Proprio questo momento cruciale dev'essere considerato come il primo giorno di scuola di Pallino. Appena raggiunto il marciapiede, il cane si era reso conto che «azzurro» non significa sempre «carne» e, stringendosi la coda fra le zampe posteriori e ululando per il dolore cocente, s'era ricordato che su tutte le macellerie le scritte cominciano con uno strano affare colorato simile a uno slittino, situato subito a sinistra. Poi le cose andarono meglio. La «A» la imparò alla Genepesca, all'angolo della via Mochovaja, e poi la «C» (gli era più comodo affrontare la parola «Pesca » da dietro, perché in genere dall'altra parte c'era sempre una guardia). Le mattonelle di ceramica che tappezzavano gli angoli di Mosca significavano sempre e immancabilmente «Formaggio ». Il nero becco da samovar con cui cominciava la parola gli ricordavano l'ex proprietario Cičkin, le montagne di formaggio rosso tipo olandese, quelle belve dei commessi che odiano tanto i cani, la segatura per terra e il «backstein» dal lezzo nauseabondo. Se suonavano la fisarmonica - sempre meglio di «Celeste Aida » - e c’era odore di salsicce, le prime lettere sulle insegne bianche si sistemavano comodamente nelle parole «non pro...». Voleva dire «non pronunciare parole oscene e non dare mance». Qui a volte scoppiavano di punto in bianco zuffe violente, la gente si pigliava a pugni sul muso e, più raramente, a colpi di tovagliolo o a calci. Se nelle vetrine erano appesi dei prosciutti e, sotto, facevano bella mostra di sé dei mandarini, allora... gau-gau... ga...stronomia. Se c'erano bottiglie scure con dentro un brutto liquido... V-i-vi-vini... Già Ditta Fratelli Eliseev.
Lo sconosciuto che si era portato
dietro il cane fino alla porta del suo lussuoso appartamento al piano
nobile suonò il campanello e l'animale concentrò tutta la sua
attenzione sul grosso biglietto da visita, nero a lettere d'oro,
appeso accanto all'ampia porta a vetri ondulati, di un colore rosato.
Riuscì subito a leggere le prime tre lettere: pi-erre-o, pro. Ma poi
seguiva una schifezza complicata, un vero rebus (...)
(Mikhail Bulgakov, Cuore di cane,
capitolo II, edizione BUR 1975, traduzione di Giovanni Crino)(fotografia di Robert Doisneau, Parigi 1953)
Indovinato l'autore, non il romanzo poi ho riconosciuto anche la fotografia di colui che adoro e intimamente venero. Adoro anche Bulgakov. Vedo che hai finito le fiabe dal mondo. :-)
RispondiEliminanelle fiabe gli animali non sono quasi mai se stessi, quindi mi è difficile portarne qui altri... O sono umanizzati oppure sono fatati, cose di questo genere. Invece il cane di Bulgakov è proprio un cane, anche quando si trasforma continua a rimanere cane :-) è un libro divertente, si ride spesso anche se inquieta; e si impara anche un po' di storia, come si viveva nell'Unione Sovietica in quegli anni.
RispondiEliminaDopo aver letto questo brano, mi sono documentata su questo romanzo.
RispondiEliminaQui trovo sempre post stimolanti. Grazie gemellina!
Devi ringraziare Giuliano, è lui l'autore del post:-)
RispondiEliminaAh, che magnifica scrittura.
RispondiEliminaC'è tutta una letteratura, voglio immaginare, il cui nucleo è la descrizione della personalità di un animale. Mi viene in mente anche il delizioso "Flush" di Virginia Woolf.
il blog esiste da un anno, abbiamo già tante cose pronte da leggere :-) I cani sono già 22, per esempio, e i gatti 16 (la differenza la fa Snoopy, nel mese di agosto)
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