martedì 28 febbraio 2017

In nota di cicogna




La cicogna non ha un vero e proprio verso, non emette che un debole sibilo ma è in grado di produrre ugualmente un suono caratteristico ( qui ). Quando maschio e femmina si avvicinano, rovesciano indietro il collo e battono ripetutamente il becco. Dante, nel XXXII canto dell’Inferno, per rappresentare, attraverso un linguaggio sufficientemente aspro, l’algido luogo in cui si trova e la condizione dei dannati, ricorre al suono secco, tagliente, prodotto dalle cicogne. Le livide ombre , imprigionate in Cocito, il gelido lago infernale, ne la ghiaccia, battono i denti in nota di cicogna.



Come noi fummo giù nel pozzo scuro
sotto i piè del gigante assai più bassi,
e io mirava ancora a l’alto muro,

dicere udi’mi: «Guarda come passi:
va sì, che tu non calchi con le piante
le teste de’ fratei miseri lassi».

Per ch’io mi volsi, e vidimi davante
e sotto i piedi un lago che per gelo
avea di vetro e non d’acqua sembiante.

Non fece al corso suo sì grosso velo
di verno la Danòia in Osterlicchi,
né Tanai là sotto ’l freddo cielo,

com’era quivi; che se Tambernicchi
vi fosse sù caduto, o Pietrapana,
non avria pur da l’orlo fatto cricchi.

E come a gracidar si sta la rana
col muso fuor de l’acqua, quando sogna
di spigolar sovente la villana;

livide, insin là dove appar vergogna
eran l’ombre dolenti ne la ghiaccia,
mettendo i denti in nota di cicogna.


XXXII canto dell'Inferno ( vv.15
-36 )

lunedì 27 febbraio 2017

Le farfalle di Gozzano ( I )


1.
La raccolta di “epistole entomologiche” di Guido Gozzano comincia con le vanesse, che sono tra le più belle delle nostre farfalle. Si riconoscono dal bordo caratteristico delle ali, e i loro bruchi si nutrono di piante che noi consideriamo cosa da poco, oppure dannose e fastidiose: il cardo, le ortiche. Eliminando queste comunissime piante, magari con i diserbanti, ci priviamo della vista di queste magnifiche vanesse, e so che a molti non importa ma rimane comunque un peccato.
Il titolo completo della raccolta è “Le farfalle”, con dedica ad Alba Nigra; alcune di queste poesie furono pubblicate sulla rivista “La Grande Illustrazione” nel 1914.
“Storia di cinquecento Vanesse” è composta di 91 versi, dove però alle vanesse è dedicato poco spazio, poco più di un accenno, e il vero corpo della poesia è dedicato all’ambiente accademico, con riferimenti a persone e fatti privati che oggi necessitano molto più delle note del curatore per essere comprese. Peccato, perché le Vanesse sono farfalle bellissime, tra le più belle in assoluto. Ne riporto qui l’inizio:

domenica 26 febbraio 2017

Le farfalle di Gozzano ( II )


2.
La seconda “epistola entomologica” di Guido Gozzano è di 123 versi (sono tutte molto lunghe) e si intitola “Dei bruchi”. Si tratta dei bruchi del baco da seta: la seta è stata prodotta anche da noi, quello dei bachi da seta era un allevamento molto comune, presente in quasi tutte le case dei contadini fino agli anni '50. Non è un allevamento difficile, ma è molto impegnativo: i bachi mangiano moltissimo, e sono velocissimi nel mangiare; quindi bisogna rifornirli di continuo, con i rami e le foglie del gelso.
Gozzano descrive i bruchi, poi ne seziona uno e ce ne descrive minutamente l’anatomia. Penso che Guido Gozzano sia stato l’unico poeta a scrivere in versi di queste cose.
Da questa poesia scelgo due frammenti. Nel primo, a partire dal verso 44, c’è la descrizione dei bachi mentre mangiano le foglie di gelso:

sabato 25 febbraio 2017

Le farfalle di Gozzano ( III )


3. Delle crisalidi
La poesia di Gozzano intitolata “Delle crisalidi” sembrerebbe essere la logica prosecuzione della precedente, che parla dei bruchi; in realtà è molto diversa e anche decisamente più bella.
Si tratta di 97 versi complessivi, che io porto qui a partire dal venticinquesimo verso. L’argomento è sempre il mistero della vita, la morte e la rinascita, il ciclo di trasformazione della materia.
Fare attenzione a questi versi:





                          La crisalide
ritrae la farfalla mascherata
come il coperchio egizio ritraeva
le membra della vergine defunta.
...
è la reggia del non essere più,
del non essere ancora. E qui la vita
sorride alla sorella inconciliabile
e i loro volti fanno un volto solo.



