mercoledì 18 aprile 2018

L'annaffiatoio celeste


Piove, e c'è il sole. Fenomeno tutt'altro che raro, piuttosto stupisce il modo in cui piove: piove un po', cinque minuti, dieci minuti, poi esce il sole. Piove così poco che le gatte non ci fanno quasi caso, cosa vuoi che siano queste quattro gocce. Invece no, non sono quattro gocce ma piove bene, regolare, e tanto: è acqua che bagna, nonostante quel che dicono le gatte. Non è acqua che devasta o inonda, ma qualcosa che sembra mandato apposta dal cielo per far fiorire le piante. Un annaffiatoio, insomma, ma usato da qualcosa o da qualcuno che non ci è dato conoscere. Un annaffiatoio celeste, per il quale le mie piantine ringraziano il Cielo (e mica solo loro, anche tutte le altre erbe che ci sono e che non serve affatto seminare perché fanno tutto da sole). Il che mi riporta all'estate scorsa, quando ero io l'annaffiatore e c'era molto caldo: prendevo l'acqua dal bidone dell'acqua piovana, cominciavo a dare sollievo a qualche piantina che ancora resisteva, ed ecco il gattino dal musetto buffo che mi veniva dietro, e dovevo stare attento a non calpestarlo - ma molto attento davvero, mica si sposta. Il gattino buffo è incuriosito dall'annaffiatoio: da dove viene quell'acqua? Come fa Giuliano (ammesso che lui mi chiami così, e poi chissà come mi chiama e chissà se mi ha dato un nome) a far piovere così bene e così regolare? E, soprattutto: si può toccare? Ci prova, gli piace, poi si spaventa, annusa dove è bagnato, torna da me che mi sono spostato un po' più in là. Lo bagno un pochino, non si sposta: sa già che non fa male, che c'è la pelliccia, e poi con questo caldo che cosa vuoi che sia.

Ma tutto questo succedeva l'anno scorso. Il gattino dal musetto buffo e la sua sorellina timida hanno trovato casa (lontano da qui, nel bergamasco) e a dirla tutta ne sento la mancanza ma non è che posso passare il mio tempo ad allevare gattine timide e gattini dal musetto buffo, anche se l'idea non mi dispiacerebbe. Un anno è passato, vedremo che gattini mi porterà l'anno nuovo (sono già arrivati, a dire il vero, ma la Gatta li tiene nascosti). Per adesso ho qui la loro mamma Ciccetta, e ho anche l'annaffiatoio celeste, che ogni tanto smette e poi riprende; si vede che anche lassù hanno un bidone dell'acqua piovana da cui bisogna attingere ogni tanto. Ma, poi, da dove verrà quell'acqua piovana che hanno lassù? La domanda è di quelle che fanno nascere tante altre domande, e nel dubbio, in attesa di trovare una risposta, mi ritiro con discrezione nei miei appartamenti.

lunedì 16 aprile 2018

Poi entrò un'ape

Tre bambini sono rinchiusi nell'ampia biblioteca di una torre antica, ostaggio dei monarchici della Vandea; sono stati sottratti ai soldati dell'esercito repubblicano che li proteggeva e che ne aveva fatto la propria mascotte; i bimbi  sono completamente ignari del destino che li attende: se i soldati repubblicani assalteranno la roccaforte dei ribelli della Vandea, i tre piccoli moriranno,  una miccia è già pronta per far saltare in aria l'ambiente in cui si trovano; intanto loro giocano a fare di un prezioso in-folio miniato, minuscoli colorati coriandoli o  osservano un millepiedi che attraversa la sala e  rondini che svolazzano vicino alla finestra lanciando il loro leggero grido primaverile...

