sabato 15 giugno 2019

Musica nel monastero di Muri Gries

 Da "Il filo infinito" di Paolo Rumiz
ed.Feltrinelli

Un inglese e un tedesco non camminano allo stesso modo perché le loro lingue appartengono a due diverse visioni del mondo. "Zug" in tedesco e "train" in inglese sono entrambi traducibili come "treno" ma non vogliono dire la stessa cosa, perché il primo è una cosa che tira, il secondo una cosa che trascina. La lingua è qualcosa che ti penetra già prima  di nascere, in assenza di semantica, attraverso la madre. Un po’ come nella fiaba di Pierino il lupo musicata da Prokofiev dove ogni personaggio è rappresentato da uno strumento, in famiglia la madre coincide con i registri acuti e il padre è annunciato da quelli grandi. E se l’orecchio è la sede dell’equilibrio, dunque della percezione della gravità, esso comunica  ogni istante il senso fisico dell’esistere. Le parole, messe in sequenza ritmica, aiutano la memoria perché aderiscono meglio alla frequenza cerebrale. 
Il verso, l’ho imparato da tempo, è lo sforzo della parola di diventare musica. Ma è un tentativo fallimentare, perché la parola è destinata a perdere. La musica rimane inarrivabile. E' il solo linguaggio capace di saltare a pié pari le barriere culturali. (...)





 Suono al portone dell’abbazia, una voce metallica risponde al citofono. Ci aprono, e dentro ci prende subito una sensazione di vuoto. La nostra voce risuona come in un ambiente disabitato, e poiché i muraglioni mantengono fresco l’interno, anche lo sbalzo termico è sensibile rispetto all’esterno. Il portinaio non sa del nostro arrivo, forse Urban si è dimenticato di noi. Dentro si parla quasi solo in tedesco e quasi solo in tedesco  io tento di arrangiarmi con il poco che so di questa lingua, che peraltro amo. Poi le cose si chiariscono  E ci viene assegnata una stanza lussuosa, enorme, con vista sulla Val Sarentina. Roba per vescovi, non pellegrini come noi. Padre Urban sembra che non aspetti altro quando, dopo un breve preambolo di convenevoli, gli chiedo se può farmi sentire la voce dell’organo maggiore. Sale velocissimo al piano di sopra, apre una porticina, poi un’altra, attraversa lo spazio riservato ai cantori sopra l’ingresso, si siede sulla panca  dell’organista dando le spalle alle canne in fuga e poi, con una mossa rapida come la veronica  di un toreador, ruota su se stesso, forma un arco con la tonaca e lo scapolare, per prendere saldamente posizione sulla tastiera senza calpestare i pedali sottostanti e far partire una magistrale improvvisazione. È concentratissimo, sembra che nella chiesa di Sant’Agostino non ci sia che lui, l’uomo in nero che esplora con l’energia frenetica di ventisette registri della macchina del suono per dispiegarne la straordinaria vocalità. Si interrompe, ci fa sentire l'eco dell’armonia che permane, a lungo, nella navata. "Sbaglia chi crede che l’organo sia solo cattolico. L’organo è arrivato a Carlo Magno dall’impero d’Oriente. Lo conoscevano già  i Romani. ". Ricomincia. E l’armonia sale, passa dal Medioevo al Rinascimento, dal Barocco al Romanticismo, si arrampica per statue gesticolanti, si ramifica verso la sommità di questa chiesa bolzanina così asburgica, così cattolica e simile a una meringa con panna e crema, per poi sprofondare su tonalità abissali insieme ai dannati che precipitano all’Inferno sopra l’altare e  trovare risposta della cupa vibrazione sonora delle arcate medievali delle cantine, un' ex chiesa gotica dalla risonanza perfetta nel ventre stessa del monastero, dove hai il Sancta Sanctorum delle botti panciute di Sankt Magdalener e di Lagrein che da sempre forniscono il vino da messa nei conventi tedeschi. Ma il suono, ora morbido e flessibile non si arresta ancora, travalica i muraglioni per estinguersi nell’anfiteatro a vigna dei Monti Sarentini, tra le guglie dolomitiche e le nevi dell’uomo di Similaun. 

