domenica 29 gennaio 2017

Cani, amicizia, amore



Un quarto di secolo più tardi, durante le riprese di Le Fleuve (Il fiume, 1950) avrei scoperto in India passioni dello stesso genere. E forse è questo che mi ha fatto tanto affezionare a quel paese. La parola amicizia in India non funziona: lì ci vuole la parola amore. O ci si ama o ci si detesta. L'amicizia consiste nell'approfittare della presenza dell'amico, senza dire niente. A un cane piace stare seduto accanto al padrone, eppure non si dicono niente. D'altra parte non esistono padroni, né servitori, negli scambi sentimentali. Le amicizie occidentali invece si costruiscono su una sorta di baratto. Si vuol bene all'amico perché ci aiuta negli affari, o perché ci racconta storielle divertenti, o perché lo ammiriamo. In India capita di incontrare esseri umani che si amano senza nessuna ragione. L'amico va a trovare l'amico. Entra discretamente nella stanza dove l'altro sta riposando. Si accovaccia a terra e, senza dire una parola, resta a guardare l'altro vivere alcune ore della sua vita. Poi si alza e se ne va, riconfortato da quella visita.
Il cane si lascia morire sulla tomba del suo padrone. Non è per devozione, o per riconoscenza. E' perché l'assenza del padrone crea un vuoto nel quale gli è impossibile respirare. L'amicizia indiana va al di là del disinteresse. È un bisogno fisico. E come se esistesse un misterioso radar che stabilisse tra gli esseri che sentono tra di loro delle affinità un sistema di comunicazione inconcepibile per i nostri cervelli di matematici.
(Jean Renoir, La mia vita e i miei film, ed. Marsilio, pag.63)

(la fotografia è di Brassai) 

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