Molte cose importanti devono accadere in una di queste uova di oca selvatica: accostandovi l'orecchio si ode dentro scricchiolare e muoversi qualcosa, e poi, ecco, si percepisce chiaramente un flebile, flautato “piip”. Dopo ci vuole ancora un’ora perché si apra un buchino, attraverso il quale si scorge la prima cosa visibile del nuovo uccello: la punta del becco, con sopra il cosiddetto dente dell'uovo; il movimento del capo con cui il dente, dal di dentro, viene spinto contro il guscio dell’uovo, provoca non solo la rottura del guscio, ma anche uno spostamento dell'uccellino che vi giace dentro tutto avvoltolato su se stesso, e che lentamente gira all’indietro attorno all’asse longitudinale dell’uovo. Il dente si muove dunque dentro il guscio lungo un “parallelo” sul quale apre una fila ininterrotta di buchini; alla fine, quando il cerchio si é chiuso, l’uccello con un movimento di estensione del collo fa sollevare l'intera calotta del guscio.
Lentamente, a fatica, si libera allora il lungo collo, che non riesce ancora bene a sostenere il pesante capino. Anche la nuca rimane incurvata nella posizione che ha avuto nell'embrione fin dall’inizio. Occorrono delle altre ore perché le articolazioni si distendano e divengano flessibili, perché i muscoli si rafforzino e prendano a funzionare gli organi del labirinto che mantengono l'equilibrio, perché insomma l'ochetta appena nata incominci ad avere il senso del sopra e del sotto e possa liberamente ergere il suo capo. Quella cosina fradicia che fa capolino dal guscio è incredibilmente brutta e penosa, e soprattutto sembra più fradicia di quel che non sia in realtà: a toccarla, la si sente solo un po’ umidiccia. Questa impressione di bagnato e di appiccicoso che dà il povero abituccio di piume dipende dal fatto che ogni piuma é ancora strettamente racchiusa in un sottilissimo involucro, e così compressa non é più grossa di un capello; tutti questi capelli-piume sono tenuti appiccicati in mazzetti dal liquido albuminoso contenuto nell’uovo, e occupano così pochissimo spazio all’interno del guscio. Poi gli involucri si asciugano, si polverizzano e cadono, permettendo alle piume di aprirsi. Le piume però non hanno bisogno di asciugarsi, perché erano asciutte già prima, in quanto gli involucri le proteggevano dal liquido dell’uovo. La rottura degli involucri viene naturalmente favorita e affrettata dai movimenti che fa l’uccellino appena uscito dall’uovo, strusciandosi “contro pelo” ai fratelli e al ventre della madre chioccia. Se questo sfregamento non è possibile, come avvenne per la mia prima oca selvatica covata in incubatrice, gli involucri delle piume durano più a lungo del solito, e in questo caso si può assistere a un piccolo sorprendente prodigio: si passi dolcemente un batuffolo di ovatta unto di grasso contro il piumaggio dell'uccellino; i fragili involucri cadranno in piccolissimi frammenti simili a forfora, e l’ochetta subirà una magica trasformazione: dove è passato il batuffolo sorge ora un fitto bosco di vaporose e splendenti piume grigio verdastre, e in pochi istanti in luogo del nudo mostriciattolo fradicio e appiccicoso ci troviamo in mano una commovente pallottolina di piume, grande almeno il doppio.
(Konrad Lorenz, L'anello di Re Salomone,
pag.93 ed. Oscar Mondadori 1977, trad. Laura Schwarz)
(la foto del pulcino viene da una cartolina d'auguri,
quella qui sopra da un numero del mensile Le Scienze, metà anni '90)
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