorso che lo porterà ai più grandi capolavori. Aveva solo poco più di dieci anni da vivere: il suo personale mostro marino lo attendeva da tempo, in paziente silenzio, come il Colombre di Dino Buzzati.

 
(Mauro Carosi, bozzetto per Idomeneo 1990 alla Scala)
 

lunedì 14 gennaio 2019

Lentisco


La canzone è molto bella, e la musica è di Ravel; tutto a meraviglia, dunque. Però è da tanto tempo che mi chiedo, da lombardo immerso nelle nebbie: Ma poi che cos'è il lentisco, e perchè lo si raccoglie? Confesso che non ne sono ancora venuto a capo.


4. Chanson des cueilleuses de lentisques
(canto popolare greco, tradotto da Michel Dimitri Calvocoressi) (da "Cinque melodie popolari greche" di Maurice Ravel)
O joie de mon âme,
Joie de mon coeur,
Trésor qui m'est si cher;
Joie de l'âme et du coeur,
Toi que j'aime ardemment,
Tu es plus beau qu'un ange.
O lorsque tu parais,
Ange si doux
Devant nos yeux,
Comme un bel ange blond,
Sous le clair soleil,
Hélas! tous nos pauvres coeurs soupirent!

(Canto delle raccoglitrici di lentisco: O gioia della mia anima, gioia del mio cuore, tesoro che mi sei così caro; gioia dell'anima e del cuore, tu che io amo con ardore, tu che sei più bello d'un angelo. Oh, quando tu mi appari, angelo così dolce, davanti agli occhi, come un bell'angelo biondo, sotto il chiaro del sole, ahimè! il mio povero cuore sospira...)

qui per sapere cosa è il lentisco e perché lo si raccoglie
qui per la musica
qui per andare a trovare La Laura  (anche qui)

sabato 12 gennaio 2019

Nord


Le terre selvagge non amano il movimento. La vita le offende, poiché la vita è movimento ed esse  vogliono paralizzare  qualsiasi movimento vitale. Gelano  l'acqua per impedirle di correre al mare; inaridiscono la linfa degli alberi fino a gelare i loro possenti cuori e, ancor più ferocemente e spietatamente, si accaniscono contro l'uomo tentando di sottometterlo; l'uomo, l'essere dalla vita più movimentata, sempre in rivolta contro l'irrevocabile sentenza che ogni movimento debba, alla fine, concludersi con l'immobilità.

(fonte)
Jack, London, Zanna Bianca, ed. Newton Compton
Traduzione di Gino Serrato

giovedì 10 gennaio 2019

I polli non hanno ali




Davanti al papero di Copi, o al pollo, devo ammettere che continuo a rimanere perplesso; la stessa cosa mi capita con la Donna Seduta, il suo personaggio più famoso. Ma poi si ride, ci fa pensare, e spesso spunta anche la poesia. C'è la tragedia, ma in modo buffo. Copi portò in teatro le sue strisce, in primo luogo ovviamente "La Donna Seduta" (la interpretava lui stesso), e altri titoli come "I polli non hanno ali" o "Loretta Strong".




Copi era un argentino di Parigi, il suo vero nome era Raul Damonte e ci ha lasciati nel 1987; il suo nome letterario veniva dall'idea del copiare, la constatazione che nessuno di noi è del tutto originale. Come spiegava lui stesso: « ... in teatro, insomma, copiava i fumetti; nei fumetti copiava il teatro; e in entrambi copiava la vita. Non per niente si firmava Copi: "Vuol dire uno che copia e io sono un plagiario, come tutti".» (da un articolo di Giorgio Medail, Corriere della Sera 15.12.1987). Dato che viveva a Parigi, forse la pronuncia giusta è Copì, ma essendo anche un po' milanese e date le origini argentine, penso che si possa dire anche Copi. Io ho sempre detto Copi, ma ovviamente non ho la pretesa di essere perfetto. Del resto, fate voi: a me per oggi basta aver ricordato qualche piccolo momento di poesia, o forse di filosofia.



(i fumetti di Copi vengono dal mensile "Linus", annate 1967-68)

martedì 8 gennaio 2019

L'arresto di un pericoloso sovversivo



(...) dovrei forse descriverti qualche scenetta di vita paesana, se avessi del buon umore a sufficienza. Per esempio, potrei descriverti l'arresto di un maiale, trovato a pascolare illegalmente per le strade del paese e condotto regolarmente in prigione; il fatto mi ha divertito enormemente, ma sono sicuro che né tu né Giulia vorrete credermi; forse mi crederà Delka quando avrà qualche anno in più e sentirà raccontare la storiella insieme alle altre dello stesso tipo (quella degli occhiali verdi, ecc.) ugualmente vere e da credersi senza sorrisi. Anche il modo di arrestare il maiale mi ha divertito: lo si prende per le zampe di dietro e lo si spinge avanti come una carriola, mentre urla come un indemoniato. Non ho avuto modo di avere precise informazione sul come sia possibile identificare l'abusività del pascolo e del transito: penso che i sorveglianti all'igiene conoscano tutto il bestiame minuto del paese.

