2.
La seconda “epistola entomologica”
di Guido Gozzano è di 123 versi (sono tutte molto lunghe) e si
intitola “Dei bruchi”. Si tratta dei bruchi del baco da
seta: la seta è stata prodotta anche da noi, quello dei bachi da
seta era un allevamento molto comune, presente in quasi tutte le case
dei contadini fino agli anni '50. Non è un allevamento difficile, ma
è molto impegnativo: i bachi mangiano moltissimo, e sono velocissimi
nel mangiare; quindi bisogna rifornirli di continuo, con i rami e le
foglie del gelso.
Gozzano descrive i bruchi, poi ne
seziona uno e ce ne descrive minutamente l’anatomia. Penso che
Guido Gozzano sia stato l’unico poeta a scrivere in versi di queste
cose.
Da questa poesia scelgo due frammenti.
Nel primo, a partire dal verso 44, c’è la descrizione dei bachi
mentre mangiano le foglie di gelso:
Dei bruchi
Mirabile è la bocca, ordigno armato
d'acute lime in gemina ordinanza.
Concavo un labbro chiude nell'incavo
il margine fogliare che due salde
mandibole con moto orizzontale
tagliano a scatto, in guisa di cesoia.
Sotto queste maggiori altre minori
mandibole triturano le fibre,
quattro palpi n'adunano il tritume;
tra quelli e queste un foro sericíparo
svolge all'aria un sottil filo di seta.
(...)
(pag.253)
La parte migliore di questa poesia è
quando Gozzano parla della metamorfosi. Il baco da seta cambia pelle
molte volte, crescendo; e poi diventa crisalide. Alle crisalidi è
dedicata la terza “epistola entomologica” di Gozzano; per intanto
riporto qui il finale dell’epistola sui bruchi, dove in questo
“uscire da se stessi” ci sono echi della mitologia antica. Dalla
saga di Gilgamesh agli antichi egizi, e fino ai nostri giorni, la
metamorfosi degli insetti e il cambio di pelle dei serpenti ci hanno
sempre profondamente impressionati, e sono diventati simbolo
dell’immortalità e della rinascita. Oggi viviamo in tempi in cui
la Natura è cancellata e ignorata, ma fino a pochi anni fa queste
piccole osservazioni quotidiane erano possibili anche nelle grandi
città.
Si può notare che Gozzano usa gli
endecasillabi, e che il modello (molto esplicito) è Dante,
l’Inferno.
Eccoli intanto, bruchi tuttavia,
stinto il velluto, tumefatti i nodi,
eretto il capo immobile, le zampe
fisse alle foglie da sottili bave,
giacersi infermi nella sesta muta.
uno spasimo ignoto li tormenta:
essere un altro, uscire di se stessi!
Uscire di se stessi! E li vedete
or gonfiarsi, or contrarsi, ora
dibattersi,
or delle membra tremule far arco,
fin che sul terzo nodo ecco si fende
l'antica spoglia e sul velluto stinto
vivida splende la divisa nuova.
Ed uno appare in due e due in uno,
ma già l'infermo tutto si distorce
come da un casco liberando il capo
dal capo antico, dalle antiche zampe
le nuove zampe liberando, lento
muovendo già, lasciandosi alle spalle
quegli che fu, come guaina floscia.
(pag.255-56)
(le immagini vengono da "Enciclopedia illustrata delle farfalle" di V.Stanek, edizioni Accademia 1979)
(segue)
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