venerdì 24 febbraio 2017

Le farfalle di Gozzano ( IV )


4. Parnassius Apollo

Parnassius Apollo è una farfalla bianca, molto bella, che Guido Gozzano definisce “simbolo delle Alpi” all’inizio di una poesia lunga 105 versi, ad essa dedicata.
Il genere Parnassius è paradisiaco già nel nome scientifico, scelto da Carl von Linné nel '700; la specie scelta da Gozzano, "Parnassius Apollo L.", si trova anche in Italia ma bisogna andare in montagna, intorno ai mille metri d'altitudine.
La poesia di Gozzano (la definizione corretta è “epistola”) non mi sembra delle più felici, io la trovo un po’ troppo enfatica ma potrebbe essere solo una mia impressione.
Ne riporto qui alcuni passaggi: le pieridi citate nel finale sono sempre farfalle, e saranno oggetto della poesia successiva.
Mi piacciono soprattutto questi due versi:

e bene intende il sorgere dei miti
nei primi giorni dell'umanità;












giovedì 23 febbraio 2017

Le farfalle di Gozzano ( V )


5. La cavolaia
Una farfalla tra le più comuni: il bruco mangia le foglie delle verze, dei cavoli, che ancora molti tengono negli orti. Fa parte della famiglia delle Pieridi, che vanta numerose altre specie di grande semplicità e bellezza, come la cedroncella che è simile alla cavolaia ma più colorata.
La poesia di Gozzano è di 134 versi, e riserva più di una sorpresa. La prima parte è infatti dedicata a un parassita del bruco della cavolaia, un imenottero (parente delle vespe) che depone le sue uova pungendo il bruco. Il bruco fa poi la sua vita normale, diventa addirittura crisalide, ma poi dalle crisalide nascono le vespine: il bruco è stato divorato.
Gozzano osserva questa sequenza sconcertante, ed è il punto (dal verso 45) che mi interessa sottolineare:
Non divina e perfetta, ma potenza
maldestra, spesso incerta,  ...
per non perder pietà si fa spietata.
è il Paradiso di Dante, IV 105: per non perder pietà si fè spietato
 

Come in questa vicenda e in altre molte,
la Natura, che i retori vantarono
perfetta ed infallibile, si svela
stretta parente col pensiero umano!
Non divina e perfetta, ma potenza
maldestra, spesso incerta, esita, inventa,
tenta ritenta elimina corregge.
Popola il campo semplice del Tutto
d'opposte leggi e d'infiniti errori.
Madre cieca e veggente, avara e prodiga,
grande meschina, tenera e crudele,
per non perder pietà si fa spietata.
E quando vede rotta l'armonia
riconosce l'errore, vi rimedia
con nascite novelle ed ecatombi.
Essa accenna alla Vita ed alla Morte;
e le custodi appaiono, cancellano,
ritracciano la strada ed i confini.
(pag.266-67)
Il resto della poesia è pura descrizione, ma questo frammento sembra tratto dal Leopardi delle Operette Morali.
(le fotografia vengono dal sito di Luciana Bartolini, che è di quelli da non perdere)

mercoledì 22 febbraio 2017

Le farfalle di Gozzano ( VI )

6. Aurora, Anthocaris cardamines

Anthocaris cardamines è una farfalla bianca, con le estremità delle ali di colore arancio. Dopo la cavolaia, ecco un’altra farfalla molto semplice e molto bella da vedere.
Vive nei prati, ed è una delle prime farfalle ad apparire quando finisce l'inverno; Gozzano le dedica una poesia di 81 versi (la più breve di questo ciclo) con citazioni da Heine (la quinta stagione, non ancora primavera e non più inverno). Per Gozzano, questa farfalla è l’annuncio della Primavera.

La Primavera non è giunta ancora,
ma l'Antòcari vola e il cuore esulta!
La messaggiera della Primavera
è timida, sfuggevole alle dita,
cosciente di sua fragilità;
quasi non vola, s'abbandona al vento (...)
(versi 46-50)

Visita i fiori, intepidisce il regno
per le grandi farfalle che verranno,
poi, giunta al varco della vita breve,
congeda il Marzo, volgesi all'Aprile:
Aprile! Marzo andò: tu puoi venire!...
(finale, pag.272)


(le immagini vengono dal sito di Luciana Bartolini, che è molto bello e ricchissimo di fotografie; si tratta sempre di Anthocaris Cardamines, quello colorato è il maschio, quella bianca e nera è la femmina)

lunedì 20 febbraio 2017

Le farfalle di Gozzano ( VII )

