Canongate è uno dei tratti più quieti della Royal Mile, la via principale del centro storico di Edimburgo.
Il cavallo di Brunilde si chiama Grane (cfr. Richard Wagner, Il crepuscolo degli dèi). Nomen Omen? Noi speriamo di no...
martedì 31 luglio 2018
Canongate
Canongate è uno dei tratti più quieti della Royal Mile, la via principale del centro storico di Edimburgo.
domenica 29 luglio 2018
Perché tarda la luna?
L'invocazione alla Luna più famosa e importante è sicuramente "Casta Diva", dalla Norma di Bellini; però anche la Turandot di Puccini ha bella musica per la luna (la Luna Piena), forse anche troppo bella se si legge bene il testo. Nella Turandot, infatti, la luna piena segna il momento dell'esecuzione capitale del giovane Principe di Persia, che non è riuscito a risolvere i tre enigmi proposti dalla Principessa; la folla è in attesa, e per la folla si tratta di uno spettacolo, così come erano davvero le esecuzioni capitali, anche da noi in Europa (cosa che tendiamo a rimuovere e dimenticare). In questa crudeltà si può trovare un punto di contatto con Norma: nell'opera di Bellini (del 1831, su testo di Felice Romani) il popolo vuole infatti la guerra e spera che la luna piena porti battaglia (ma così non sarà). "Turandot" è una fiaba cinese tratta dal settecentesco Carlo Gozzi, ebbe la sua prima nel 1926 con i versi di Giuseppe Adami e Renato Simoni. La scena della luna è nel primo atto. (qui)
LA FOLLA (Coro)
Perché tarda la luna?
Faccia pallida, mostrati in cielo!
Presto, vieni, spunta, o testa mozza!
Vieni, amante smunta dei morti!
O esangue, o taciturna, o squallida,
come aspettano il tuo funereo lume i
cimiteri!
Ecco... laggiù... un barlume...
dilaga un cielo la sua luce smorta!
Il seguito è storia nota: il principe
Calaf, giunto da lontano, in esilio, è tra la folla; non gli piace
ciò che vede, ma deciderà comunque di sfidare la sorte. Nel secondo
atto scioglierà gli enigmi, ma rimetterà tutto in gioco quando
vedrà la rabbia e la delusione di Turandot. Il terzo atto si apre
con una delle pagine più famose nella storia dell'opera, la grande
scena e aria che culmina nel "Nessun dorma": Calaf viene da
lontano, nessuno conosce il suo nome, la sfida per Turandot è
appunto indovinare il nome dello straniero che l'ha sconfitta. A
questo scopo, tutti i suoi sudditi sono stati movimentati: prima
dell'alba, bisogna indovinare quel nome. E dunque questa sarà una
notte insonne, "nessun dorma", pena torture e morte, prima
dell'alba quel nome deve saltare fuori. Il principe ignoto riprende
la frase che circola tra la folla, "nessun dorma", e si
interroga sul suo futuro.
(la fotografia in alto è di Lejaren à Hiller, 1920 circa; nell'altra è ritratta l'attrice Marietta Milner, sempre degli anni '20)
venerdì 27 luglio 2018
«Non ho studiato l'ornitologia»
Quando fanno il loro nido in America i
pettirossi? L'uomo che ha sposato e che le ha dato un figlio ha
promesso di tornare quando fanno il nido i pettirossi, ma la ragazza
ha già visto tre volte i pettirossi rifare il nido e crescere i
piccoli. E' possibile che in America i pettirossi facciano il nido
meno spesso che in Giappone? E' questa la domanda che la
diciassettenne abbandonata rivolge al console americano, nel secondo
atto della Madama Butterfly di Puccini. La situazione ormai è
evidente a tutti, ma la ragazza non ci vuole credere, l'uomo che l'ha
amata così tanto non può averla lasciata per sempre. E' la
situazione che sfocerà nel famoso "coro a bocca chiusa"
che chiude il secondo atto, uno dei momenti più belli e toccanti di
tutto il teatro, non solo musicale.
Molto spesso i personaggi negativi,
nell'opera, hanno ottima musica. Intendiamoci: se sei un personaggio
di Mozart, buono o cattivo che tu sia, avrai sempre ottima musica.
