Giulio Giorello, Corriere della sera 23.10.1997
Un naturalista nel 1798 invia
dall’Australia al British Museum la pelle impagliata di un
animaletto che i coloni chiamano «talpa d’acqua».
E' grande come una talpa, ha occhi piccoli come una talpa, ma non è
una talpa. Si è mai vista una talpa con il becco? Gli esperti
britannici lo battezzano Platypus anatinus, a causa di quel suo becco
da brutto anatroccolo che fa pensare allo scherzo di qualche burlone
che lo abbia «innestato» sulla testa di un quadrupede.
Nel 1800 il tedesco Blumenbach lo
chiama Ornythorynchus paradoxus. Oggi lo conosciamo come ornitorinco;
ma che ne è del «paradosso»? Lo sconcertato Blumenbach con quella
qualificazione alludeva all’ingrato compito di
“categorizzare qualcosa come incategorizzabile». Così Umberto
Eco, in questo Kant e l'ornitorinco (Bompiani). Il riferimento al
filosofo di Koenigsberg, ossessionato dal problema di ricondurre «il
caso particolare» sotto una qualche «regola generale» (sì,
proprio lui - quello che anche il più distratto liceale ricorda come
il filosofo della «tavola delle categorie», o magari
dell’«imperativo categorico»), é a sua volta paradossale. Quando
i primi esemplari dell’animale arrivano in
Europa il vecchio Immanuel, malato nel fisico e inacidito nel
carattere, non si accorge certo dell'ornitorinco: eppure, esso
avrebbe costituito una bella sfida per chi riteneva che è l'uomo a
imporre le proprie leggi alla natura. Per altro, si è occupato
dell'ornitorinco un altro Grande Vecchio, quel Jorge Luis Borges che
ha ispirato Eco per il "cattivo" del Nome della rosa. «Un
animale orribile, fatto con pezzi di altri animali», lo definiva
l'autore di Finzioni. Invece, Eco ci tiene a
«insinuare che essendo l'apparizione dell'ornitorinco molto remota
nello sviluppo delle specie, più che essere fatto con pezzi di altri
animali, siano gli altri animali a essere stati fatti con pezzi
suoi».
Via via emergono caratteristiche che
dovrebbero far classificare quello «scherzo della natura» come
oviparo, eppure la femmina ha le mammelle (dunque sarebbe un
mammifero); però non ha i capezzoli, eppure allatta, poiché
presenta sulla superficie ghiandole come dei pori, da cui secerne un
liquido che alcuni esperti riconoscono come latte. Intanto altri
esperti cercano le «piccolissime» (e introvabili) uova. Solo nel
1884, W. H. Caldallessa telegrafa all’Università di Sydney che
l'ornitorinco è monotremes oviparous, ovum meroblastic. La
seconda qualificazione indica che la modalità di scissione
dell'embrione è quella tipica di uccelli e rettili; la prima
ribadisce che si tratta di un oviparo, ma resta il fatto che
l'ornitorinco forma un genere della famiglia dei mammiferi,
nell'ordine dei «monotremi» (cioè «con un solo orifizio»). Un
ordine in cui sta quasi da solo, perché l'unico altro genere che vi
viene associato è l'echidna, che si trova nelle stesse regioni.Che insegnamento avrebbe potuto trarre un «kantiano» dalla vicenda? Innanzitutto, dice Eco, «il primo tentativo di capire quello che si vede consiste nell’inquadrare l'esperienza in un sistema categoriale precedente», salvo poi riadattare questo alle nuove osservazioni. Ma ogni ipotesi su come dovrebbe essere il quadro categoriale corretto indirizza l'osservazione - chi vuole l’ornitorinco tra i mammiferi trascura «la caccia all'uovo»; chi l'arruola tra gli ovipari trova ridicolo cercare mammelle e latte. Insomma (come amo dire ai miei studenti), ecco un tipico caso in cui cade il dogma «dell'immacolata osservazione» intrisa, invece, di teorie, classificazioni più o meno ingenue, pregiudizi. Come aveva ammesso Galvani (durante la disputa con Volta circa «l'elettricità animale»), nell'osservazione ognuno «si sforza» di cogliere proprio quel che vorrebbe trovare. Prima di pensare alla malafede, dobbiamo riconoscere che senza tale sforzo non sapremmo cosa cercare e come descrivere ciò che troviamo. Per fortuna non siamo soli, diversamente da Robinson sull’isola deserta (almeno all’inizio). Aveva ragione Popper a ricordare che lo scienziato ha sempre bisogno di un Venerdì che lo contesti e gli opponga modi diversi di vedere gli ornitorinchi (e il mondo). E' questa, per Eco, e la seconda lezione: il sapere è frutto di contrattazione e non solo nel caso di animali esotici come l’ornitorinco, ma anche di bestie più comuni (come il gatto) e di strutture ben più complesse (come il sistema solare). Diceva lo storico dell’arte Ernst Gombrich: «Ci è lecito vedere una montagna nel cumulo fatto da una talpa o chiedere al nostro giardiniere di metterne una in giardino», Eppure, sembra ribattergli Eco, sarebbe difficile concepire di «scalare» il cumulo fatto dalla talpa, almeno nel senso in cui scaliamo il Monte Bianco. E pur ammettendo la natura elusiva dell'ornitorinco, nessuno pretende che esso «voli come un’aquila», anche se non è mancato chi lo classificava tra gli uccelli. «I negoziati si aggirano sempre intorno a resistenze». E' all’insorgere di queste che si deve per Eco la decisione, anch’essa «contrattuale», di riconoscere che «certi tratti non erano negabili». Dunque «bisogna arrendersi all’evidenza che ci sia una componente iconica della percezione.»