7. Ornithoptera pronomus
E’ una farfalla che in Italia non c’è: un amico manda a Gozzano due farfalle da Sumatra. Qui vale la pena ricordare che Gozzano stesso visitò l’India (« Verso la cuna del mondo. Lettere dall’India», pubblicato postumo nel 1917).
Ho trovato qualche difficoltà col nome scientifico citato da Gozzano nei suoi versi: probabilmente è Ornithoptera priamus, su internet non c’è traccia della “pronomus” (forse una denominazione ottocentesca?). Il nome significa “ali d’uccello”, e in effetti è una farfalla decisamente grossa: alcune specie di Ornithoptera possono arrivare fino a 31 centimetri di apertura alare.

La poesia è di 83 versi, non direi che sia particolarmente interessante. Nelle note c’è il testo della lettera spedita dall’amico insieme alle due farfalle:
Nell'abbozzo si legge: « Un mio amico, il medico di marina Carlo Quinteri, mi manda due farfalle dell'isola di Sumatra. Ho fra le mani la cassetta cubica, fasciata di carta giapponese, legata e suggellata di lacca, segnata di bolli sconosciuti. L'apro. Contiene una cassetta piú piccola, di foglie tessute, ed una cartolina illustrata: un mare calmo con tre piroghe aguzze, una linea di terre lontane dove svettano centinaia di cocchi altissimi ». « La cartolina dice: "Mio caro Gozzano, siamo qui, ospiti dell'Ambasciata inglese. Che terra paradisiaca! Penso a te, così appassionato degli insetti, dei fiori, della vita delle piccole cose. Diventeresti pazzo. Abbiamo fatto una corsa nell'interno; che bellezza ubriacante, inverosimile! Ti mando due farfalle che trovai accoppiate sopra un'orchidea spaventosa. Ti mando l'orchidea. Ricordami. Ti abbraccio attraverso lo spessore della terra che ci divide" ».
...Mi saluta un mio pallido fratello
navigatore in quelle parti calde
d'India, mi parla delle mie raccolte,
ricorda la mia grande tenerezza
per le cose che vivono, rimpiange
di non avermi seco nelle valli favolose (...)
versi 5-10
L’orchidea è raggrinzita e poco riconoscibile, Gozzano la descrive così:
Nell'abbozzo: « Sollevo lentamente il coperchio di paglia tessuta; accanto all'orchidea disseccata come uno gnomo mummificato, stanno le due farfalle meravigliose con le ali enormi rigide, d'un verde nero, raccolte quali le compose il mio amico navigatore nell'arcipelago degli antipodi (...) ».
Segue una lunga descrizione, dove Gozzano sottolinea la grandezza delle ali e una vaga somiglianza con i nostri papilionidi: macaone e podalirio, farfalle molto belle e molto comuni anche qui da noi in Italia (comuni prima dei diserbanti e dell’asfalto, si intende). La bellezza della farfalla orientale è definita da Gozzano con l’aggettivo “barbarica”, in contrasto con le nostre farfalle, di una bellezza meno invadente.
In definitiva, è forse la meno riuscita delle nove “epistole poetiche” dedicate da Gozzano alle farfalle.
(pagine 274-278 dell'edizione BUR a cura di Barberi Squarotti)


domenica 19 febbraio 2017

Le farfalle di Gozzano ( VIII )

8. Acherontia atropos
Le farfalle sono innocue, tutte. Diurne e notturne, grandi e piccole, tarme e falene, grigie o colorate, tutte innocue; al massimo, una farfalla può provocare un po’ di solletico. Quando si parla di specie nocive ci si riferisce alle coltivazioni, ed è del bruco che si parla, non certo della farfalla adulta. Alcuni bruchi, come le larve della processionaria, possono avere peli urticanti; ma se noi non li tocchiamo non ci succede niente. Nessuna farfalla morde, nessuna farfalla punge, i bruchi mangiano soltanto foglie, steli, legno.
Fatta questa premessa, sicuramente noiosa ma purtroppo indispensabile, continuo ad esaminare le farfalle descritte da un celebre scrittore: prima di Vladimir Nabokov, infatti, c’è stato Guido Gozzano (1883-1916, torinese), un autore che rientra anche nei nostri programmi scolastici. Tra quelle descritte da Gozzano, questa si chiama Acherontia Atropos: una delle più famose in assoluto per via del disegno che porta ben visibile sul dorso, e che somiglia a un teschio: anch’essa del tutto innocua, ovviamente. Come dicevo qui sopra, non esistono farfalle che mordano o pungano. 


