Al cinema, e in letteratura, il
gabbiano è sempre stato un simbolo di libertà e di purezza: vola
alto nel cielo, sopra il mare, bello elegante e lontano, e la sua
voce è triste e romantica, quasi un gemito di dolore per solitudine,
o per amore.
Ma poi le cose cambiano, sono ormai
lontani i tempi di "Il gabbiano Jonathan Livingston"
(Richard Bach, 1970, fortunatissimo bestseller) e anche di "La
gabbianella e il gatto" (Luis Sepùlveda, 1996).
Da molti anni, ormai, i gabbiani hanno
abbandonato il mare e volano sopra le discariche di rifiuti, o
assediano gli insediamenti umani; li vediamo da vicino e abbiamo
imparato a conoscerli meglio. Che fossero dei predatori, anche
violenti, lo sapevano già da sempre gli zoologi e i naturalisti;
oggi il loro comportamento è sotto gli occhi di tutti, e non sempre
è un bello spettacolo. Il gabbiano, forse, è bello solo se visto da
lontano; e non solo lui, a dirla tutta.
(Allen Seaby, inizi '900)
Ecco in proposito la testimonianza di
un nostro illustre contemporaneo:
Paolo Bullo, dal suo blog:
Le mie cronache semiserie dall’orrida Venezia non sarebbero tali se non cominciassi, come sempre, con qualche nota di costume. Perciò mi sento obbligato d’informare che nella città lagunare è ormai prassi, attraverso le calli, una specie di senso unico alternato per i pedoni. L’alternanza consiste nella possibilità di essere investiti dal trolley di 150 kg trascinato a stento da una giapponesina oppure essere travolto da un gruppo d’alpini in evidente stato euforico (non chiedetemi che ci facessero gli alpini a Venezia, forse un raduno?). Io, che sono notoriamente aperto a tutte le esperienze, ho deciso, con un certo orgoglio, di provare entrambe le opzioni. Son cose che si raccontano ai nipoti, con quell’espressione un po’ choosy (ma che in realtà è dovuta al rimbambimento dell’età) di chi è sopravvissuto ad avventure memorabili e ormai la sa lunga sulla vita.
Le mie cronache semiserie dall’orrida Venezia non sarebbero tali se non cominciassi, come sempre, con qualche nota di costume. Perciò mi sento obbligato d’informare che nella città lagunare è ormai prassi, attraverso le calli, una specie di senso unico alternato per i pedoni. L’alternanza consiste nella possibilità di essere investiti dal trolley di 150 kg trascinato a stento da una giapponesina oppure essere travolto da un gruppo d’alpini in evidente stato euforico (non chiedetemi che ci facessero gli alpini a Venezia, forse un raduno?). Io, che sono notoriamente aperto a tutte le esperienze, ho deciso, con un certo orgoglio, di provare entrambe le opzioni. Son cose che si raccontano ai nipoti, con quell’espressione un po’ choosy (ma che in realtà è dovuta al rimbambimento dell’età) di chi è sopravvissuto ad avventure memorabili e ormai la sa lunga sulla vita.
C’è poi il
problema dei gabbiani affamati, più volte affrontato su queste
pagine. Ora, il gabbiano è un uccello che una volta viveva
soprattutto di pesci e per tirar su il pranzo doveva faticare non
poco in mare aperto, seguendo le scie dei pescherecci o delle navi e
disputandosi una mezza sardina con gli squali e le orche. Una lotta
dura per la sopravvivenza. La bestiolina, potenza dell’evoluzione,
a un certo punto ha notato che sulla terraferma, al riparo dai marosi
e dalle correnti, gli umani lasciavano in giro un sacco di cibo e che
anzi, in casi particolari ma non rarissimi, alcuni di questi umani
potevano diventare loro stessi un alimento altamente proteico. Non
solo, appiccicati l’uno all’altro nelle strettissime calli gli
uomini non hanno possibilità di fuga, quindi perché perdere
un’opportunità di trovare cibo a rischio zero?
Questa e altre circostanze hanno
trasformato gli eleganti volatili in assassini spietati, che
dall’alto si buttano in picchiata sugli uomini appena abbattuti dai
trolley (o dagli alpini), li smembrano con gli acuminati artigli e ne
straziano poi i corpi con il becco. Insomma, son diventate bestie
pericolose e, vi dirò, spesso di dimensioni non trascurabili:
ipotizzo i 35-40 kg, visto che anche ieri, sotto ai miei occhi, un
paffuto neonato americano è stato ghermito dalla culla sotto lo
sguardo inebetito dei genitori che si stavano mangiando una pizza del
diametro di un metro. Insomma, la ricerca del cibo regola la vita
degli animali e degli uomini. Così fan tutti, si potrebbe dire.
(20.3.2013)
(Eva Auld-Watson, 1942)
Mancavo dall’orrida Venezia da
parecchio tempo e, francamente, rivederla è stato il solito
dispiacere. Gli ossessivi compulsivi come me hanno bisogno di
conferme e, in questo senso, Venezia è formidabile in certi schemi
precostituiti. Scendi dal treno e sai che verrai investito dal
trolley di un giapponese e mentre cercherai, a fatica perché gli
anni passano, di rialzarti, due sceriffi statunitensi ti investiranno
con la carrozzella in cui un neonato obeso succhia un leccalecca
gigante a forma di Kim Jong-un. Se sopravvivi – qualcuno ce la fa –
potrai cadere svenuto sulla via che ti porta alla Fenice, preda
dell’incredibile commistione di aromi di zucchero filato, vongole
filippine, castagne, pesce fritto, spaghetti al forse ragù e pizza.
