La storia di Arianna è a lieto fine:
abbandonata da Teseo sull'isola di Nasso, dopo averlo aiutato ad
uscire dal Labirinto, è disperata e vorrebbe morire. Ma poi la
giovane reagisce, subentra la rabbia verso l'uomo che amava e l'ha
abbandonata, invoca contro di lui le tempeste e i mostri marini
("orchi e balene"), subito se ne pente, è ancora
innamorata e torna a straziarla il dolore dell'abbandono. E' qui, in
queste condizioni, che la trova Dioniso: la prende con sè, con
dolcezza, e la fa sua sposa. Al mito di Arianna abbandonata si
ispirarono molti scrittori, poeti e musicisti di tutte le epoche;
"Arianna" è anche un'opera di Claudio Monteverdi, un'opera
per noi perduta, che non possiamo più eseguire né riascoltare.
L'Arianna di Monteverdi è dunque
un'opera perduta, ed è un fatto ben strano perchè ebbe numerose
rappresentazioni e in città lontane fra di loro. E' più che
probabile che prima o poi qualche baule o qualche biblioteca ci renda
l'opera intera, ma per ora abbiamo soltanto il Lamento di Arianna,
che è un brano molto famoso e molto eseguito in concerto. Il Lamento
di Arianna è arrivato fino a noi perché Monteverdi lo incluse nel
suo Sesto Libro dei Madrigali, pubblicato a stampa nel 1614; ed è un
ascolto strano e affascinante, perché il lamento della giovane donna
abbandonata è scritto per cinque voci, cioè il canto di Arianna è
ripreso e modulato da cinque persone diverse, voci maschili e
femminili che si intersecano e che ribadiscono come un'eco continua e
dolorosa i suoi sentimenti. Accade così anche dentro di noi, nei
nostri momenti più difficili e dolorosi: le voci interne che si
sommano fra di loro, che si aggrovigliano, non fai in tempo ad
ascoltarne una che già altre ne nascono, come da un'idra o da un
mostro marino. Poi tutto passa, il dolore si scioglie, la vita
continua.
Il risultato ottenuto da Monteverdi è
potente e toccante, e può lasciare sorpresi, ma si tratta solo del
primo ascolto ed è più che probabile - visti i tempi che corrono -
che non abbiate mai ascoltato nulla di simile.
Il testo è di Ottavio Rinuccini, ne
riporto qui solo l'ultima parte.
(... ) ahi, che non pur risponde...
ahi, che più d'aspe è sordo a' miei
lamenti...
O nembi, o turbi, o venti,
sommergetelo voi dentr'a quell'onde;
correte, orchi e balene,
e de le membra immonde
empiete le voragini profonde!
Che parlo, ahi, che vaneggio?
Misera, ohimè, che chieggio?
O Teseo, o Teseo mio,
non son, non son quell' io,
non son quell' io che i féri detti
sciolse:
parlò l'affanno mio, parlò il dolore;
parlò la lingua sì, ma non già il
core.
(Ottavio Rinuccini, dal "Lamento
di Arianna" di Claudio Monteverdi)
(Bucher 1554 per Diodoro Siculo)
(il dipinto è di Pietro Antonio Rotari)
qui la versione a cinque voci
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