I disegni che troviamo in natura sono spesso molto curiosi, basti pensare c’è un tipo di uva bianca che ha spesso disegni curiosi sugli acini: qualche anno fa ne ho trovato con una croce perfetta (era il giorno in cui si festeggia padre Pio, per chi fosse interessato conservo la foto), il mese scorso su un acino di quella stessa varietà era disegnata una A maiuscola perfetta, in stampatello. Tagliando una melanzana, la notizia era sui quotidiani qualche tempo fa, alcuni fedeli mussulmani hanno letto il nome di Allah tra le righe interne dell'ortaggio: significa qualcosa? Sono forse dei messaggi? Sono dei messaggi anche i disegni del manto dei leopardi? (Jorge Luis Borges ha scritto un magnifico racconto, su questo soggetto). E i vari colori e disegni dei gatti, o delle galline? Hanno un significato anch'essi?

sabato 18 febbraio 2017

Le farfalle di Gozzano ( IX - finale)

9. Macroglossum Stellatarum.
Dopo la Acherontia Atropos, Guido Gozzano dedica una poesia a un’altra farfalla degli Sfingidi, ma questa volta una presenza simpatica, allegra: l’unica sfingide diurna, Macroglossum Stellatarum.
A vederla somiglia molto ai colibrì, che peraltro non sono molto più grandi di lei; si ferma in volo a qualche distanza dal fiore, come sospesa, e da lì estromette la sua lingua a spirale - quella che le ha procurato il nome scientifico, Macroglossa infatti significa “grande lingua”, in greco.

A me piace molto questa farfalla; oltre al colibrì, sia per il colore beige che per la peluria soffice e il corpo tozzo, mi ricorda gli orsetti di pezza. Non sono mai riuscito a capire come mai in alcune persone queste farfalle suscitino sentimenti negativi, forse pensano che sia un’ape e che possa pungere, chissà: ma si vede subito che non è un’ape e nemmeno una vespa o un uccellino, è proprio una farfalla, non molto grande (quattro o cinque centimetri). Il bruco vive su una pianta che si chiama Galium (Stellaria, Rubia); è un’altra farfalla che compie lunghe migrazioni, dall’Asia all’Europa. Tra gli sfingidi, è l’unica attiva solo di giorno; è una bella farfallotta che dà allegria, prima della Pedemontana e della tangenziale e del parcheggio (eccetera) era frequente anche sul mio balcone - ora non più, peccato.
Guido Gozzano racconta di una macroglossa stellatarum che gli entra in casa dalla finestra, attirata da una rosa recisa e messa in un vaso; ne fa una descrizione molto accurata, ma poi il discorso cambia, questa farfalla gli serve solo come introduzione a un discorso più vasto. La poesia è molto lunga, 202 versi; di questi, solo i primi 36 sono dedicata alla piccola sfinge, gli altri sono dedicati al rapporto tra i fiori e gli insetti, un excursus storico e naturalistico molto ben fatto, che parte da Linneo e da Maeterlinck, toccando Lucrezio (De rerum Natura) e la meraviglia della Creazione – o se si preferisce della Natura, di cui anche noi facciamo parte.
Una cosa curiosa viene sottolineata dalle note di Giorgio Barberi Squarotti: uno dei versi di Gozzano, “si dileguò come da corda cocca”, è preso da Dante: si trova in Inferno XVII 136.

Di questa poesia riporto solo l’inizio, cioè la parte strettamente dedicata alla Macroglossa Stellatarum.

venerdì 17 febbraio 2017

Opale

Il Lapidario orfico delle gemme, attribuito ad Orfeo, è un'opera sulle vitù delle pietre. Nel poema le pietre si incastonano in una struttura narrativa che chiama in causa gli dei; Ermes, per ordine di Zeus, porta in dono agli umani qualcosa in grado di sollevarli dallo stato di miseria morale in cui versano. La funzione di Orfeo è dunque quella di insegnar agli uomini il linguaggio segreto della natura e di rendere noti i poteri delle pietre e i modi in cui avvalersene. Le pietre descritte sono 25. Ho scelto fra tutte l'opale, nel Rinascimento simbolo di purezza, capace di donare a chi la porta forza e coraggio. La regina Ester di Andrea del Castagno ha un'opale come fermaglio e la figura del primo decano del segno della Vergine nel ciclo astrologico di palazzo Schifanoia a Ferrara porta al collo un opale.

Andrea del Castagno, La regina Ester

Così Orfeo parla della pietra nel lapidario

"Ti assicuro che gli dei celesti si compiacciono pure della nobile opale, dall'epidermide delicata come
di attraente fanciullo, capace di dare giovamento agli occhi."

