Il pioppo rabbrividisce già! Tenta di
muoversi, di smuovere i grevi strati d’aria che lo impacciano.
La sua inquietudine contagia il faggio,
una quercia, gli ippocastani, tutti gli alberi del giardino avvertono
a gesti che nel cielo la calotta si allarga, spinge innanzi il suo
orlo netto e cupo.
Prima agitano le rame sottili,
zittiscono gli uccelli, il merlo che gettava qualche nota a casaccio,
come un pisello verde, la tortorella che Pel di Carota un momento fa
vedeva versare a scatti il suo tubare dalla gola variopinta, la gazza
intollerabile con quella sua coda da gazza. Poi mettono in moto i
grossi tentacoli, per spaventare il nemico. La calotta livida
continue la sua lenta invasione. Soffitta a poco a poco il cielo.
Ricaccia il sereno, tura i buchi che potrebbero lasciar entrare
l’aria, si prepara a soffocare Pel di Carota. A
volte si direbbe che cede sotto il suo stesso peso, sta per cadere
sul villaggio ma si ferma sopra la punta del campanile, teme di
stracciarvisi.
Eccola così vicina che, senz’altra provocazione, il panico si scatena, s’alzano fragori. Gli alberi confondono le masse scure e corrucciate in fondo alle quali Pel di Carota immagina nidi pieni d’occhi tondi e di becchi bianchi. Le vette si tuffano e raddrizzano come teste svegliate di soprassalto. Le foglie scappano a branchi, tornan subito, impaurite, ammansite, e tentano di riappiccarsi. Quelle fini dell’acacia sospirano, quelle della betulla scorticata si lagnano; quelle dell'ippocastano fischiano, e le aristolochie rampicanti gorgogliano inseguendosi sul muro.
Eccola così vicina che, senz’altra provocazione, il panico si scatena, s’alzano fragori. Gli alberi confondono le masse scure e corrucciate in fondo alle quali Pel di Carota immagina nidi pieni d’occhi tondi e di becchi bianchi. Le vette si tuffano e raddrizzano come teste svegliate di soprassalto. Le foglie scappano a branchi, tornan subito, impaurite, ammansite, e tentano di riappiccarsi. Quelle fini dell’acacia sospirano, quelle della betulla scorticata si lagnano; quelle dell'ippocastano fischiano, e le aristolochie rampicanti gorgogliano inseguendosi sul muro.
Più giù i meli tozzi scuoton le mele,
fan suonare il terreno di tonfi sordi. Più giù i ribes sanguinano
gocce rosse, i ribes neri gocce d’inchiostro. E più giù i cavoli
ubriachi agitano le orecchie di asino e le cipolle si urtano tra
loro, spaccano le palle gonfie di semi. Perché mai? Cos’hanno mai? E che
cosa vuol dire tutto questo? Non tuona. Non grandina. Né un lampo né
una goccia d’acqua. E' quel nero tempestoso lassù, quella notte
silenziosa in pieno giorno che li fa impazzire, che spaventa Pel di
Carota.
Ora la calotta è completamente
spiegata sotto il cielo nascosto. Si muove. Pel di Carota lo sa;
scivola, fatta di mobili nubi; lei scomparirà, lui rivedrà il sole.
Tuttavia, benché soffitti del tutto il cielo, la calotta gli stringe
la testa. Lui chiude gli occhi e lei gli benda le palpebre,
dolorosamente.
Lui si caccia le dita nelle orecchie.
Ma la tempesta entra in lui, dal di fuori, coi suoi gridi, il suo
turbine. Gli afferra il cuore come una cartaccia sulla strada. Lo
spiegazza, lo gualcisce, lo accartoccia, lo appallottola. E Pel di
Carota non ha ormai più che un cuoricino da nulla, una pallottola di
cuore.
(Jules Renard, Pel di Carota, pag.149 ed. BUR 1951, traduzione Piero
Bianconi)
(dipinto di Pieter Kluyver, 1816-1900)
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