Nel vuoto di Muri Gries trovo pane per i miei denti.  Non c’è cripta o corridoio dove non venga voglia di provare la voce. Mi sorprendo a cantare persino sui gradini delle scale interne, per sondare quanto i vecchi capi mastri abbiano creato gli ambienti tenendo conto delle risonanze. La cantoria ha un’acustica formidabile, più adatta a esprimere  potenza corale che il suono della voce sola. Assisto a una messa dove trionfano il tedesco, la grande musica barocca per organo e la teatralità di decorazioni tondeggianti come bignè. Quindi qui si canta ancora il graduale romano e la forza del gregoriano riesci a coprire la scarsità dei coristi. Dei quindici monaci, due sono diplomati musica e nell’aria si avverte ancora la presenza venerabile del Kapellmeister Oswal Jaeggi, un altro svizzero, che ha lasciato al Sud Tirolo le sue composizioni migliori, di stampo tardormantico.
" La musica" incalza padre Urban è una comunicazione non verbale che unisce e, oltre ad arricchire l’anima, insegna il rapporto sociale."
 C’è un parallelismo, spiega, tra il rarefarsi delle bande di paese, l’attenuarsi della vita comunitaria e il venir meno della fede. "Nell’85 quando sono arrivato dalla Svizzera, qui c’erano ottanta monaci. Ora siamo a meno di un quarto. Oggi si vive più a lungo, ma la gente ha meno voglia di prendere un impegno che la vincoli per l'intera esistenza. Le scelte si fanno spesso nella maturità, se non la vecchiezza… Abbiamo tra noi ex banchiere, entrato qui a sessant’anni . C’è anche un chirurgo che ha preso gli ordini e insegna filosofia nei licei.". In questa trasformazione epocale la regola tiene duro, funziona ancora. Secondo un professore universitario di Magonza, Benedetto non sarebbe nemmeno esistito. Il santo, egli sostiene, sarebbe una costruzione di Gregorio Magno. Può anche essere. Quello che conta è la forza del messaggio. I suoi sttantatré punti."
Saliamo nella biblioteca. Urban afferra una Bibbia del tempo di Gutenberg e la sfoglia con un ghigno sarcastico: "Guardi come si legge bene dopo cinque secoli. Oggi bastano dieci anni perché un dischetto non funzioni". Profumo polveroso di pergamene, ma anche di vino che sale dalle cantine sottostanti attraverso il pavimento di legno. L’ organista evoca le antiche letture ad alta voce davanti ai monaci in refettorio e spiega che "la lettura declamata è un’operazione atletica, quasi più complessa che suonare uno strumento.". La stessa teoria che ho trovato ne La vigna del testo di quel grande spretato rivoluzionario che fu Ivan Illich. Il monachesimo, per il nostro organista, resta " l’unico comunismo che funziona". "Se l’acustica è buona", scherza, "credi anche se non vuoi. Se poi c’è pure del buon vino, allora è fatta.". Siamo all’essenza di un luogo santo dove le radici più antiche vanno cercate forse nello spazio meno religioso: le cantine.

4 commenti:

  1. Bella musica e grande autore Paolo Rumiz. L'ho visto dal vivo un paio di anni fa qui in Liguria in una conferenza sui suoi giri per l'Italia
    Un saltuone

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  2. Basta evocarla e ti sembra di averla ascoltata davvero: potenza della musica!:-)
    "Il filo infinito" è una libro importante. Rumiz cerca di ritrovare nei monasteri benedettini ciò di cui gli europei avrebbero necessità, ovvero un'identità culturale fondata su valori positivi; sono positivi quei valori e atteggiamenti che consentano una relazione armoniosa tra gli uomini e tra l'uomo e la natura: l'umiltà, il senso del sacro, l'impegno individuale, la dedizione, il lavoro e, poi, un sentimento, quello della letizia.
    Buona domenica!:-)

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  3. Non è possibile leggere una roba così lunga su un blog, solo le brigate rosse scrivevano proclami così lunghi. :-))

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  4. :-))
    ( ...ma tu sei così bravo da averlo letto tutto;-)

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