Capita però davvero, nella nostra vita reale, che grandi mascalzoni
abbiano vita brillante e successo in amore, e anche la musica deve
tenerne conto. Due personaggi sicuramente negativi con musica
brillante e accattivante sono il Duca di Mantova (Verdi, Rigoletto) e
l'ufficiale di marina Pinkerton nella "Madama Butterfly" di
Puccini. Pinkerton, per quanto si possa amare la musica che Puccini
ha scritto per lui, è davvero un personaggio più che negativo: un
militare di passaggio in un porto esotico che si diverte con la
ragazzina giapponese (quindicenne: "quindici anni: l'età dei
giochi e dei confetti", dicono esplicitamente i due americani
quando lo vengono a sapere), poi se ne torna da dove è venuto come
se niente fosse, e si trova la sua "vera sposa americana".
Il dramma originario, scritto a fine '800 dall'americano David
Belasco, è infatti un testo di denuncia del colonialismo americano,
sia pure sotto forma di dramma esotico. L'opera di Puccini conserva
situazioni e personaggi, e il finale tragico, soprattutto se
ascoltato in teatro e con gli interpreti giusti, è di quelli che non
si dimenticano. Alla fine del primo atto il giovane ufficiale se ne
va, torna in America e lascia sul posto il suo povero amico, il
console Sharpless, che a un certo punto dovrà spiegare tutto a Cio
Cio San. Il dialogo è imbarazzante, la ragazza proprio non vuol
capire e le risposte del Console diventano sempre più goffe: «Non
ho studiato l'ornitologia...» è la risposta alla domanda della
giovane madre abbandonata: « Quando fanno il loro nido in America i
pettirossi? »mercoledì 25 luglio 2018
lunedì 23 luglio 2018
Una casa in cui abitare
Abito da sempre (con involontarie interruzioni) nella casa in cui sono nato: il mio modo di abitare non é stato quindi oggetto di una scelta. Credo che il mio sia un caso estremo di sedentarietà, paragonabile a quello di certi molluschi, ad esempio le patelle, che dopo un breve stadio larvale in cui nuotano liberamente, si fissano ad uno scoglio, secernono un guscio e non si muovono più per tutta la vita. Questo avviene più spesso a chi è nato in campagna; per i cittadini come me è senza dubbio un destino raro, che conduce a peculiari vantaggi e svantaggi. Forse debbo a questo destino statico l’amore mal soddisfatto che nutro per i viaggi, e la frequenza con cui il viaggio compare come topos in molti dei miei libri. Certo, dopo sessantasei anni di corso Re Umberto, mi riesce difficile immaginarmi che cosa comporti abitare non dico in un altro paese o in un'altra città, ma addirittura in un altro quartiere di Torino.
La mia casa si caratterizza per la sua
assenza di caratterizzazione. Assomiglia a molte altre case quasi
signorili del primo Novecento, costruite in mattoni poco prima
dell’avvento irresistibile del cemento armato; è quasi priva di
decorazioni, se si eccettuino alcune timide reminiscenze di Liberty
nei fregi che sormontano le finestre e nelle porte in legno che danno
sulle scale. E' disadorna e funzionale, inespressiva e solida: lo ha
dimostrato durante l’ultimo conflitto, in cui ha sopportato tutti i
bombardamenti cavandosela con qualche danno ai serramenti, e qualche
screpolatura che porta tuttora con l'orgoglio con cui un veterano
porta le cicatrici. Non ha ambizioni, è una macchina per abitare,
possiede quasi tutto ciò che è essenziale per vivere, e quasi nulla
di quanto è superfluo. (...)
Primo Levi, da "L'altrui mestiere", pagina 3 (il primo racconto, "La mia casa")
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sabato 21 luglio 2018
Checchina
Checchina saliva le scale. Ogni sera, puntuale, Checchina saliva le scale e si presentava alla porta; e non c'è niente di strano perché, si sa, tutte le galline ogni sera salgono la scala che le porta al pollaio. Di strano c'è che il pollaio eravamo noi (il nostro balcone, con una cassetta per la frutta ben attrezzata), e che per arrivare fino da noi bisognava fare quattro rampe di scale: allora si poteva, un po' tutti avevano conigli o galline (mio padre con i conigli aveva provato, poi aveva lasciato perdere: troppo da pulire, troppo delicati, e forse non aveva nemmeno la vocazione) e incrociare Checchina sulle scale (Checchina, ordinatissima e molto educata) non destava stupore. Io ero piccolissimo ma me la ricordo bene; un'americanella bianca, di quelle piccole ma efficientissime, un uovo al giorno non mancava mai.
