La cosa più straordinaria sono le
zampe, vere e proprie mani dalle dita morbide, tutte polpastrelli,
che premute contro il vetro vi aderiscono con le loro minuscole
ventose: le cinque dita s’allargano come petali di fiorellini in un
disegno infantile, e quando una zampa si muove, si raccolgono come un
fiore che si chiude, per tornare poi a distendersi e a schiacciarsi
contro il vetro, facendo apparire delle striature minutissime, simili
a quelle delle impronte digitali. Insieme delicate e forti, queste
mani paiono contenere un’intelligenza potenziale, tale che
basterebbe esse potessero liberarsi dal compito di restare lì
appiccicate alla superficie verticale per acquistare le doti delle
mani umane, che si dice siano divenute abili da quando non ebbero più
da appendersi ai rami o da premere il suolo.
Le zampe ripiegate sembrano, più che
tutte ginocchio, tutte gomito, molleggiate a sollevare il corpo.
La coda aderisce al vetro solo con una
striscia centrale, dove prendono origine gli anelli che la fasciano
da una parte all’altra e ne fanno uno strumento robusto e ben
difeso; il più del tempo posata torpida e neghittosa, pare non abbia
altro talento o ambizione che di sostegno sussidiario (nulla a che
vedere con l'agilità calligrafica delle code delle lucertole) , ma
all’occorrenza si dimostra reattiva e ben articolata e anche
espressiva. Del capo sono visibili la gola capace e vibrante, e ai
lati gli occhi sporgenti e senza palpebra. La gola è una superficie
di sacco floscio che s’estende dalla punta del mento dura e tutta
scaglie come quella del caimano, al ventre bianco che dove preme sul
ventre presenta anch’esso una picchiettatura granulosa, forse
adesiva.
Quando un moscerino passa vicino alla
gola del geco, la lingua scatta e inghiotte, fulminea e duttile e prensile, priva di forma e capace
d’assumere ogni forma. Comunque, Palomar non è mai sicuro se l’ha
vista o non l’ha vista; ciò che certamente vede adesso è il
moscerino dentro la gola del rettile: il ventre premuto contro il
vetro illuminato e trasparente come ai raggi X; si può seguire
l’ombra della preda nel suo tragitto attraverso le viscere che
l'assorbono.
Se ogni materia fosse trasparente, il
suolo che ci sostiene, l’involucro che fascia i nostri corpi, tutto
apparirebbe non come un aleggiare di veli impalpabili ma come un
inferno di stritolamenti e ingerimenti. Forse in questo momento un
dio degli inferi situato al centro della terra col suo occhio che
trapassa il granito sta guardandoci dal basso, seguendo il ciclo del
vivere e del morire, le vittime sbranate che si disfano nei ventri
dei divoratori, finché alla loro volta un altro ventre non li
inghiotte.
Il geco resta immobile per ore ; con
una frustata di lingua deglutisce ogni tanto una zanzara o un
moscerino; altri insetti, invece, identici ai primi, che pur si
posano ignari a pochi millimetri dalla sua bocca, pare non li
registri. E' la pupilla verticale dei suoi occhi divaricati ai lati
del suo capo che non li scorge? O ha motivi di scelta e di rifiuto
che noi non sappiamo? O agisce mosso dal caso o dal capriccio?
La segmentazione ad anelli di zampe e
coda, la picchiettatura di minute piastre granulose sul capo e sul
ventre danno al geco un'apparenza di congegno meccanico; una macchina
elaboratissima, studiata in ogni microscopico dettaglio, tanto che
viene da chiedersi se una tale perfezione non sia sprecata, viste le
operazioni limitate che compie. O forse è quello il suo segreto:
soddisfatto d’essere, riduce il fare al minimo? Sarà questa la sua
lezione, l’opposto della morale che in gioventù il signor Palomar
aveva voluto fare sua: cercare sempre di fare qualcosa un po’ al di
là dei propri mezzi?
Ecco che gli capita a tiro una smarrita
farfallina notturna. La trascura? No, acchiappa anche quella.
La lingua si trasforma in rete per
farfalle e la trascina dentro la bocca. Ci sta tutta? La sputa?
Scoppia? No, la farfalla è là nella gola: palpita, malconcia ma
ancora se stessa, non toccata dall’offesa di denti masticatori,
ecco che supera le angustie della strozza, è un'ombra che inizia il
viaggio lento e combattuto giù per un gonfio esofago. Il geco,
uscito dalla sua impassibilità, boccheggia, agita la gola convulsa,
tentenna su gambe e coda, contorce il ventre sottoposto a dura prova.
Ne avrà abbastanza, per stanotte? Se ne andrà? Era questo il
culmine d’ogni desiderio che lui attendeva di soddisfare? Era
questa la prova ai limiti del possibile con cui voleva misurarsi?
No, resta. Forse s’è addormentato.
Com'è il sonno per chi ha gli occhi senza palpebre?
Neanche il signor Palomar sa staccarsi
di lì. Resta a fissarlo. Non c'è tregua su cui si possa contare.
Anche a riaccendere la televisione, non si fa che estendere la
contemplazione dei massacri.
La farfalla, fragile Euridice,
sprofonda lentamente nel suo Ade. Ecco vola un moscerino, sta per
posarsi sul vetro. E lingua del geco si scaglia.
(Italo Calvino, La pancia del geco, da "Palomar".)
(la foto in alto è firmata Zabir Ahmed; il disegno era purtroppo senza indicazioni sull'autore)
(la foto in alto è firmata Zabir Ahmed; il disegno era purtroppo senza indicazioni sull'autore)
Calvino ❤️❤️
RispondiEliminail finale è meraviglioso...
RispondiEliminaLa meraviglia della Natura con le sue leggi e il meraviglioso Calvino che ci invita a seguirle, con la sua scrittura elegante.
RispondiEliminaanch'io ho spesso spento la tv per seguire qualche animale - non i gechi che dalle mie parti non ci sono, ma merli, gatti, usignoli (quando c'erano, prima delle ruspe e della cementificazione), magari anche le cornacchie. O i bambini piccoli che imparano a parlare, come la bambina del piano di sotto in questo momento :-)
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