venerdì 28 agosto 2020

Una mosca shakespeariana


Marco colpisce il piatto con un coltello.
TITO: A cosa dai colpi, Marco, con il tuo coltello?
MARCO: A ciò che ho ucciso, mio signore: una mosca.
TITO: Maledizione, assassino! tu uccidi il mio cuore. I miei occhi sono sazi di spettacoli di violenza: un atto di morte commesso sugli innocenti non si addice al fratello di Tito. Vattene, vedo che non sei fatto per la mia compagnia.
MARCO: Ahimè, mio signore, ho ucciso solo una mosca.
TITO: «Solo?» e se quella mosca aveva un padre e una madre? Come stenderà le fragili ali dorate
ronzando per l'aria lamentosi fatti? Povera mosca innocente, con la graziosa melodia del suo ronzio era venuta qui a rallegrarci, e tu l’hai uccisa.
MARCO: Perdonami, signore: era una brutta mosca nera come il Moro dell'imperatrice, e perciò l'ho uccisa.
TITO: Oh! Oh! Oh! Perdonami allora per averti rimproverato, perché hai fatto un atto misericordioso. Dammi il coltello, infierirò su di lei illudendomi che sia il Moro venuto qui apposta per avvelenarmi. Questo è per te, e questo è per Tamora. Ah, marrano! Ma spero che non siamo caduti così in basso da non poter uccidere, insieme, una mosca che ci viene davanti a somiglianza d’un Moro nero come il carbone.
MARCO: Ahimè, pover’uomo! il dolore l'ha così sconvolto che prende ombre false per sostanze vere.
TITO: Su, sparecchiate. Lavinia, accompagnami; verrò nella tua stanza a leggere con te tristi storie accadute in tempi passati. Vieni con me, ragazzo: la tua vista è giovane, leggerai tu quando la mia comincerà ad annebbiarsi.
Escono.
(William Shakespeare, Tito Andronico, finale atto terzo, traduzione di Alessandro Serpieri, ed. Garzanti 1989)

Quando ho letto per la prima volta Tito Andronico, tanti anni fa, ho trovato questa pagina e non credevo ai miei occhi. Possibile che Shakespeare abbia scritto questa cosa? Oltretutto, Tito Andronico è un dramma di una crudeltà inaudita, con torture, mutilazioni, stragi, violenze; in questo contesto, trovare qualcuno che si commuove per una mosca (sia pure per pochi istanti) è davvero singolare. Mi sono tenuto le mie perplessità per anni, pensando che si tratta di un dramma giovanile e che i manoscritti di Shakespeare sono, come insegnano gli esperti, pieni di inserti e di improvvisazioni degli attori. Poi mi è capitato di vedere questa scena interpretata da Anthony Hopkins, nel film del 1999, e ho capito che a un grande interprete è possibile rendere alla grande anche pagine come questa. La regista Julie Taymor si prende qualche libertà e fa interpretare la parte che qui spetta a Marco (un adulto) a un bambino, nipote di Tito. Così, la faccenda della mosca diventa un affare tra nonno e nipote e tutto riesce a diventare credibile (francamente, io pensavo che l'avrebbero tagliata).
Il Moro, per chi non conoscesse la tragedia, è un personaggio importante. Un cattivo a tutto tondo, ma il suo discorso sulla sua provenienza è memorabile e anticipa Shylock (Il Mercante di Venezia).

PS: non ho trovato on line il momento esatto del film con Hopkins, per questo motivo il fotogramma qui sopra è tratto da "Mystery train" di Jim Jarmusch (notare il fermacarte in mezzo alla scrivania)

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