Il nome glielo aveva dato mia nonna, quindi siamo prima del '63; in veneto (per parte di padre sono padovano-veneziano) Checchina non è neanche un nome, è un vezzeggiativo, un nickname, si può dire Checchina anche a una bimba, "cosa c'è, Checchina?" (ovviamente, i veneti non pronunciano le doppie: ma questo si sa). A quei tempi, il palazzo era ancora nuovo e il portoncino d'ingresso rimaneva spesso aperto, e c'era un gran via vai di adulti e bambini, eravamo in tanti e la gallina ne approfittava tranquillamente (no, non credo che suonasse il campanello: si sapeva che c'era, prima o poi le avremmo aperto, lei stava tranquilla sullo zerbino ad aspettare). Un giorno, a mio cugino Cesare regalano delle uova fecondate; Checchina le cova subito, non aspettava altro. Nascono tre pulcini, e siccome siamo in tre (mio fratello, mia sorella, e io) è il numero perfetto, un pulcino per uno. I tre pulcini però non sono di americanella: in poco tempo diventano galli e galline imponenti, quasi un anticipo (per me) di "Uova fatali" di Bulgakov. I polli diventano ingombranti, mica si possono far salire anche loro in casa; due vengono subito dati via (anche il mio, che tristezza: ma ormai cosa me ne facevo di un gallo alto mezzo metro?), la terza rimane "per le uova" ma farà una brutta fine, sgozzata da un mostro misterioso, faina o furetto; verrà regalata anche lei, nessuno voleva mangiarla. Quanto a Checchina, non ricordo che fine abbia fatto; credo proprio che non me lo abbiano detto ma di una cosa sono più che sicuro: nessuno ha avuto il coraggio di usarla per scopi alimentari. Sono quasi sicuro che mio padre l'abbia seppellita nell'orto, povera Checchina, con mia mamma ad aiutarlo, con sopra una piantina di fiori. Le galline, si sa, non vivono tanto; e neanche i canarini, ma questa è tutta un'altra storia. (Anche i conigli: mai mangiati conigli in casa mia, a meno che non fossero stati comperati).
(Giuliano Bovo, anno 2018)
(la foto della gallina con i pulcini viene dal sito Biozootec;
quella qui sopra è su youtube, digitare "mericanel della Brianza")
mercoledì 18 luglio 2018
Dugonghi e lamantini
- Capitano?
- Sì?
- Che cosa sono i dugonghi?
- Sono dei mammiferi che vivono nell'acqua, un po' come i vitelli di mare: belli sai, simpatici e anche molto intelligenti. Mangian solo verdura, e se non li infastidisci son mansueti.
- E i lamantini?
- Come i dugonghi, ma un po' più piccoli. Poi hanno la coda arrotondata, a spatola, laddove i dugonghi ce l'hanno più simile a quella dei cetacei, con due punte.
- Sì?
- Che cosa sono i dugonghi?
- Sono dei mammiferi che vivono nell'acqua, un po' come i vitelli di mare: belli sai, simpatici e anche molto intelligenti. Mangian solo verdura, e se non li infastidisci son mansueti.
- E i lamantini?
- Come i dugonghi, ma un po' più piccoli. Poi hanno la coda arrotondata, a spatola, laddove i dugonghi ce l'hanno più simile a quella dei cetacei, con due punte.
domenica 15 luglio 2018
Licene e gerani
Le licene (lycaenidae) sono proprio
belle. Molto piccole e molto belle, coloratissime e con disegni e
nuances inimmaginabili; e tutte molto diverse l'una dall'altra. Sono
così tante e così diverse che gli entomologi dilettanti le amano e
le cercano ovunque, in tutte le parti del mondo; uno di loro, il più
famoso, è stato Vladimir Nabokov che ebbe anche l'onore di veder
assegnato il suo nome a una specie da lui scoperta ( qui ).