Antonio Gramsci, Lettere dal carcere; lettera del 15.1.1927 da Ustica, pag.41 edizione Einaudi 1975

(cartolina postale francese, 1905)

domenica 6 gennaio 2019

Jogging


La mattina presto, ma solo sabato e domenica, li vedo passare davanti alle finestre; oppure esco e mi tallonano da vicino come in una spy story. Ma non sono dietro di me, ansanti, per farmi del male: infatti mi sorpassano e se ne vanno, sudati e un po' scomposti, in mutande d'estate e in tuta firmata d'inverno. Che dire, è una bella cosa tenere in ordine il fisico. Io non ho più l'età per correre (artrosi, ahimè) e un po' li invidio, ma c'è qualcosa che non mi torna. Quello che non mi torna è questo: che vengono tutti da case nuove, costruite da pochissimi anni. Mi ricordo ancora i volantini dell'immobiliare che vendeva quelle villette: "la tua casa nel verde", dicevano. Tradotto in linguaggio comprensibile, significa che prima c'era il verde (campo coltivato, prosecuzione del bosco con un po' di robinie), ma ora c'è la tua casa e il verde non c'è più se non per qualche asfittico giardino. Ma quelli che fanno jogging, forse, credono di essere ecologici; stanno attenti ai sacchetti di plastica, comprano l'auto ibrida, fanno jogging, magari qualcuno è anche vegano. Di quel che c'era prima, prima della tua casa nel verde, a loro credo che non importi niente.

Io non sono vegano, cerco di stare attento a quello che mangio (nei limiti del possibile), ho un'auto che uso pochissimo, e i sacchetti di plastica continuo a usarli, finché posso: li uso e li riuso, anche per un anno, finché reggono, e poi li butto nella plastica (raccolta differenziata, qui si fa da decenni). E poi osservo i corvi, le gazze, le cornacchie: fino a qualche anno fa, fino a prima che costruissero "la tua casa nel verde", qui da me non venivano quasi mai, adesso li conosco uno per uno e potrei perfino dar loro un nome. Corvi, gazze e cornacchie vivevano sulle robinie: "la tua casa nel verde" ha sfrattato anche loro, ma a chi vuoi che importi, "baby we are born to run".


(la foto del curbàtt sul balcone è mia)

venerdì 4 gennaio 2019

Il tempo di Dorian e quello del convolvolo



Perché la sua giovinezza sarà così breve... così breve. I semplici fiori di campo appassiscono, ma ritornano a fiorire. Il prossimo giugno l'avorio sarà giallo come ora. Tra un mese questa clematide sarà ricoperta di stelle purpuree e un anno dopo l'altro la verde notte delle sue foglie racchiuderà altre stelle purpuree. Ma la nostra giovinezza, non ritorna mai, i palpiti di gioia che battono dentro di noi a vent'anni si fanno confusi, le nostre membra si indeboliscono, i sensi si corrompono. Degeneriamo in ripugnanti fantocci, nell'ossessione del ricordo di passioni che abbiamo troppo temuto e di squisite tentazioni cui non abbiamo avuto il coraggio di abbandonarci. Giovinezza! Giovinezza! Non c'è assolutamente nulla al mondo, fuorché la giovinezza!» Dorian Gray lo ascoltava meravigliato, a occhi spalancati. Dalle sue mani il ramo di lillà cadde sulla ghiaia; giunse un'ape vellutata, ronzò per un attimo intorno al grappolo, poi cominciò ad arrampicarsi sul globo ovale, stellato di piccoli fiori. La osservò con quello strano interesse per le cose prive di importanza che cerchiamo di sviluppare quando le cose importanti ci fanno paura, quando ci agita un'emozione nuova che non sappiamo esprimere, o quando un pensiero terrorizzante d'improvviso ci assedia la mente chiedendo la nostra resa. Dopo un poco l'ape volò via. La vide infilarsi nella tromba screziata di un convolvolo di Tiro. Il fiore parve rabbrividire, poi prese a oscillare dolcemente.


Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray
 


mercoledì 2 gennaio 2019

Le stagioni secondo Lewis Carroll

In winter, when the fields are white,
I sing this song for your delight...
dice Humpty Dumpty ad Alice, nel capitolo VI di Attraverso lo specchio; e aggiunge subito "io però non canto". Anch'io non canto (non so Humpty Dumpty, ma io è meglio se non canto) però questi versi li so ancora a memoria, anche dopo tanti anni da quando li ho imparati, e su richiesta potrei anche esibirmi. Alice è stato il primo libro che ho letto in inglese dall'inizio alla fine, poi non ho mai imparato bene la lingua ma qualcosa mi è rimasto comunque dentro, e una è questa "canzone" in bilico sul muro. Come tutte le poesie in versi è quasi impossibile tradurre, e già nell'inizio di questo post (In inverno, quando i campi sono bianchi, canto questa canzone per il tuo piacere)  ho perso per strada rima e ritmo; ma ci si può provare. Il soggetto, of course, sono le stagioni.

In winter, when the fields are white,
I sing this song for your delight.
In spring, when woods are getting green,
I'll try and tell you what I mean.
In summer, when the days are long,
perhaps you'll understand the song.
In autumn, when the leaves are brown,
take pen and ink and write it down.

(Humpty Dumpty ad Alice, capitolo VI di Attraverso lo specchio)


(John Tenniel, illustrazione originale per Lewis Carroll)