martedì 10 gennaio 2017

Come l'edera


"...all'immagine dell'edera e del castello debbo una delle peggiori gaffe storico-botanico-letterarie della mia vita. Scegliendo come argomento di quel mio romanzo la prima crociata, non seppi resistere alla banale tentazione di mettere in scena il solito castello coperto d'edera, sotto il bel cielo autunnale del Casentino. Avevo un modello: la rocca di Porciano, dove a metà degli anni Settanta, mémoires d'Outretombes, ero stato nobilmente ricevuto dalla castellana, la contessa Marta Specht, che aveva sistemato al piano terreno della sua splendida dimora un museo di begli oggetti appartenenti a non ricordo più quale gloriosa nazione di quelli che il linguaggio politically correct di oggi obbliga a definire native Americans, ma che io - figlio d'una generazione che ha amato i film western ed è cresciuta con essi - preferisco continuare rozzamente a chiamar "pellerossa". (...)

 Straordinaria complessità delle vicende reali, talora ben più incredibili di qualunque romanzo. Con i "pellerossa" la madre della contessa Specht (...) ci aveva passato un'ormai lontana prima giovinezza: e quegli oggetti ne erano la memoria carica di affettuosa nostalgia.
 Ma dall'America la castellana non aveva recato sull'Appenino toscano solo armi e suppellettili indiane: anche "l'edera" che copriva il suo castello (...) era in realtà vite americana, che aveva acquistato nell'autunno dolcissimo di quell'anno tutti i colori e le iridescenze dell'Indian Summer, quando laggiù oltreatlantico i nobilissimi aceri dal generoso succo dolce quasi quanto il miele (...) assumono tutti i possibili toni cromatici dall'oro pallido al rosso vinoso, alla porpora violacea.
Quell'immagine della rocca di Porciano regalmente ammantata di luce cangiante è uno dei ricordi più belli del mio temps perdu. Molti anni dopo, descrivendo nel romanzo l'incontro immaginato verso la fine dell'XI secolo, proprio ai piedi di quella rocca, fra un fiero conte della schiatta dei Guidi, la sua altera e cortese consorte e un povero giovane cacciatore loro vassallo - una pagina, come si vede, a suo modo autobiografica -, cercai di riprodurre quanto meglio la mia penna potesse anche quell'atmosfera cromatica (... ) .
E implacabilmente un'amica e collega medievista molto competente anche in cose di botanica e floricultura, Hannelore Zug Tucci, presentando qualche mese dopo la sua uscita in libreria il mio L'avventura di un povero crociato a Perugia, m'inchiodò con teutonica precisione alla mia cantonata: l'edera è un sempreverde, mentre la vite americana nell'XI secolo non era ancora giunta ai lidi d'  Europa. Col che si condannano per la verità anche parecchi pittori neogotici, perché l'immagine dei castelli dorati e rosseggianti d'autunno è non infrequente nelle tele romantiche. Per non dir del cinema."
                                                     
 da " Lo specchio e l'alibi" di Franco Cardini
        Sellerio editore



( l'immagine in alto non riproduce la rocca di cui parla il professor Cardini nel passo che ho appena riportato ma uno château che ricade nella mia esperienza e nel mio ricordo. Svetta nella tenuta La Hulpe, in Belgio. Nei pressi dello Château si trova la Fondazione Folon con opere dell'artista belga distribuite lungo un percorso pieno di sorprese. Deve essere edera quella che si avvinghia alle torri dell'edificio perchè non ho trovato neanche una foto in cui il colore delle foglie fosse diverso dal verde :-)

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