Dopo qualche momento capì che non era
il trillo di un uccello. Nessun uccello avrebbe mai cantato una
melodia cosi precisa, perché il loro canto è capriccioso come le
loro ali. Si drizzò a sedere e guardò intorno, ma non vide nulla: al
di sopra del suo capo le colline salivano con dolce pendio su su,
verso il cielo limpido; intorno a lei gli sparsi cespugli di erica
sonnecchiavano nel sole; sotto di lei, in lontananza, poteva vedere
la casa di suo padre, una macchia grigia accanto a un ciuffo di
alberi - e poi la musica finì, lasciandola ai suoi stupiti
interrogativi.
Per quanto cercasse, non riuscì a
trovare le sue capre. Infine tornarono spontaneamente da dietro un
colle, sfrenate e sovreccitate come non le aveva mai viste. Anche le
mucche persero la loro solita aria solenne e le girarono intorno
abbandonandosi a goffi salti.
Mentre tornava a casa, quella sera, una
strana esultanza insegnò ai suoi piedi a danzare. Essa volteggiava
qua e là ora precedendo le sue bestie, ora seguendole. I suoi piedi
saltellavano battendo un ritmo capriccioso. Aveva un motivo nelle
orecchie e ballava con esso, buttando le braccia in fuori e al di
sopra del capo, e ondeggiando e piegandosi nell'andare. Ora il suo
corpo godeva della sua piena libertà: l'agilità, l’equilibrio e
la sicurezza delle sue membra la incantavano, e anche la forza che
non conosceva stanchezza la incantava. Il tardo pomeriggio era pieno
di una pace serena, la dolce luce crepuscolare del sole disegnava un
sentiero per i suoi piedi, e la vastità dei campi era tutta un volo
di uccelli che sfrecciavano e cantavano, e lei cantava con loro un
canto che non aveva parole, e non aveva bisogno di parole.
(Tiziano, le tre età)
L'indomani sentì di nuovo quella
musica, fievole e vaga, meravigliosamente dolce eppure sfrenata come
il canto di un uccello, ma era una melodia che nessun uccello avrebbe
saputo ripetere. C’era un tema che tornava sempre. In un fiotto di
trilli, passaggi, volate e ritornelli, eccolo riaffiorare con una
solennità strana, quasi sacra - una melodia che imponeva il
silenzio, sottile, estremamente austera e distaccata. C'era in essa
qualcosa che le faceva battere il cuore, qualcosa verso cui le sue
orecchie e le sue labbra si tendevano con desiderio. Era gioia,
minaccia, spensieratezza? Non lo sapeva; ma una cosa sapeva: che per
quanto terribile fosse, era soltanto sua. Era il suo pensiero non
nato divenuto misteriosamente suono, e sentito con l'anima più che
compreso con la mente.
Anche quel giorno non vide nessuno. La
sera, svogliatamente, riportò a casa le bestie affidate alle sue
cure, e anche loro erano molto tranquille. Quando sentì di nuovo
quella musica, non fece nulla per scoprire di dove venisse. Si limitò
ad ascoltare, e quando la melodia finì vide sorgere, dalla piega di
un piccolo colle, una figura d’uomo. La luce del sole scintillava
sulle sue braccia e sulle sue spalle, ma il resto del corpo era
nascosto dalle felci, e l'uomo, sonando dolcemente una zampogna, si
allontanò senza guardare verso di lei. Ma la guardò l’indomani.
Si fermò tra l’erba che lo copriva sino alla vita e rimase a
fissarla. Lei non aveva mai visto una faccia così strana. I suoi
occhi quasi morirono in lui mentre lo guardava, e per un lungo minuto
lui la fissò a sua volta con uno sguardo assorto e inespressivo. I
suoi capelli erano un intrico di riccioli bruni, il naso era piccolo
e dritto, la bocca larga aveva una piega triste agli angoli. Gli
occhi erano grandi e desolati, la fronte molto vasta e bianca. Quegli
occhi e quella bocca così tristi la fecero quasi piangere.
