venerdì 23 settembre 2016

Ottimo Massimo e Cosimo di Rondò



illustrazione di Roger Olmos ( dettaglio )
Ottimo Massimo è il bizzarro e simpatico cane che Italo Calvino mette accanto all’altrettanto eccentrico Cosimo, barone di Rondò. Ottimo Massimo, con la sua visione da  bassotto, è il naturale complemento di Cosimo. Il cagnolino guarda le cose dal basso, Cosimo le guarda dall'alto. Insieme possono mettere meglio a fuoco ciò che sta nel mezzo..

Cosimo è un originale, si mantiene fedele solo al proprio codice interiore. Sale un giorno sugli alberi e diviene  “Barone rampante”: mai più toccherà il suolo; si riscatta in questo modo dalla limitata visione dei bipedi e dai tanti vincoli derivanti dalla umana condizione d'essere.
“ Stando in alto” Cosimo può accorgersi di cose che, chiuso in una dimensione ristretta, non avrebbe potuto notare  ( “... Se innalzi un muro, pensa a ciò che resta fuori...” ).
L’orizzonte di Cosimo si allarga ulteriormente grazie alla lettura, per cui egli nutre un’autentica passione, e ai contatti con la gente che incontra. 
  E’ un solitario che non evita gli altri ma che cerca di dare il proprio contributo originale alla comunità sociale.
L’apertura mentale consente a Cosimo di essere sinceramente democratico e di esprimere idee e concetti davvero nuovi per l’epoca in cui vive ( “ ...So che quando ho più idee degli altri , do agli altri queste idee, se le accettano, e questo è comandare.... ).
Cosimo riesce a fare tutto questo perchè “... Solo essendo spietatamente se stesso come fu fino alla morte, poteva dare qualcosa agli uomini...”
Il passo che riporto racconta il modo in cui Ottimo Massimo si imbatte in Cosimo ( o Cosimo si imbatte in Ottimo Massimo :-) .


illustrazione di Roger Olmos

Ma un necessario complemento umano gli mancava, nella sua vita di cacciatore: un cane. (… ) Cosimo dunque andava a caccia quasi sempre da solo, e per recuperare la selvaggina (…) usava delle specie di arnesi da pesca: lenze con spaghi, ganci o ami, ma non sempre ci riusciva (…).
E quando udiva il latrato dei segugi dietro la lepre o la volpe, sapeva di dover girare al largo, perché quella non era bestia sua, di lui cacciatore solitario e casuale. (…) Un giorno vide correre una volpe: un’onda rossa in mezzo all’erba verde, uno sbuffo feroce, irta nei baffi: attraversò il prato e scomparve nei brughi. E dietro: - Uauauaaa!- i cani. Giunsero al galoppo, misurando la terra con i nasi, due volte si trovarono senza più odore di volpe nelle narici e svoltarono ad angolo retto. Erano già distanti quando con un uggiolio: - Uì, uì- fendette l’erba uno che veniva a salti più da pesce che da cane, una specie di delfino che nuotava affiorando un muso più aguzzo e delle orecchie più ciondoloni di un segugio. Dietro era pesce: pareva nuotasse sguazzando le pinne, oppure zampe di palmipede, senza gambe e lunghissimo. Uscì nel pulito: era un bassotto. Certamente, s’era unito al branco dei segugi ed era rimasto indietro, giovane com’era, anzi quasi ancora un cucciolo. Il rumore dei segugi era adesso un – Buaf – di dispetto, perché avevano perso la pista e la corsa compatta si diramava in una rete di ricerche nasali tutt’intorno a una radura gerbida, con troppa impazienza di ritrovare il filo d’odore perduto per cercarlo bene, mentre lo slancio si perdeva, e già qualcuno ne approfittava per fare una pisciatina contro un sasso. Così il bassotto trafelato, col suo trotto a muso alto ingiustificatamente trionfale, li raggiunse. Faceva, sempre ingiustificatamente, degli uggiolii di furbizia, -Uài ! Uài ! Subito, i segugi –Aurrrch! – gli ringhiarono, lasciarono lì per un momento la ricerca di odor di volpe e puntarono contro di lui, aprendo bocche da morsi, - Ggghrr! – Poi, rapidi, tornarono a disinteressarsene, e corsero via. Cosimo seguiva il bassotto, che muoveva passi a caso là intorno, e il bassotto, ondeggiando a naso distratto, vide il ragazzo sull’albero e gli scodinzolò. Cosimo era convinto che la volpe fosse ancora nascosta lì. I segugi erano sbandati lontano, li si udiva a tratti passare sui dossi di fronte con un abbaio rotto e immotivato, sospinti dalle voci soffocate e incitanti dei cacciatori. Cosimo disse al bassotto: - Dài! Dài! Cerca! Il cane giovane si buttò ad annusare, e ogni tanto si voltava a guardare in su il ragazzo. - Dài! Dài! Ora non lo vedeva più. Sentì uno sfascio di cespugli, poi, a scoppio: - Auauauaaa! Iaì! iaì! iaì! – Aveva levata la volpe! Cosimo vide la bestia correre nel prato. Ma si poteva sparare a una volpe levata da un cane altrui? Cosimo la lasciò passare e non sparò. Il bassotto alzò il muso verso di lui, con lo sguardo dei cani quando non capiscono e non sanno che possono aver ragione a non capire, e si ributtò a naso sotto, dietro la volpe. - Iaì! iaì! iaì! – Le fece fare tutto un giro. Ecco, tornava. Poteva sparare o non poteva sparare? Non sparò. Il bassotto guardò in su con un occhio di dolore. Non abbaiava più, la lingua più penzoloni delle orecchie, sfinito, ma continuava a correre. La sua levata aveva disorientato segugi e cacciatori. Sul sentiero correva un vecchio con un greve archibugio. –Ehi,-gli fece Cosimo,- quel bassotto è vostro? -Ti andasse nell’anima a te e a tutti i tuoi parenti! – gridò il vecchio che doveva aver le sue lune.- Ti sembriamo tipi da cacciare coi bassotti?  -Allora a quel che leva, io ci sparo,- insistè Cosimo, che voleva proprio essere in regola. -E spara anche al santo che t’ha in gloria! – rispose quello, e corse via. Il bassotto gli riportò la volpe. Cosimo sparò e la prese. Il bassotto fu il suo cane; gli mise nome Ottimo Massimo.


da "Il barone rampante" di Italo Calvino 


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