Una volta era facilissimo trovarle, erano dappertutto; oggi sono
scomparsi i prati (cementati e asfaltati, o trasformati in
superstrade e cavalcavia) e buttano diserbanti dappertutto. Perciò
ero contento di trovarle sul balcone, le guardavo danzare e posarsi
sui fiori. Poi un giorno, di primavera, al momento di comperare i
fiori nuovi, ecco che mia mamma dice che non sceglierà più i gerani (pelargonium)
perché "c'è sempre dentro il vermetto". Guardo i gerani
sui banchi dei fioristi, al mercato, e mi sembrano belli, sani.
Impossibile che vendano i gerani "col vermetto dentro",
quindi ci deve essere una spiegazione. E la spiegazione (ci metto un
po' a trovarla, bisogna trovare il libro giusto e prima di internet
non era facile) è proprio davanti ai miei occhi: le licene.
venerdì 13 luglio 2018
Giraffe ( II )
Il signor Palomar allo zoo di Vincennes si ferma davanti al recinto delle giraffe. Ogni tanto le giraffe adulte si mettono a correre seguite dalle giraffe bambine, si lanciano alla carica fin quasi alla rete del recinto, girano su se stesse, ripetono il percorso a gran carriera due o tre volte, si fermano. Il signor Palomar non si stanca d’osservare la corsa delle giraffe, affascinato dalla disarmonia dei loro movimenti. Non riesce a decidere se galoppano o se trottano, perché il passo delle zampe posteriori non ha niente a che fare con quello delle anteriori. Le zampe anteriori, dinoccolate, si arcuano fino al petto e si srotolano fino a terra, come incerte su quali delle tante articolazioni piegare in quel determinato secondo. Le zampe posteriori, molto più corte e rigide, tengono dietro a balzi, un po’ di sbieco, come fossero gambe di legno, o stampelle che arrancano, ma così come per gioco, come sapendo d’essere buffe. Intanto il collo teso avanti ondeggia in su e in giù, come il braccio d’una gru, senza che si possa stabilire un rapporto tra i movimenti delle zampe e questo del collo. C'è poi anche un sobbalzo della groppa, ma questo non è che il movimento del collo che fa leva sul resto della colonna vertebrale. La giraffa sembra un meccanismo costruito mettendo insieme pezzi provenienti da macchine eterogenee, ma che pur tuttavia funziona perfettamente.
Il signor Palomar, continuando a
osservare le giraffe in corsa, si rende conto d’una complicata
armonia che comanda quel trepestio disarmonico, d’una proporzione
interna che lega tra loro le più vistose sproporzioni anatomiche,
d’una grazia naturale che vien fuori da quelle movenze sgraziate.
L’elemento unificatore è dato dalle macchie del pelo, disposte in
figure irregolari ma omogenee, dai contorni netti e angolosi; esse si
accordano come un esatto equivalente grafico ai movimenti segmentati
dell’animale. Più che di macchie si dovrebbe parlare d’un manto
nero la cui uniformità è spezzata da nervature chiare che s’aprono
seguendo un disegno a losanghe: una discontinuità di pigmentazione
che già annuncia la discontinuità dei movimenti.
A questo punto la bambina del signor
Palomar, che si è stancata da un pezzo di guardare le giraffe, lo
trascina verso la grotta dei pinguini. Il signor Palomar, cui i
pinguini danno angoscia, la segue a malincuore, e si domanda il
perché del suo interesse per le giraffe. Forse perché il mondo
intorno a lui si muove in modo disarmonico ed egli spera sempre di
scoprirvi un disegno, una costante. Forse perché lui stesso sente di
procedere spinto da moti della mente non coordinati, che sembrano non
aver niente a che fare l’uno con l’altro e che è sempre piu
difficile far quadrare in un qualsiasi modello d’armonia interiore.
(Italo Calvino, da "Palomar": La corsa delle giraffe, pag.80 edizione Einaudi 1983)
mercoledì 11 luglio 2018
Giraffe ( I )
Diciamo la verità: la giraffa è un
animale del tutto improbabile, anche più improbabile dell'elefante.
Se non l'avessimo mai vista fin da bambini, se non ci fossero stati
gli zoo e la tv, chi mai crederebbe all'esistenza di un animale così?
