martedì 21 agosto 2018

Village



Maeve Brennan lasciò Dublino, dove era nata nel 1917, quando il padre si trasferì nel ’34 a Washington. I suoi primi scritti, brevi editoriali finalizzati a raccontare la Manhattan degli anni '50 e ’60 furono pubblicati sul “New Yorker”.
 Il passo  che propongo descrive  l’abitazione di un amico della scrittrice. Siamo sulla Decima Strada, tra la Quinta e la Sesta Avenue, quindi appena a nord di  Washington Square.
                                                                                                                                                                                                                     


... Sono tornata al Village e ora trascorro qualche giorno nell' appartamento di un amico che si trova a Londra. l' appartamento è piccolo, ordinato e individuale - per una sola persona, e dal momento in cui sono entrata qui giovedì con la mia valigia è rimasto distante ( cordiale ma distante ). " Noi non abbiamo segreti" sembravano dire le due piccole stanze " ma apparteniamo a "lui" ".
                                               ( ... )
Sono quasi le sei ( ... ) Un minuto fa, , o forse sono passati solo pochi secondi, c'è stato un acquazzone. Ha piovuto a catinelle. All'improvviso sono scoppiati i tuoni insieme ai lampi, e il cielo da bianco è diventato nero.


                                             ( ... )

Quando mi sono girata la stanza era piombata nella penombra, non rimaneva nulla della luce che l'aveva colpita tutto il giorno. Ora la camera è indefinita e inconsistente e appare per quello che è realmente - lo scenario accidentale di un sogno enigmatico che avevo già fatto prima, in altre stanze, e farò nuovamente, in stanze che non che non ho ancora visto. E' un sogno senza persone.
                                            ( ... )
La pioggia cade di sbieco formando delle pareti di roccia, e la sua forza ha trasformato la camera in una caverna, reale solo perchè vuota.
                                          ( ... )
La pioggia cade più rapida e nera che mai. Le finestre dell'appartamento accanto dove c'è la festa devono essere coperte di rivoli d'acqua - quasi spumeggianti - e anche la Decima strada deve essere ridotta ad un torrente di schiuma nera. ( ... ) La camera aspetta che accada qualcosa. Potrei accendere il fuoco, ma il mio amico ha dimenticato di lasciarmi la legna. Potrei accendere una lampada, ma l'elettricità non dà sensazioni vitali. Mi alzo, mi avvicino al giradischi e lo accendo senza cambiare il disco che ho sentito stamattina. Il suono si intensifica e si muove, afferrando i quadri, i libri e la mensola di marmo bianco scolorito del caminetto, come farebbe la luce delle fiamme. Ora questo posto non è più una caverna, ma una stanza con pareti che ascoltano in pace. Sento la musica e guardo la voce. Riesco a vederla. E' una voce da seguire con gli occhi della mente. " La Brave, c'est elle ". Non esiste nessun altra. E' Billie Holiday che canta.

                                                                             
( 11 novembre 1967 )

Da " Racconti di New York " ed. Bur




Qui Solitude di Billie Holliday
                                                              




4 commenti:

  1. Queste riflessioni su una camera che non si mostra amica sono intriganti. Avrei voluto vederla, Maeve, alle prese con certi alloggi che propongono qui in Portogallo (di cui parlo nel prossimo post); sono sicura che ne sarebbero usciti dei racconti altrettanto minuziosi e deliziosi.

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  2. Ti terrò d'occhio, allora:-) Dar voce ai luoghi è intrigante, hai ragione.

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  3. Le variazioni sul tema della stanza sono una bella introduzione alla voce di Billie Holiday. E'come se entrambe si muovessero nella stessa densa atmosfera...

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  4. Sì! E' qualcosa che ha che fare con l'intimità, penso.
    Un caro saluto!
    :-)


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