venerdì 23 marzo 2018

La pietra filosofale (Tagore)


LXVI
Un pazzo vagabondo cercava   la pietra filosofale;
coi capelli arruffati,   bruni, coperti di polvere,
il corpo ridotto ad un'ombra,
le labbra serrate   come le parti chiuse del suo cuore,
gli occhi ardenti come il lume
della lucciola che cerca il suo compagno.
Davanti a lui rumoreggiava    l’oceano infinito.
Le garrule onde parlavano incessanti
di tesori nascosti,
burlandosi dell’ignoranza   che non conosce il loro segreto.
Forse ora non gli restava
più nessuna speranza,
e pure non voleva fermarsi    perché quella ricerca
era diventata la sua vita --
Proprio come l’oceano   per sempre leva le sue braccia
al cielo, per raggiungere l'impossibile -
Proprio come le stelle girano in tondo
cercando una meta   che non può mai essere raggiunta --
Proprio così sulla spiaggia solitaria
il pazzo dai capelli bruni e polverosi
vagava in cerca della pietra filosofale.


Un giorno, un ragazzo del villaggio
si avvicinò e gli chiese:
« Dimmi, dove hai trovato
questa catena d’oro
che ti cinge la vita? »
Il pazzo trasalì:
la catena che una volta era di ferro
era proprio diventata d’oro;
non era un sogno, ma lui non sapeva
quando il mutamento era avvenuto.
Si colpì con violenza la fronte -
dove, oh dove, senza saperlo,
aveva raggiunto la sua meta?
Si era ormai abituato a raccogliere pietre
e toccare con esse la catena,
e poi gettarle via senza guardare
se la trasformazione era avvenuta;
così il pazzo aveva trovato la pietra
filosofale, e l’aveva perduta.
Il sole calava a occidente,
il cielo era d’oro.
Il pazzo ritornò sui suoi passi
per cercare di nuovo il perduto tesoro,
ma ormai privo di forze,
il corpo ricurvo,
il cuore nella polvere,
come un albero sradicato.


(Rabindranath Tagore, Poesie, ed. Newton Compton 1971, traduzione Girolamo Mancuso)



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