Quando si volse per andarsene le
sorrise, e fu come se tutt’a un tratto il sole sfolgorasse in un
luogo buio scacciandone tutta la tristezza e la tetraggine. Poi si
allontanò a piccoli passi. Nell’andare si portò alle labbra la
sottile zampogna e ne trasse qualche nota spensierata.
(Waterhouse, 1911)
L'indomani si fermò a poca distanza da
lei come il giorno prima, guardandola negli occhi. Suonò solo per
pochi istanti e in modo capriccioso, poi le andò vicino. Quando uscì
dalle felci, la ragazza tutt’a un tratto si coprì gli occhi con le
mani, spaventata. C'era qualcosa di diverso, in lui, di terribile. La
parte superiore del suo corpo era bella, ma la parte inferiore... Non
osava più guardarlo. Avrebbe voluto alzarsi e scappar via, ma temeva
che lui le corresse dietro, e l’idea di quell’inseguimento e
dell’inevitabile cattura le gelava il sangue.
L’idea di avere qualcosa alle spalle
è sempre terribile. Il suono dei passi che ci inseguono è più
atroce dell’assassinio dal quale fuggiamo... Così rimase immobile
ad aspettare, ma non accadde nulla. Infine, disperatamente, abbassò
le mani. Lui si era seduto sul terreno, a pochi passi da lei. Non la
guardava; era girato di profilo, e fissava gli occhi verso l'ampia
collina. Teneva le gambe incrociate; erano pelose e coi piedi a
zoccolo come quelle di una capra; ma lei non le guardava, tutta presa
da quella straordinaria faccia triste, grottesca. La gaiezza è bella
da vedere e un viso innocente rallegra l’anima, ma non c'è donna
che possa resistere alla malinconia o alla debolezza, e che osi
resistere alla bruttezza. La sua natura la spinge a essere la
consolatrice. E' la sua ragione di vita. Ciò la innalza a uno stato
di estasi dove più nulla ha valore all’infuori del sacrificio di
sé. Gli uomini non sono padri per istinto ma per caso; la donna è
madre al di là del pensiero, al di là dell’istinto che è il
padre del pensiero. Maternità, compassione, sacrificio di sé - ecco
le spinte della sua cellula originaria, e nemmeno la scoperta che
gli uomini sono commedianti, bugiardi ed egoisti può farla cambiare.
Mentre guardava quel viso così patetico, lei cancellava l'aspetto
orribile di quel corpo. Le donne giustificano la bestia che esiste in
ogni uomo: è il suo lato infantile, l'energia distruttiva
inseparabile dalla giovinezza e dall’entusiasmo, e le donne la
perdonano sempre, spesso la dimenticano, talvolta, non di rado, la
vezzeggiano e la incoraggiano.
Dopo qualche momento di silenzio, lui
si portò alle labbra la zampogna e suonò un motivo triste; poi
parlò con voce strana, simile a un vento che venisse da lontano.
- Come ti chiami, pastorella? - le
domandò.
Ora DEVO sapere come continua. Che scrittura meravigliosa :-)
RispondiEliminaè un bel libro, si legge in fretta anche se con qualche pesantezza "filosofica" nella parte centrale. E' anche molto divertente :-)
RispondiEliminaJames Stephens è coetaneo di Joyce e suo amico
Accidenti, che pezzo.
RispondiEliminaHo comprato La pentola dell'oro tempo fa, quando mi hai consigliato Stephens. Spero di potermi mettere presto alla lettura :-)
troverai tante sorprese :-)
RispondiEliminai personaggi sono tanti
Anch'io sono curiosa di conoscerne l'epilogo. Vedrò di trovarlo.
RispondiEliminava tutto a finire bene, non c'è da preoccuparsi :-)
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