E tutti e tre guardarono le rondini.
Poi entrò un'ape.
Nulla rassomiglia a un'anima più di un'ape. Va di fiore in fiore come un'anima di stella in stella, e dà il miele come l'anima dà la luce.
Quell'ape entrando fece un gran rumore, ronzava forte e sembrava dire: "Sono qui, sono stata dalle rose, ora vengo a vedere i bambini. Che succede qui?"
Un'ape è una massaia, e mentre canta brontola.
Finchè l'ape rimase nella stanza, i tre piccini non la abbandonavano con gli occhi.
L'ape esplorò tutta la biblioteca, frugò negli angoli, svolazzò con l'aria di essere in casa propria in un alveare, ronzò, alata e melodiosa, d'armadio in armadio, guardando attraverso i vetri dei titoli dei libri, come fosse stata uno spirito.
Fatta la visita se ne andò.
-Va a casa sua- disse René-Jean.
- E' una bestia"- disse Gros-Alain.
- No- replicò René Jean, -è una mosca.
- Musca- disse Georgette
(...)
Di fuori si sentiva un fracasso vaglo e lontano; era probabilmente il campo di assalto che eseguiva qualche movimento srategico nella foresta: cavalli nitrivano, tamburi battevano, cannoni rotolavano, catene si urtavano, segnali militari si chiamavano e rispondevano, una confusione di rumori discordanti che mescolandosi formavano una specie di armonia; i fanciulli ascoltavano estatici.




Il passo che ho riportato è tratto da Novantatre, un romanzo di Victor Hugo che documenta la ribellione della Vandea nel periodo della dittatura giacobina. 
I bambini sopravviveranno, la loro innocenza finirà per salvarli; l'ape anticipa la venuta di una figura che porterà la vicenda verso esiti inaspettati.


Victor Hugo e i suoi nipoti

sabato 14 aprile 2018

Dujardin

Una sera, al tramonto, aeree lontananze, cieli profondi; e folle confuse; rumori, ombre, moltitudini; spazi aperti all’infinito; vaga sera... Ma sotto il caos delle apparenze, fra i tempi e i luoghi, nell’illusione delle cose che si generano e nascono, uno fra gli altri, uno come gli altri, distinto dagli altri, simile agli altri, uno eguale e uno in più, dall’infinito delle esistenze possibili, io sorgo; ed ecco che il tempo e il luogo si precisano; e l’oggi, e il qui; l’ora che suona; e, intorno a me, la vita; l’ora, il luogo, una sera d’aprile, Parigi, una chiara sera al tramonto, i monotoni rumori, le case bianche, i fogliami d’ombra; la sera più dolce, e una gioia di esistere, di camminare; le strade e le folle e, nell’aria che spazia lontano, il cielo; Parigi intorno canta e, nella foschia delle forme intraviste, mollemente incornicia l’idea.
L’ora è suonata; le sei, l’ora attesa. Ecco la casa dove debbo entrare, dove troverò qualcuno; la casa; il portone; entriamo. Cade la sera; l’aria e piacevole; c’è una gaiezza nell’aria. La scala; i primi scalini. Se, per caso, fosse uscito in anticipo? lo fa qualche volta; e io vorrei raccontargli la mia giornata. Il pianerottolo del primo piano; la scala ampia e chiara; le finestre. Gli ho confidato, a questo buon amico, la mia storia d’amore. Che bella serata passerò! Non si burlerà più di me. Che deliziosa serata sarà! (...)

(Edouard Dujardin, I lauri senza fronde, ed. Einaudi 1975, traduzione Nicoletta Neri; l'inizio)


(foto dei fratelli Lumière, inizi 900; i colori sono originali, in autochrome)


giovedì 12 aprile 2018

Rattlesnakes


"...Rattlesnakes, per esempio, è proprio basato su un racconto che ha per protagonista una donna di circa trent‘anni; la frase chiave, pronunciata dal padre di lei, dice “la vita è un duro e sporco gioco, c‘è un serpente nascosto sotto ogni roccia”. È da qui che nacque l‘idea di scriverci una canzone. "

( da un' intervista rilasciata da Lloyd Cole a Federico Guglielmi )



Qui Rattlesnakes
Qui qualcosa su Lloyd Cole
Qui una selezione di canzoni di Lloyd Cole




