Nei boschi
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illustrazione di A.Sanna |
...Mi colpì specialmente il viaggio di Chris McCandless, raccontato da Jon Krakauer in Into the Wild. Forse perché Chris non era un filosofo dell’Ottocento ma un ragazzo della mia epoca, che a ventidue anni aveva lasciato la città, la famiglia, gli studi, un futuro brillante concepito secondo i canoni della società occidentale, ed era partito per un vagabondaggio solitario che sarebbe terminato in Alaska, con la morte per fame. Quando la storia divenne nota molte persone giudicarono la sua scelta idealistica, una fuga dalla realtà se non proprio una pulsione suicida. Io sentivo di capirla e dentro di me la ammiravo. Chris non fece in tempo a scrivere un libro, forse non ne aveva nemmeno l’intenzione, così non sapremo mai come la pensava lui. Ma amava Thoreau e ne aveva adottato il manifesto: «Andai nei boschi perché volevo vivere secondo i miei principi, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, per vedere se fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, di non avere vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, né fare pratica di rassegnazione prima del necessario. Volevo vivere profondamente e succhiare tutto il midollo della vita, vivere in modo vigoroso e spartano e distruggere tutto ciò che non era vita, falciarlo via con ampie bracciate radenti al suolo, chiudere la vita in un angolo e ridurla ai suoi minimi termini. E se si fosse rivelata miserabile, volevo trarne tutta la genuina miseria e mostrarla al mondo; se invece fosse stata sublime, volevo conoscerla con l’esperienza e renderne conto nella mia narrazione»
P. Cognetti, Il ragazzo selvatico, ed. Terre di Mezzo
Ciao Giacinta, molto belle le illustrazioni, e una "bomba filosofica" il brano. Mi ha colpito soprattutto la frase di Thoreau "per non scoprire, in punto di morte, di non avere vissuto". Mi ha colpito perché è praticamente identica a una frase di Rousseau che a un certo punto delle Confessioni dice: "Mi vedevo giungere alle soglie della vecchiaia, e morire senza aver vissuto". Tuttavia Rousseau, che amava la natura e aborriva la società, non si riferisce qui ai diversi fastidi e servitù imposti dalla società, e la vita di cui parla non è il contatto puro ed esclusivo con la natura. Rousseau parla di un bisogno d'amore che non ha mai potuto pienamente soddisfare (e che soddisferà per interposti personaggi scrivendo La Nuova Eloisa). In altre parole, non credo che ci sia nulla di vitale nell'isolamento nella natura. Thoreau ci ha durato due anni, ma non era poi molto lontano dalla "civiltà". L'altro, poveretto, aveva già scelto fin dall'inizio l'annullamento nel grande Pan.
RispondiElimina"Il ragazzo selvatico" di Paolo Cognetti è corredato da illustrazioni di Sanna.:)
RispondiEliminaAnnullamento e vitalità non sono parole compatibili, in effetti.
A me è capitato una volta di passare dei giorni in montagna in una zona remota e di avvertire un opprimente senso di smarrimento e desolazione. La natura si fa sentire e ti ridimensiona. Capisco però anche coloro che si allontanano dai centri urbani. A spingerli c'è un desiderio di conoscenza di sè, oltre che della Natura e del Tempo. Cognetti racconta la sua prima esperienza di isolamento; lo fa in modo piano e sincero, o, almeno così mi è parso.
Grazie per essere passata di qui:-)
Argomento complesso.il ragazzo di Intonaco the wild secondo me non è equiparabile alla solitudine descritta da Rosseau, le motivazioni e il contesto socio-culturale sono diversi. Esiste poi una solitudine e un silenzio-distacco dall'umanità che non ha niente a che vedere col bisogno di fondersi con la natura ma è pur vero che solo pochi "eletti" possono reggere l'abbraccio con la natura nuda e cruda senza uscire pazzi: l'uomo resta fondamentalmente un animale sociale. Il manifesto di Thoreau non prevede il suicidio, la scelta del ragazzo sì. Altro discorso il senso di spreco insito dentro la nostra quotidianità, il timore di aver vissuto senza vivere di Rosseau; in fondo l'uomo moderno teme esattamente questo ed è questo ciò che puntualmente ci accade.
RispondiEliminaSì, il timore di aver vissuto senza vivere può derivare dalla constatazione che viviamo essenzialmente di illusioni e che non ci misuriamo mai veramente con noi stessi; anche i rapporti con il nostro prossimo sono sostanzialmente inautentici. Le “distrazioni di massa “ in questi ultimi decenni, poi, sono aumentate a dismisura. Il ritorno alla natura magari sottintende un bisogno non necessariamente di annullamento o di solitudine.
RispondiEliminai commenti qui sopra mi hanno fatto tornare alla memoria una battuta che si usava un tempo qui in Lombardia, "la terra l'è bassa"
RispondiElimina:-)
chiedo subito scusa, ma è una battuta che contiene una profonda verità: noi tendiamo a immaginare il ritorno alla Natura con tutte le nostre comodità, ma così non è. Thoreau avrà dovuto sgobbare duro, nel ritorno alla Natura è previsto il lavoro duro e quotidiano, la convivenza con animali anche non graditi, eccetera (medicine comprese)
Beh, certo! Lo stesso Cognetti passa in montagna, in una condizione di solitudine e privazione solo relative, solo la stagione primaverile e quella estiva. Ciò non toglie che il desiderio di ritirarsi dal contesto urbano possa insorgere e determinare un certo tipo di propensione all'isolamento. Cognetti in "Il ragazzo selvatico" racconta che per un tmpo abbastanza lungo non è riuscito a dormire proprio per il silenzio assordante della montagna...
RispondiElimina:-)