Se anche ve la descrivessero, come prima cosa accorcereste subito
quel collo e quelle zampe e la rendereste più simile a un cavallo, o
magari a un cammello ("Giraffa camelopardalis" è infatti il nome
scientifico di una delle specie, e del cammello è davvero un po' parente, almeno nel modo di masticare). E così hanno fatto
tutti i pittori e i disegnatori nei secoli passati, quando incrociare
una giraffa per le strade non era così comune come capita oggi
(oggi, quando anche i bambini di tre anni sanno come è fatta una
giraffa).
Curiosare fra i musei in cerca di giraffe dipinte non è facilissimo, non sono poi così tante le giraffe d'autore ma qualcosa si trova. Per esempio, queste
Curiosare fra i musei in cerca di giraffe dipinte non è facilissimo, non sono poi così tante le giraffe d'autore ma qualcosa si trova. Per esempio, queste
(Bernardino Luini, al Santuario di Saronno)
lunedì 9 luglio 2018
la vita notturna
dipinto di Odillon Redon |
suoi sogni: il veggo già in me Orazio mio, che perlopiù mi ridesto in un’impenetrabile nebbia, e il brivido da cui allora tutto il mio essere è scosso è solo il movimento dell’ultima imagine che si stacca e precipita al fondo, colà dove temiamo e insieme desiàmo discender pur noi: arcano pozzo insondato col quale i bambini, finché restano tali, hanno dimestichezza com’allor che giuocando a nascondersi entrano ed escono liberamente dall’armario tenebricoso, ma nel quale l’adulto che più n’ha vaghezza dovrà drammaticamente tuffarsi dall’alto come da una rupe sublime, vincendo con il desìo l’orror di quel volo… Strapparsi a sè stessi, lasciare ogni cosa negando il sapere faticosamente acquisito e smembrarsi nel nostalgico volo è cimento supremo, e sol chi ha un sovrappiù d’energìa, o questa energìa non devolve positivamente all’usate passioni dell’uomo, ma serba inspiegata e conchiusa come un grumo deforme, solo costui avrà necessità di provare, e sarà grato al richiamo.
Il passo è tratto da Io venia pien d'angoscia a rimirarti di Michele Mari.
L'autore immagina Orazio Carlo Leopardi tenere un diario e riportare alcune riflessioni del fratello maggiore Giacomo. Lo scritto si sviluppa intorno agli studi avviati da un adolescente Giacomo Leopardi sull'influenza sugli esseri esercitata dalla luna .
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venerdì 6 luglio 2018
Il vento della mia mente
Lo so bene che c'è scritto "wind", ma io ogni volta che ci penso mi trovo a dire: "mind". Probabilmente è anche quello che pensava William Blake mentre lo stava scrivendo, ma se ha scritto "vento" è al vento che bisogna pensare, e non alla nostra mente.
I fear'd the fury of my wind
would blight all blossoms fair and
true,
and my sun it shin'd and shin'd,
and my wind it never blew.
But a blossom fair or true
was not found on any tree,
for all blossoms grew and grew
fruitless false, tho' fair to see.
Temevo che la furia del mio vento
rovinasse tutti i germogli belli e veri
e il mio sole è brillato è brillato
e il mio vento non ha mai soffiato.
Ma un germoglio bello o vero
non fu trovato su nessun albero,
perchè tutti i germogli crebbero e
crebbero
senza frutti, falsi, anche se belli da
vedere.
William Blake, da "Rossetti
manuscript" in "Poesie", ed. Newton Compton 1991,
traduzione Giacomo Conserva
(nella foto, Brooklyn 1954; più sopra un ritratto di William Blake
mercoledì 4 luglio 2018
Rondini
Le rondini, e i rondoni, tra poco ci
lasceranno: i piccoli sono cresciuti ed è già ora di tornare
lontano, fino in Africa. Ma non l'Africa qui vicina, si arriva fino
nel Congo. Alle rondini è dedicata questa canzone, che riascolto
sempre volentieri (Mimi Fariña è la sorella di Joan Baez, siamo
intorno al 1968).
SWALLOW SONG
(Mimi and Richard Fariña)
Come wander quietly and listen to the
wind
Come here and listen to the sky
Come walking high above the rolling of the sea
And watch the swallows as they fly.