Jodie wears a hat although it hasn't rained for six days
She says a girl needs a gun these days
Hey on account of all the rattlesnakes

She looks like Eve Marie saint in on the waterfront
She reads Simone de Beauvoir in her American circumstance

She's less than sure if her heart has come to stay in San Jose
And her never-born child still haunts her
As she speeds down the freeway
As she tries her luck with the traffic police
Out of boredom more than spite
She never finds no trouble, she tries too hard
She's obvious despite herself

She looks like Eve Marie Saint in on the waterfront
She says all she needs is therapy, yeah
All you need is, love is all you need

Jodie never sleeps 'cause there are always needles in the hay
She says that a girl needs a gun these days
Hey on account of all the rattlesnakes

She looks like Eve Marie Saint in on the waterfront
As she reads Simone de Beauvoir in her American circumstance
Her heart, heart's like crazy paving
Upside down and back to front
She says "ooh, it's so hard to love
When love was your great disappointment."

martedì 10 aprile 2018

Tempesta di mare



In mezzo a una tempesta di mare non ci sono mai stato, però è facile immaginare come ci si sente (non bene). Vivaldi ha scritto almeno due concerti con questo nome, e sono molto belli ma non sono sicuro che rendano l'idea. Si tratta del Concerto per flauto oboe e fagotto RV 433 (FXII n.28) "Tempesta di mare",  (qui) e del Concerto per violino, archi e basso continuo op.8 n.5 RV 253 "Tempesta di mare" (l'opera 8 di Vivaldi, "Il cimento dell'armonia e dell'invenzione", comprende anche le famose "Quattro Stagioni") (qui). Due concerti molto belli, ma l'elemento drammatico è quasi del tutto assente; per sapere cosa era capace di fare Vivaldi in proposito bisognerà dunque rivolgersi al Temporale dall'estate delle Quattro Stagioni, davvero molto realistico.
 


Per capire cos'è una tempesta di mare forse è meglio rivolgersi a Benjamin Britten, i Quattro interludi marini dall'opera Peter Grimes (qui), e di sicuro con l'Otello di Giuseppe Verdi ci siamo proprio dentro, una tempesta di mare da far paura (qui). Sul molo di Cipro, ad osservare la nave di Otello e di Desdemona in mezzo alla tempesta, c'è anche Jago: che commenta con queste parole, "l'alvo frenetico del mar sia la sua tomba". Però poi la nave arriva in porto, anche se noi sappiamo che il sereno durerà poco. Otello è Shakespeare, e Shakespeare rimanda subito a "La Tempesta": ma qui mi conviene di fermarmi, altrimenti gira davvero la testa - ma per le vertigini, non per il mal di mare.


(i dipinti sono di Turner)




domenica 8 aprile 2018

Da piccolo


Da piccolo credevo che le albicocche secche fossero orecchie, e mi domandavo a quali infelici fossero state tagliate. Quando fui costretto a assaggiarne una, prelevandola da una composizione natalizia di datteri e frutta candita, mi dissi:" Di questo dunque sanno le orecchie".

Michele Mari, Tu, sanguinosa infanzia, ed. Einaudi



venerdì 6 aprile 2018

Più rossa della ciliegia


La storia di Aci e Galatea (da Ovidio, Metamorfosi, XIII) è tragica, perché l'intervento brutale di Polifemo spezzerà l'amore fra i due giovani. Ma quando Haendel la mette in musica a Londra nel 1718 utilizzando un libretto di John Gay, non mancherà il tono di commedia, perfino con effetti comici, almeno fino al momento fatale. E' un dramma pastorale, che Haendel aveva già musicato a Napoli nel 1708, in italiano (libretto di Nicola Giuvo); le due opere sono completamente diverse e sono unite solo dal soggetto. Polifemo, nella versione londinese, viene presentato come un campagnolo rozzo e molto diretto nelle sue espressioni; la caratterizzazione non avrà mancato di divertire il pubblico, e se si trova un bravo interprete è divertente ancora oggi. Polifemo diventa parente stretto di Braccio di Ferro, forse un antenato del suo eterno rivale Bluto; si innamora di Galatea (Olivia?) e se ne esce con questa cosa qui, recitativo e aria.
Infurio, brucio, fremo! Il fragile dio mi ha pugnalato al cuore. Tu, pino fedele, sostegno dei miei passi divini, ti depongo! Portatemi cento canne ben cresciute per farne un flauto per la mia grande bocca; in lievi fascinosi accenti fatemi sussurrare di Galatea la bella e del mio amore. Più rossa della ciliegia, più dolce della bacca, fanciulla più luminosa di una notte di luna, leggera e allegra come un capretto! Gonfia come un grappolo maturo, più lustra di un giglio, ma indomabile come il fuoco e fiera come la tempesta!