( in Le pietre mirabili, ed. Sellerio )

giovedì 16 febbraio 2017

Le ali delle Fate



Le ali delle fate: non ci avevo mai fatto caso. A cosa somigliano le ali delle fate? Vado a cercare un po' di illustrazioni, vedo che molti proprio le ali non le disegnano (le fate levitano, più che volare), oppure mettono ali del tutto improbabili, nessuno mai volerebbe con ali così piccole o sistemate in quella maniera lì. Altri invece si sono documentati, e copiano con grande precisioni ali di farfalla o di libellula-effimera-crisopide o anche, ahimè, ali di mosca o di zanzara. Metto un piccolo campionario qui sotto, e poi ognuno è libero di continuare come meglio gli aggrada.

martedì 14 febbraio 2017

Struzzi


Il terzo giorno continuammo in modo piuttosto irregolare il nostro cammino, dato che mi stavo occupando dell'esame di alcuni giacimenti di marmo. Vedemmo sulle belle praterie molti struzzi (Struthio rea). Alcuni branchi arrivavano a venti o trenta individui. Quando erano fermi su qualche piccola prominenza e si vedevano contro il cielo chiaro, avevano un aspetto maestosissimo. Non ho mai incontrato in nessun'altra parte del mondo struzzi così domestici; era facile galoppare fino a breve distanza da loro, ma essi allora, allargando le ali, partivano a vele spiegate e ben presto lasciavano indietro il cavallo.
(Charles Darwin, Viaggio di un naturalista intorno al mondo, pag.64 ed. Giunti 2002, traduzione di Mario Magistretti) (qui Darwin stava viaggiando tra Cile e Argentina)
(il disegno è del 1916, di Martin Erich Philipp)

domenica 12 febbraio 2017

Pino loricato



un clic sull'immagine
" …  il più antico vegetale della montagna : il pino loricato, fossile vivente, coevo dei dinosauri, a cui somiglia, per la corteccia a scaglie, “ a lorica “, come le armature dei guerrieri di una volta.
E’ un albero dai tempi lentissimi, come obbedisse a cicli non più nostri : il seme non germoglia prima dei due anni ; (… ) si è rifugiato nei luoghi più impervi e ventosi, tra burrasche, gelo e petraie. E dove nessun’altra essenza sopravviverebbe, il pino loricato domina millenario, scolpito dal tempo e dai fulmini.
Quando muore, perde la corteccia e appare bianco come marmo funerario. Ma resta in piedi, re del silenzio, candido monumento a se stesso. "

da "Terroni" di Pino Aprile
ed. piemme

venerdì 10 febbraio 2017

Viole notturne



Franz Schubert scrive questo Lieder nel 1822, ma verrà pubblicato solo nel 1872; il testo è di Mayrhofer, per quel che conta (ciò che conta davvero è Schubert). Violetta, il fiore, in tedesco è Veilchen; violett è il colore viola, il colore degli occhi. Lo strumento musicale, sempre stando al mio dizionario, è Bratsche (una viola da braccio, viene da pensare); però la terminologia italiana era di uso comune, così come lo è ancora oggi, in ambito musicale.

Buon ascolto. ( un clic qui )

(il disegno delle viole è opera di Giacinta)

mercoledì 8 febbraio 2017

Rospa


Io andavo da una pianta all'altra senza dir niente, perché sarebbe stato impossibile farli smettere: con il cuore doventato mencio. Ma come mi si empì la bocca di saliva, che pareva bava, quando vidi una rospa che pareva un grande involto ! E poi che ella mi guardava coi suoi occhi di ragazza brutta, forse più acuti dei miei, mi sentii venir male.
(Federigo Tozzi, Bestie, pag.42 ed.Theoria 1987)

(disegno di Hans Hoffmann, 1530-1591) (rana, più che rospa...)

lunedì 6 febbraio 2017

Jor non morde


Eravamo quindi entrati, accolti, di là dal portone subito richiuso con un gran colpo per opera del solerte Perotti, dai pesanti latrati di Jor, l’ “arlecchino” bianco e nero. Veniva giù per il viale d’accesso, il danese, trottando straccamente alla nostra volta, con un’aria per nulla minacciosa. Tuttavia Bruno ed Adriana tacquero immediatamente.
“Non morderà mica?”, chiese Adriana, intimorita.
“Non si preoccupi, signorina”, rispose Perotti. “Coi tre o quattro denti che gli sono rimasti, cossa vorla che sia buono a mordere, ormai? Sì e no la polenta…

Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi Contini, Torino, Einaudi
fotogramma del film di V. De Sica "Il giardino dei Finzi Contini