Eravamo in un bel giardino, tenuto in
ordine dai giardinieri del Collegio e curato personalmente con
edoardiana finezza dalla moglie del Guardiano ("Direttore"),
la nostra amica Thelma. C'erano aiuole di fiori, ogni specie di
fiori, e Thelma ci diceva i nomi dei più esotici; c'erano forbite
aiuole di ortaggi, arbusti ornamentali, ben curati alberi da frutto.
Rientrando, sulla porta della scullery ci venne incontro una gatta,
che usciva pigramente. Thelma le chiese, in perfetta serietà, «
Have you had your tea? ». Incontrammo poi Emily. Thelma fece le
presentazioni, il nome per me poetico (la Dickinson, e quella
meravigliosa bambina in Giamaica) mi sembrò un po' incongruo per una
gallina. Del resto non sarebbe stato un po' imbarazzante, quando
fosse venuto il momento... non sapevo come dirlo delicatamente,
insomma, metterà Emily in pignatta...mangiarla...
Thelma in principio non capiva.
Mangiarla? Poi un lampo le squarciò la mente, non molto diverso da
uno spasimo di terrore. Si riprese subito, gli stranieri dicono cose
strane quasi per definizione, ma per fortuna le convenzioni della
vita civile sono fatte proprio per allontanare dagli occhi, dalle
orecchie, dal pensiero ciò che è crudo, orrendo... La gentilezza
deve prevalere sul resto, i giovanotti stranieri in fondo non sono
cattivi, è bene sorridergli, dirgli quietamente che Emily, no,
davvero non è da mangiare, è un'amica... Emily gettava le sue
occhiate sghembe di qua e di là. Mah! Sarà più assurdo allevarle
impersonalmente nel pollaio e poi mangiarle, o invece trattarle da
signorine au pair, immangiabili?(Luigi Meneghello, Il dispatrio, pag. 124 ed.BUR 2007)
(le galline sono di Gustav Klimt, anno 1917)