 photo Tamara Giorgetti del blog Un pezzo della mia maremma


mercoledì 4 aprile 2018

Needles in the camel’s eyes



Brian Eno tra poco più di un mese compirà settant’anni. Il compositore inglese ne aveva 25 quando incideva con Phil Manzanera e Robert Fripp  “ Here come the warm Jets”. Il brano che apre il disco, come altri di Eno, non ha un senso univocamente accessibile; lo stesso compositore avverte che  Needles in the camel’s eyes venne scritta in un tempo minore di quello necessario a cantarla. Il significato del brano dunque è quello che ognuno vuol dargli. 
Lo propongo perché  mi piace e poi perché nel titolo c’è un cammello :-)

lunedì 2 aprile 2018

Ornitorinco ( II )

PER DARE IL NOME ALLA "COSA" ECO RIPARTE DALL'ORNITORINCO
Giulio Giorello, Corriere della sera 23.10.1997

Un naturalista nel 1798 invia dall’Australia al British Museum la pelle impagliata di un animaletto che i coloni chiamano «talpa d’acqua». E' grande come una talpa, ha occhi piccoli come una talpa, ma non è una talpa. Si è mai vista una talpa con il becco? Gli esperti britannici lo battezzano Platypus anatinus, a causa di quel suo becco da brutto anatroccolo che fa pensare allo scherzo di qualche burlone che lo abbia «innestato» sulla testa di un quadrupede.
Nel 1800 il tedesco Blumenbach lo chiama Ornythorynchus paradoxus. Oggi lo conosciamo come ornitorinco; ma che ne è del «paradosso»? Lo sconcertato Blumenbach con quella qualificazione alludeva all’ingrato compito di “categorizzare qualcosa come incategorizzabile». Così Umberto Eco, in questo Kant e l'ornitorinco (Bompiani). Il riferimento al filosofo di Koenigsberg, ossessionato dal problema di ricondurre «il caso particolare» sotto una qualche «regola generale» (sì, proprio lui - quello che anche il più distratto liceale ricorda come il filosofo della «tavola delle categorie», o magari dell’«imperativo categorico»), é a sua volta paradossale. Quando i primi esemplari dell’animale arrivano in Europa il vecchio Immanuel, malato nel fisico e inacidito nel carattere, non si accorge certo dell'ornitorinco: eppure, esso avrebbe costituito una bella sfida per chi riteneva che è l'uomo a imporre le proprie leggi alla natura. Per altro, si è occupato dell'ornitorinco un altro Grande Vecchio, quel Jorge Luis Borges che ha ispirato Eco per il "cattivo" del Nome della rosa. «Un animale orribile, fatto con pezzi di altri animali», lo definiva l'autore di Finzioni. Invece, Eco ci tiene a «insinuare che essendo l'apparizione dell'ornitorinco molto remota nello sviluppo delle specie, più che essere fatto con pezzi di altri animali, siano gli altri animali a essere stati fatti con pezzi suoi».

sabato 31 marzo 2018

Ornitorinco ( I )