I terribili buttadentro dei locali attenteranno alla tua vita a ogni
passo mentre tu, nel frattempo, cerchi di schivare gli attacchi degli
ormai famosi gabbiani assassini le cui dimensioni sono ormai tali che
le grandi navi che scorrazzano in laguna sembrano giocattoli. E, come
potete vedere dall’immagine, anche gli aeroporti sono ormai invasi
dai pennuti giganti (qui ne vediamo uno che si è mimetizzato da
aereo e attacca una pattuglia di caccia militari, che scompaiono
quasi).
I gabbiani assassini lagunari: che spasso! :-) Bisognava che svolazzassero anche nel nostro blog!
RispondiEliminabel post sui gabbiani con una lettura che, non è la prima volta, non conoscevo e ti ringrazio per questi post. Ho visto i gabbiani romani un po' aggressivi (ormai cercano da mangiare e si comportano come piccioni che hanno spodestato) e poi vedo i gabbiani della Liguria che se ne stanno per conto loro in riva al mare. Quando vedono qualcuno che gli da qualcosa da mangiare li guardano come per dire: "E beh? Vuoi darmi da mangiare?...Ma figurati! Con i pescatori e con tutto il mare che abbiamo, qualcosa da mangiare lo trovo di sicuro!" (era per dare una visione un po' umoristica del gabbiano ligure). Insomma se ne stanno per i fatti loro...
RispondiEliminaUn salutone e alla prossima
Paolo Bullo scrive di musica, da Trieste. Ha un blog molto seguito, e scrive anche su OperaClick, per un po' di tempo anche sul Piccolo di Trieste.
EliminaI gabbiani nella bassa comasca non li ho ancora visti, sul lago sì
Non sapevo di Palo Bullo e appena posso andrò a vedere. Grazie per le info
RispondiEliminaEccomi qui, chissà se ce la faccio a commentare! Google mi è ostile come un gabbiano affamato!
RispondiEliminaLe bestiacce mi mancano e, vista la contingenza, temo che non potrò vederle per un po'.
So però che si sono organizzate e ora lanciano dall'alto finte mascherine antivirus imbevute di cloroformio; l'ignaro turista (ce ne sono?) le indossa e sviene. La joint venture con i disoccupati gondolieri prevede che siano loro a spostare i corpi inermi nelle calli. Lì, al sicuro, verrano prima derubati del portafoglio e poi mangiati. I gabbiani poi finiscono anche i gondolieri, in realtà, ma non diteglielo perché altrimenti si apre un tavolo tra sindacati aviari e rappresentanti delle gondole. Non si può, è contro il decreto minsiteriale.
Un caro saluto a tutti, Paolo
ciao Paolo, ho scelto solo due dei tuoi gabbiani ma la saga delle tue visite veneziane meriterebbe un libro
EliminaPer favore, mandatemi un gabbiano (uno solo!) con mascherina al cloroformio. Voglio svegliarmi fra un paio di mesi.
RispondiElimina(Paolo Brullo vede i gabbiani nella prospettiva corretta. Alla fine gli uccelli sono delle specie di dinosauri.)
condivido... vedo anche molta gente contenta della mascherina: non è che la mettano perché si deve, secondo me non vedevano l'ora di mettersi guanti e maschera.
Elimina(Paolo si chiama Bullo, è un cognome tipico delle parti di Trieste)
Paolo Brullo è un lapsus calami meraviglioso perché esprime perfettamente la mia povertà di sentimenti. Anche il Palo Bullo precedente non è male, ma Brullo è meglio.
EliminaBullo, in realtà, è di derivazione chioggiotta. A Chioggia i cognomi dominanti (come gabbiani assassini, insomma) sono Bullo e Boscolo.
Un caro saluto a tutti e a Giuliano che ha voluto onorarmi di un post!
magari qualche giorno ti mando la lista degli sbagli sul mio cognome, che è anche più corto del tuo :-)
Eliminama siamo tutti soggetti ad errore, figurati che Elena si firma Grammann , chissà quanti errori anche per lei
Mi scuso, credo che ci sia stata un'interferenza (puramente fonetica) con Davide Brullo, un signore che ultimamente si è lamentato un po' dovunque in giro per il web (giustamente, peraltro) perché l'hanno segato da Linkiesta...
RispondiEliminaBullo è senz'altro meglio, ha un che di "arrivo io e metto a posto tutto".
Però "Paolo Bullo" nel suo insieme è un po' insoddisfacente, un po' breve. Uno non ha neanche incominciato a dirlo che sbatte subito contro la fine. Mi chiedo perché i suoi genitori non hanno scelto un nome più lungo: ad esempio Massimiliano. Ecco, Massimiliano Bullo era tutta un'altra cosa... :-)
al nome Massimiliano io penso subito a Massimo Troisi, "bisogna dare nomi brevi ai figli"
Elimina:-)
A me invece ricorda la storica barzelletta di quello che, avendo l'onere di portare un cognome piuttosto, come dire, impegnativo, decise di cambiarlo all'anagrafe.
EliminaPotrei prendere a esempio la storiella e cambiare Bullo in Spaccone. Pensate a un anglofono Paul Spaccone, avrei un posto sicuro nel prossimo film di Scorsese!
in musica abbiamo John Bull... come te la passi con gli elisabettiani?
EliminaSì certo, John Bull! In che senso con gli elisabettiani? I parenti di mia moglie?
RispondiEliminalo sapevo che qualcosa di elisabettiano c'era!
Elimina:-)