Accusata ingiustamente di
stregoneria, Elsa di Brabante ha una sola possibilità di salvezza:
che un cavaliere da lei scelto si offra di combattere per lei contro
il suo accusatore. E qui succede qualcosa di straordinario: Elsa
invoca in sua difesa un cavaliere che ha visto in sogno, e il
cavaliere arriva. Giunge su una navicella trainata da un cigno,
vincerà la sfida, non dirà il suo nome e chiederà a Elsa di non
domandargli mai chi è e da dove viene.
Le prime parole di
Lohengrin sono però di ringraziamento per il cigno, che - si
scoprirà solo alla fine - è il fratello di Elsa, vittima di un
sortilegio da parte delle stesse persone che la accusano. La
trasformazione in cigno, o in corvo, dei fratelli di una ragazza è
tema ricorrente nelle fiabe di tutti i paesi (per esempio nei Grimm,
ma anche nelle Fiabe italiane raccolte da Italo Calvino); il tema
dell'amato misterioso a cui non si deve domandare il nome è ispirato
al mito di Eros e Psiche. Richard Wagner, autore anche del testo, ha
collegato con grande abilità narrativa questi due temi fiabeschi e
mitologici con il mito del Graal (Lohengrin è figlio di Parsifal).
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(il disegno è firmato Gemi) |
Questo è il testo
originale:
Nun sei bedankt, mein
lieber Schwan!
Zieh durch die weite Flut
zurück,
dahin, woher mich trug
dein Kahn,
kehr wieder nur zu unsrem
Glück!
Drun sei getreu dein
Dienst getan!
Leb wohl, leb wohl, mein
lieber Schwan!
che Manacorda traduce
così:
Siano grazie a te, mio
caro cigno!
Ritorna a traverso l'ampio
flutto,
là onde mi portò la tua
navicella.
Sia il tuo ritorno solo
per il nostro bene!
Per il nostro bene il tuo
servigio fedelmente adempi!
Addio, addio, mio caro
cigno!
un clic qui o qui per l'ascolto
La versione ritmica
italiana, ottocentesca e ancora molto in uso, è piuttosto goffa; si
confonde il "merci" francese con il "mercè"
italiano, e quindi sembra che Lohengrin chieda pietà al cigno:
«Mercè, mercè, cigno gentil...» Non aggiungo altro perché
nell'esecuzione di Aureliano Pertile le parole si capiscono tutte, ed
è un Lohengrin sempre emozionante anche dopo così tanti anni. (Se
non capite qualche parola, è tutta colpa dell'italiano aulico usato
dal versificatore ottocentesco).