Sono un sincero estimatore dell'ornitorinco (o platipo), forse perchè in Australia ho avuto occasione di vederlo dal vivo, ma anche perchè pare essere stato creato da Dio o dalla Natura per mettere in questione il nostro apparato categoriale. L'ornitorinco ha un becco d’anatra, le zampe palmate e fa le uova, ma non é un uccello, passa gran parte della giornata sott'acqua ma non è un anfibio, è coperto di pelo, ha la coda da castoro, allatta i piccoli ma non ha capezzoli, e si fatica a capire da dove i neonati succhino il latte. Quando, alla fine del 700, un esemplare impagliato è stato portato in Inghilterra, i naturalisti lo hanno giudicato lo scherzo di un taxidermista. Finalmente (ma il dibattito è durato decenni) si sono decisi di classificarlo tra i mammiferi, ordine dei monotremi, ma se andate a vedere un albero tassonomico lo trovate proprio di fianco, come in uno strapuntino, per non lasciarlo andare in giro come un apolide. E' pertanto un animale apparentemente antikantiano, a tal segno che (proprio per saggiare meglio la teoria kantiana della conoscenza) mi sono proposto di scrivere un saggio su Kant e l'ornitorinco. Siccome le enciclopedie che avevo in casa non mi davano notizie storiche, mi è venuta l’idea di cercare su internet. Come ho poi controllato, avrei trovato qualcosa anche se lo avessi cercato col suo nome scientifico (ornithorhynchus anatinus), con quello italiano, francese, tedesco, eccetera. Ma internet parla per lo più inglese e ho cominciato con “platypus".

giovedì 29 marzo 2018

Concerto




Come d’intesa con Meehawl MacMurrachu, il Filosofo mandò i bambini in cerca di Pan. Spiegò molto bene a tutti e due quello che dovevano dire al Dio Silvano, e la mattina presto, dopo avere ascoltato gli ammonimenti della Donna Magra di Inis Magrath, i bambini si misero in cammino.
Quando arrivarono allo spiazzo nella pineta, dove il sole splendeva attraverso i rami, si sedettero un momento per riposarsi a quel tepore. Gli uccelli piombavano giù di continuo lungo quel pozzo di foglie, poi sfrecciavano via nell'ombra della pineta. Avevano sempre qualcosa nel becco: un verme, una lumaca, una cavalletta, un batuffolo di lana strappato a una pecora, un brandello di stoffa, un filo di paglia; e dopo aver riposto quelle cose in un luogo prestabilito, risalivano in volo quel pozzo di sole e andavano a cercare qualcos’altro da portare a casa.

martedì 27 marzo 2018

Che cos'è la vita


La vita dell’uomo tra il cielo e la terra è come un puledro bianco che salta una scarpata: un lampo, ed è finito.

Zhuang-zi (Chuang-tzu), pag.201 ed. Adelphi 2001 traduzione di Carlo Laurenzi e Christine Leverd



(Adolphe Van der Venne, 1828-1911)

domenica 25 marzo 2018

Il labirinto senza muri


Narrano gli uomini degni di fede che nei primi giorni ci fu un re delle isole di Babilonia che radunò i suoi architetti e maghi e ordinò loro di costruire un labirinto tanto complicato e sottile che gli uomini più prudenti non osavano entrarvi, e coloro che entravano si perdevano. Quest'opera era uno scandalo, perché la confusione e la meraviglia sono proprie di Dio e non degli uomini. Con l’andar del tempo venne alla sua corte un re degli arabi, e il re di Babilonia (per farsi beffe della semplicità del suo ospite) lo fece entrare nel labirinto, dove vagò vergognoso e confuso fino al calar della sera. Allora implorò l’aiuto divino e trovò la porta. Le sue labbra non profferirono alcuna lamentela, ma disse al re di Babilonia che egli aveva in Arabia un labirinto migliore, e che se Dio voleva, un giorno glielo avrebbe fatto conoscere. Poi tornò in Arabia, riunì i suoi capitani e cadì e invase i regni di Babilonia con tanta venturosa fortuna che ne abbattè i castelli, ne sbaragliò le genti e fece prigioniero lo stesso re. Lo legò sulla schiena di un veloce cammello, e gli disse: “O re del tempo e sostanza ed emblema del secolo! a Babilonia mi facesti perdere in un labirinto di bronzo con molte scale, porte e muri; ora il Potente ha voluto che ti mostri il mio, dove non esistono scale da salire né porte da forzare, né faticose gallerie da percorrere, né muri che ti vietino il passo." Poi gli sciolse i lacci e lo abbandonò in mezzo al deserto, dove morì di fame e di sete.