There is no sorrow like the murmur of their wings
There is no choir like their song
There is no power like the freedom of their flight
While the swallows roam alone.
Do you hear the calling of a hundred thousand voice
Hear the trembling in the stone
Do you hear the angry (entry) bells ringing in the night
Do you hear the swallows when they've flown?
And will the breezes blow the petals from your hand
And will some loving ease your pain
And will the silence strike confusion from your soul
And will the swallows come again?
Come here and listen to the sky
Come walking high above the rolling of the sea
And watch the swallows as they fly.
There is no sorrow like the murmur of their wings
There is no choir like their song
There is no power like the freedom of their flight
While the swallows roam alone.
Do you hear the calling of a hundred thousand voice
Hear the trembling in the stone
Do you hear the angry (entry) bells ringing in the night
Do you hear the swallows when they've flown?
And will the breezes blow the petals from your hand
And will some loving ease your pain
And will the silence strike confusion from your soul
And will the swallows come again?
(Vieni a vagabondare quietamente, e
ascolta il vento; vieni qui e ascolta il cielo. Vieni a camminare in
alto sopra l'ondeggiare del mare, e guarda le rondini mentre volano.
Non c'è dispiacere come il mormorio delle loro ali, non c'è coro
come la loro canzone, non c'è potenza paragonabile alla libertà del
loro volo mentre le rondini solcano solitarie il cielo. Ascolti il
richiamo di centomila voci? Ascolta il tremore nella pietra. Ascolti
le campane d'ingresso (arrabbiate?) che suonano nella notte? Ascolti
le rondini quando sono volate via? E porteranno via le brezze i
petali dalla tua mano, e allevierà qualche amore la tua pena? E
porterà via il silenzio la confusione dalla tua anima? E torneranno
ancora le rondini?)
(due dubbi nel mio tentativo di
traduzione: il primo è nell'eco continua del verso di Dante, "non
v'è maggior dolore...", il secondo è che ho trovato due
versioni di questo testo, in una si dice "entry bells", le
campane d'ingresso nella chiesa, quelle che invitano a entrare quando
inizia la funzione, e in un'altra si dice "angry bells",
alla lettera campane arrabbiate. Io propendo per la prima versione,
molto evocativa, ma all'ascolto sembra proprio che dicano "angry")
(gli inglesi, inoltre, hanno il verbo to wander che è piuttosto
bello e poetico, ma in italiano si traduce girovagare, vagabondare,
non è la stessa cosa, peccato)
(illustrazione di Klemens Brosch, 1913)
(illustrazione di Klemens Brosch, 1913)
lunedì 2 luglio 2018
Asino, ragno, mogli
Un piccolo viottolo tagliava il
sentiero che il Filosofo stava percorrendo, e a poco a poco gli
giunse all'orecchio un trambusto di gente in cammino, lo stropiccio
di piedi, un rotolare di ruote, e il lungo, instancabile brusio delle
voci. Pochi minuti dopo arrivò al viottolo e vide un asino che
tirava un carro stracarico di pentole e di recipienti, accanto al
quale camminavano due uomini e una donna. Gli uomini e la donna
parlavano tutti insieme ad alta voce, addirittura accalorati, e
l’asino trascinava il suo carro senza aver bisogno d'essere guidato
o assistito. Finché c’era una strada lui la percorreva; quando
arrivava a un incrocio girava a destra; quando uno degli uomini
diceva «uuh!» si fermava; quando diceva «aah!»
andava indietro e quando diceva «iih!» riprendeva la sua strada.
Questa era la vita, e se uno ci trovava da ridire si buscava una
bastonata, una sassata o un calcio; se invece continuava a camminare non
succedeva niente, e questa era la felicità.
Il Filosofo salutò il gruppetto.
Il Filosofo salutò il gruppetto.
- Dio sia con voi - disse.
- Dio e Maria siano con te - disse il
primo uomo.
- Dio, Maria e Patrick siano con te -
disse il secondo uomo.
- Dio, Maria, Patrick e Brigid siano
con te - disse la donna.
L'asino invece non disse niente. Dal
momento che la parola «uuh!» non era entrata nel discorso, capì
che la cosa non lo riguardava, sicché girò a destra sul nuovo
sentiero e continuò il suo viaggio.
(...)
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