Immaginiamo che da una collina
assistano allo spettacolo dell'alba Tolomeo, che credeva a un Sole mobile; Keplero, che immaginava il Sole
fisso intorno a cui orbitavano la Terra e gli altri pianeti; Newton,
che la pensava abbastanza come Keplero (ma lo correggeva notando che
Sole e Terra orbitano entrambi intorno al baricentro del sistema, che
per altro si trova nel Sole stesso), e un primitivo che forse «non
ha nemmeno un nome per il Sole». Vedono tutti la stessa cosa? Sì e
no. No, per ognuno il Sole è una cosa diversa: è caduto il dogma
dell'immacolata osservazione. Sì, perché vedono tutti un globo
luminoso stagliarsi nel cielo: la «componente iconica» fa sì che
nel riferirsi al Sole i nostri eroi riescano a capirsi,
anche se dissentono sul significato delle credenze astronomiche.
Riportare il caso particolare alla «giusta» regola universale -
come doveva accorgersi Kant a proprie spese - è tutt’altro che
facile. Peirce aveva scorto qui non solo il punto debole del
kantismo, ma la principale ragione per quell’atteggiamento
«fallibilista», che teorizza la possibilità di rimpiazzare le
interpretazioni con altre nuove e più aperte. Ma perché allora non
seguire Nietzsche: avere il coraggio di percepire «ora come uccelli,
ora come vermi, ora come piante»?
Contro questa «rivoluzione poetica
permanente» vi sono, dice Eco, proprio le «resistenze» di cui si
diceva prima. Questo non significa che solo ai poeti (o ai folli)
spetti il compito della «continua reinvenzione del linguaggio», ovvero
«riprendere a ogni istante il lavoro dell’interrogazione e della
ricostruzione del mondo». Lo fanno, almeno qualche volta, anche gli
scienziati e «la gente comune». E se per «pensare» intendiamo
davvero che si fa tutto questo, «pensano» non solo filosofi o poeti
ma anche matematici e fisici, o magari artigiani e casalinghe.
Nell'incessante processo di negoziazione finiamo talvolta col
rimodellare il mondo in modo che esso ci appare «incommensurabile»
rispetto a quello che era prima. Allora, è un po’ come avviene per
le città. Vicino a dove insegno, la Statale di Milano, l’acqua del
Naviglio un tempo faceva una rientranza. Mio padre si ricordava
ancora della piccola darsena; oggi è rimasto il nome di una via (via
Laghetto) e l’acqua è scomparsa. La Milano di oggi sembra
«incommensurabile» con quella dei primissimi anni del secolo;
proprio come l'attuale concezione degli atomi è «incommensurabile» con quel a degli antichi, per cui atomo
voleva dire indivisibile.
Sospesi tra resistenza della «natura»
e pulsioni a cambiare «il nostro giardino» con la liberta che
invocava Gombrich, magari potremmo essere tentati di cercare quella
«lingua perfetta» che aderisca così bene alle cose da dissipare ogni
ambiguità lasciandoci intuire le intenzioni della Mente Divina. Ma
se tale lingua esistesse, essa - ammonisce Eco - «escluderebbe quel
momento contrattuale che rende efficaci le nostre lingue». Sarebbe
come vivere in una citta «perfetta», che esclude qualsiasi
ristrutturazione. Ma sarebbe ancora vita?
(la prima illustrazione viene da un libro della London Zoological Society, 1835; le altre due immagini erano senza fonte, e me ne dispiace molto)
(la prima illustrazione viene da un libro della London Zoological Society, 1835; le altre due immagini erano senza fonte, e me ne dispiace molto)
Ipotesi: per Kant l'ornitorinco sarebbe un fenomeno mistico. (Magari lo è davvero)
RispondiEliminasu Kant non posso esprimere un'opinione... ho solo il diploma di perito chimico, per di più con un punteggio medio-basso. Però questa pagina mi piace, fa pensare :-)
EliminaÈ ufficiale: mi sono riappassionata all'ornitorinco. Che si, forse è un fenomeno mistico
RispondiEliminain effetti è bellino :-) peccato che non si possano tenere in casa (serve un corso d'acqua!)
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