Storia dei due re a dei due labirinti, da "The land of Midian Revisited" (1879) di R.F. Burton
tratto da "Racconti brevi e straordinari", a cura di Adolfo Bioy Casares e Jorge Luis Borges, pagine 84-85 edizione Franco Maria Ricci, traduzione di Gianni Guadalupi.



venerdì 23 marzo 2018

La pietra filosofale (Tagore)


LXVI
Un pazzo vagabondo cercava   la pietra filosofale;
coi capelli arruffati,   bruni, coperti di polvere,
il corpo ridotto ad un'ombra,
le labbra serrate   come le parti chiuse del suo cuore,
gli occhi ardenti come il lume
della lucciola che cerca il suo compagno.
Davanti a lui rumoreggiava    l’oceano infinito.
Le garrule onde parlavano incessanti
di tesori nascosti,
burlandosi dell’ignoranza   che non conosce il loro segreto.
Forse ora non gli restava
più nessuna speranza,
e pure non voleva fermarsi    perché quella ricerca
era diventata la sua vita --
Proprio come l’oceano   per sempre leva le sue braccia
al cielo, per raggiungere l'impossibile -
Proprio come le stelle girano in tondo
cercando una meta   che non può mai essere raggiunta --
Proprio così sulla spiaggia solitaria
il pazzo dai capelli bruni e polverosi
vagava in cerca della pietra filosofale.

mercoledì 21 marzo 2018

Le stagioni secondo Wyatt


Come sempre con Robert Wyatt, è difficile capire se sta facendo sul serio o se ti prende in giro, o se magari si sta solo divertendo con un nonsense: « L'Inverno è il tempo in cui penso al passato» potrebbe essere il verso di un grande poeta, invece «D'Estate è quando mi piace star seduto sull'erba» è poco più di una considerazione da banale chiacchierata, eppure alla fine qualcosa rimane in mente. Qui Wyatt era molto giovane, suonava la batteria da grande percussionista e cantava nel secondo lp dei Soft Machine; prima presenta "The British Alphabet" ("Ladies and Gentlemen, the British Alphabet!") nei due sensi, quello giusto e poi alla rovescia (non è da tutti) e poi comincia a raccontare le stagioni e il passare del tempo, mettendomi subito in difficoltà perché non riesco a tradurre il senso del finale del primo verso ("means to ends"), ma insomma. E' qualcosa che ascolto sempre molto volentieri, spero che sia lo stesso per voi.



HIBOU, ANEMONE AND BEAR (un clic qui per l'ascolto)

Words by Robert Wyatt, Music by Mike Ratledge

In the Spring, I think of sex and means to ends
Summertime, I like to sit upon the grass
Autumn nights I go to parties with my friends
Winter time is when I think about the past
But of course I do all those things all year 'round
I mean, all the good things are there to be found
It's all here, pick-a-back and get to work
If you don't, your life will surely go berserk
Or indeed be bored to death, which is worse?
If something's not worth saying
Not worth saying
Not worth saying
Say it...



(In primavera, penso al sesso "and means to ends"; in estate, mi piace stare seduto sull'erba; nelle notti d'autunno vado alle feste con i miei amici; d'inverno è quando penso al passato. Ma, ovviamente, faccio queste cose tutto l'anno - voglio dire, le cose belle sono qui per essere trovate, è tutto qui, metti in spalla e comincia a lavorare. Se non fai così, la tua vita diventerà sicuramente piena di rabbia, o magari sarai annoiato a morte: cosa è peggio? Se qualcosa non vale la pena di essere detto, se non vale la pena di essere detto, dillo...)

