lunedì 9 luglio 2018

la vita notturna


dipinto di Odillon Redon
E dimmi: t’accorgi mai del momento in che tu cominci a dormire, per quanta attenzion tu vi ponga? E allor che ti desti, e che serbi soltanto impressioni confuse di ciò che sognasti, o di ciò che sognando tu fosti, come puoi studiare e capir quegli istanti, intenderne il senso profondo, intender te stesso? E se la nostra autentica vita fosse quella notturna, quando l’intelletto svapora e quaj cervi elefanti orsi anguille serpenti noi siamo riaccolti nel vastissimo abbraccio di Madre Natura? E se i sogni fossero invece il ricordo di ciò che noi fummo in un lontano passato, così come dice Eliodoro che nel Tartaro bujo i Titani sognano ininterrottamente di quando furono Dei? Più l’individuo cresce, meno ricorda i
suoi sogni: il veggo già in me Orazio mio, che perlopiù mi ridesto in un’impenetrabile nebbia, e il brivido da cui allora tutto il mio essere è scosso è solo il movimento dell’ultima imagine che si stacca e precipita al fondo, colà dove temiamo e insieme desiàmo discender pur noi: arcano pozzo insondato col quale i bambini, finché restano tali, hanno dimestichezza com’allor che giuocando a nascondersi entrano ed escono liberamente dall’armario tenebricoso, ma nel quale l’adulto che più n’ha vaghezza dovrà drammaticamente tuffarsi dall’alto come da una rupe sublime, vincendo con il desìo l’orror di quel volo… Strapparsi a sè stessi, lasciare ogni cosa negando il sapere faticosamente acquisito e smembrarsi nel nostalgico volo è cimento supremo, e sol chi ha un sovrappiù d’energìa, o questa energìa non devolve positivamente all’usate passioni dell’uomo, ma serba inspiegata e conchiusa come un grumo deforme, solo costui avrà necessità di provare, e sarà grato al richiamo.





Il passo è tratto da  Io venia pien d'angoscia a rimirarti di Michele Mari. 
L'autore immagina  Orazio Carlo Leopardi tenere un diario e riportare alcune riflessioni del fratello maggiore Giacomo. Lo scritto si sviluppa intorno  agli studi avviati da un adolescente Giacomo Leopardi sull'influenza sugli esseri esercitata dalla luna . 



4 commenti:

  1. Chissà se Mari ha trovato queste (o simili) riflessioni sul sonno e sui sogni nello Zibaldone o se si è inventato tutto di sana pianta. L'attenzione (che il Giacomo dice impossibile) al passaggio dalla veglia la sonno e viceversa ricorda certe (lunghissime) pagine di Proust, mentre la suggestione "E se la nostra autentica vita fosse quella notturna" è molto surrealista (ma subito condita di riferimenti classici). Ti piace questo libro di Mari? A me era piaciuto il pastiche linguistico (la storia della licantropia invece, be', insomma...)

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    1. Penso che Mari abbia rielaborato passi diversi dello Zibaldone; ci sono nell'opera diversi riferimenti ai sogni, al sonno, alla dimensione notturna. Lo stesso incipit dell'opera è in realtà un notturno. Sono fuori sede e non ho con me l'opera, altrimenti avrei potuto essere più precisa :-)
      Il libro mi è piaciuto molto. Mari ha trovato un modo ingegnoso per ricostruire la dimensione privata di Leopardi ed insieme per dare spazio alle sue ossessioni ( mostri anche qui: Mari sembra non possa fare a meno di dare loro udienza:-)

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  2. Questo Mari e le commistioni con Leopardi, certo un linguaggio che non ti aspetti da un contemporaneo, anche se, ovviamente, si rifà a quello dell'epoca del Leopardi. Interessante!

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  3. E' un libro godibilissimo. Prova a leggerlo. :-)

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