venerdì 7 dicembre 2018

Tempesta di neve


Trascorsero la notte al monastero, in una cella che era stata riservata allo zio, come a persona lì ben nota da tempo. Era la vigilia dell'Intercessione della Vergine. L’indomani sarebbero dovuti partire per un lungo viaggio verso il sud, fino a un capoluogo di provincia del Volga, dove padre Nikolaj era impiegato presso una casa editrice, che pubblicava il giornale progressista della zona. Avevano già acquistato i biglietti per il treno e riunito nella cella il loro bagaglio. Nelle vicinanze, dalla stazione il vento portava i fischi lamentosi delle locomotive che facevano manovra lontano.
Verso sera vi fu un brusco sbalzo di temperatura. Due finestre a livello del suolo davano su uno squallido angolo d'orto, circondato da gialli arbusti d'acacia, sulle pozzanghere gelate della strada e su quel lembo di cimitero dove la mattina avevano seppellito Marija Nikolaevna. Tranne alcune aiuole, marezzate di cavoli illividiti dal freddo, l'orto era spoglio. Quando irrompeva il vento, i rami nudi delle acacie si dimenavano come ossessi, piegandosi fin sulla strada.
Un colpo alla finestra destò Jurij durante la notte. L'oscura cella era magicamente illuminata da una guizzante luce bianca. Jura corse in camicia alla finestra e appoggiò il viso al vetro gelido. Fuori non c'era più la strada, né il cimitero, né l'orto: solo la tormenta che infuriava, l'aria fumigante di neve. Quasi che la tormenta si fosse accorta del ragazzo e, consapevole del proprio terrificante potere, godesse dell’impressione che gl'incuteva. E fischiava e ululava, tutta affannata a richiamare la sua attenzione. Dal cielo, sdipanandosi giro su giro da matasse senza fine, un bianco ordito cadeva sulla terra avvolgendola in un sudario. Non era rimasta che la tormenta al mondo, sola e incontrastata. Il primo impulso di Jura, scendendo dal davanzale, fu di vestirsi e di correre in strada: occorreva fare qualcosa. Ora lo angosciava l'idea che la neve seppellisse i cavoli del monastero prima che non si potessero più raccogliere; ora il pensiero della madre, là, in quel campo, ricoperta dalla neve, senza più forze per resisterle, mentre sprofondava sotto terra, sempre più giù,ancora più lontano da lui. Ruppe nuovamente in lacrime. Lo zio si sveglio, gli parlò di Cristo e lo consolò, poi sbadigliando si accostò alla finestra e rimase a guardar fuori pensieroso. Cominciarono a vestirsi. Era quasi l'alba.

Boris Pasternak, Il dottor Zivago, pag10 edizione Feltrinelli 1998, traduzione di Pietro Zveteremich, Maria Olsoufieva, Mario Socrate



(dipinto di Konstantin Yuon)

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