(disegni da The Oswick Bird di Edward Gorey, 1966)

lunedì 19 marzo 2018

Bufali

Fra le storie del deserto egizio, una narra d'un anacoreta che pasceva con i bufali. Chiese a Dio come potesse migliorare e udì la risposta, di andare in un certo cenobio. Qui i novizi lo insultano ed egli non sa svolgere i suoi lavori, finché nuovamente si rivolge a Dio: «Signore, il lavoro degli uomini io non lo capisco, rimandami dai bufali». Dio consentì e di nuovo l'anacoreta visse tra i bufali nelle campagne. Ma un giorno cadde coi bufali nelle reti che i cacciatori avevano teso. Gli venne in mente di liberarsi, ma ripensò che se usava le mani da uomo doveva tornare a vivere con gli uomini, e rimase inerte. Quando la mattina i cacciatori sopravvennero, rimasero esterrefatti e lo misero in libertà insieme ai bufali, ed egli fuggì correndo dietro ai bufali.


Elemire Zolla, dal Corriere della Sera 21.09.1988 (storia dei rapporti fra uomini e gli altri esseri viventi nelle religioni)



(immagine trovata senza indicazioni, purtroppo)





sabato 17 marzo 2018

La pietra di luna

Una nuova melodia, alta e gioiosa, si levò dal tempio nascosto. La folla attorno a me rabbrividì e si strinse insieme. La tenda tra gli alberi fu spostata e il santuario fu visibile. Lì, alto su un tronco, poggiato sulla sua solita antilope con le quattro zampe allungate verso i quattro angoli della terra, si levò sopra di noi, scuro e tremendo nella luce mistica del cielo, il dio della Luna. E lì, sulla fronte della divinità, brillava il Diamante Giallo, il cui splendore- l'ultima volta che lo avevo visto - mi aveva rischiarato in Inghilterra, dalla scollatura del vestito di una donna! Sì! Dopo un intervallo di otto secoli, la Pietra di Luna guarda di nuovo oltre le mura della città sacra dove la sua storia è iniziata.(...). Dunque, gli anni passano, la storia si ripete e gli stessi eventi ruotano nei cicli del tempo. Quale sarà la prossima avventura della Pietra di Luna?Chi può dirlo? 

Wilkie Collins, La pietra di luna, ed Newton Compton
Traduzione di Adriana Altavila



Qui una sequenza dello sceneggiato RAI
Qui caratteristiche e proprietà della pietra di luna



giovedì 15 marzo 2018

Il gatto Felix


La Gatta si siede e guarda qualcosa che a me sfugge. Io sono alla finestra, lei è di schiena, difficile dire cosa sta pensando ma la macchia nera sul dorso, a forma di punto, e la posizione della coda mi riportano a qualcosa di familiare, qualcosa a cui non stavo proprio pensando e che non mi tornava alla memoria da tanti di quegli anni che non saprei nemmeno dire quanti. Ma sì, il gatto Felix: la coda che diventa un punto interrogativo, o magari un bastone, o un punto esclamativo.



Molti pensano che Felix sia solo una marca di cibo per animali, invece è un nome che viene da lontano. Io da bambino vedevo in tv i cartoni animati  degli anni'60, che sono belli e divertenti, ma se davvero volete conoscere il gatto Felix fate un giro su youtube, e cercate i cartoni di Otto Messmer e di Pat Sullivan, che sono degli anni '30. Ce ne sono tanti, a decine, e sono tutti belli e stralunati.




Intanto, mentre io elaboravo il mio ricordo, la Gatta ha sciolto il suo punto interrogativo e se ne è andata chissà dove (non lontano, credo di sapere dov'è quel dove). Qui sotto è rimasta solo Ciccetta, sua figlia anche se a vederle vicine non sembrerebbe mai che siano parenti: Ciccetta dorme e sogna nell'amaca, chissà cosa sta sognando.

(New York, 1927, thanksgiving day)